Una nuova sfida per il Sud Africa, dal rubgy al calcio, gli esami non finiscono mai

par Luca Sacchieri
giovedì 10 giugno 2010

Dopo aver commosso il mondo con l’abolizione dell’Apartheid, il Sudafrica lo ha ospitato con i mondiali di Rugby del 1995, stupendolo di nuovo con la conquista della coppa. Adesso, il Sudafrica è nuovamente pronto ad aprire le porte della sua nazione arcobaleno per i primi mondiali di calcio giocati in questo continente. E il mondo, ancora una volta, osserverà meravigliato.

Il Sudafrica è da sempre un mondo nel mondo.

 

Balzato all’attenzione planetaria nel 1995 per i Mondiali di Rugby, e oggi sotto i riflettori per quelli di calcio, il Sudafrica ha una lunga e affascinante storia.

Risalgono al 1652 infatti i primi passi di nazionalità olandese a Città del Capo. Poi, con la scoperta di diamanti e dell’oro, diventa terra di conquista.

Nel 1912 nasce l’Unione Sudafricana, e la frattura tra bianchi e neri, da sempre latente, si fa netta. I semi della futura Apartheid sono piantati.

Durante la seconda guerra mondiale, il Sudafrica accoglie gli ebrei in fuga dal nazismo ma, paradossalmente, accoglie anche i metodi nazisti per la difesa della razza, in questo caso quella bianca nei confronti di quella nera.

L’Apartheid (“separazione”) viene proclamata nel 1948 con tutta una serie di Acts che privano i neri di qualsiasi diritto politico, sociale e umano costringendoli ad un’esistenza di stenti nelle township periferiche.

Per cambiare servono quarant’anni di lotte intestine e faide, serve l’esempio stoico di Nelson Mandela e dei suoi ventisette anni nel carcere duro di Robben Island (1964-1990).

È l’aprile del 1994 quando si svolgono le prime elezioni multirazziali, in cui più di venticinque milioni di neri (e circa cinque milioni di bianchi) possono decidere democraticamente il loro destino.

Nelson Mandela viene eletto presidente, sceglie la via della Riconciliazione, l’Apartheid viene abolita e il Sudafrica può finalmente predisporsi a diventare una “nazione arcobaleno”.


È una storia che ha acceso l’interesse di molti scrittori: dai libri di Nadine Gordimer (Il Conservatore, Beethoven era per un sedicesimo nero, L’aggancio), a Vergogna di J.M. Coetzee, Cacciatori di diamanti di Wilbur Smith, fino ad Ama il tuo nemico John Carlin (da cui è stato tratto Invictus di Clint Eastwood).

Lo stesso vale per le pellicole: Breaker Morant di Bruce Beresford, Grido di libertà di Richard Attemborough, Un mondo a parte di Chris Menges, In my country di John Boorman e, il più recente, Invictus di Clint Eastwood.


Proprio quest’ultimo celebra il nuovo Sudafrica post-apartheid, attraverso la potenza della Storia e della metafora sportiva. Il Mondiale 1995 di rugby, organizzato dal Sudafrica, diventa la riscossa del paese che, per una volta unito, si rispecchia in una squadra che compie l’impresa storica di battere gli All Blacks. Vincendo, non solo in campo e sugli spalti, il proprio secolare razzismo e trasformando la realtà in una favola. E viceversa.


La metafora dello sport, utilizzata da Invictus come chiave di lettura di un paese, torna prepotentemente in questi giorni con i Mondiali di Calcio 2010.

Con gli occhi del pianeta di nuovo addosso, una nuova sfida che attende questo stato.

Migliaia di Reporter che raccontano cosa è diventato oggi il Sudafafrica, l’ennesima prova per la nazione che vuole essere arcobaleno, di nuovo l’onore e l’onere per una sfida che tocca anche l’Italia direttamente: forse non molti sanno che il responsabile della sicurezza dei Mondiali 2010 è un italiano, Giovanni Pisapia.

Saremo qui a raccontarlo.


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