Una morte risonante: poesie e riflessioni di Fatima Hassouna

par La bottega del Barbieri
martedì 29 aprile 2025

Uccisa a Gaza da un bombardamento israeliano Fatima Hassouna, giornalista, fotoreporter, scrittrice, protagonista del documentario della regista iraniana Sepideh Farsi “Put Your Soul on Your Hand and Walk”.

di Batool Abu Akleen (*)

Fatima Hassouna è una giovane scrittrice, fotografa e giornalista palestinese, nata e cresciuta a Gaza. Un paio di anni fa, Fatima ha conseguito la laurea triennale in multimedia. Le sue foto hanno partecipato a numerose mostre in tutto il mondo e sono state pubblicate su riviste internazionali.

Tre giorni fa [il 16 aprile], poche ore dopo aver parlato con lei, ho ricevuto la notizia che Fatima era stata uccisa insieme alla sua famiglia in un attacco aereo che ha colpito la sua casa nel quartiere di Al-Tuffah. Fatima è, e non parlerò mai di lei al passato, una persona molto creativa e sensibile, piena di energia e amore. Lo si può vedere nei suoi scritti e nelle sue foto. Fatima si è fidanzata di recente e sognava di costruire una famiglia, di avere e crescere dei figli.
Con il cuore spezzato, condivido con voi alcune sue prose e poesie, poiché desiderava una morte Risonante.

SEI RISONANZE: di Fatima Hassouna

Questo Massacro ci ha insegnato a rimpicciolire le cose, rendendole pieghevoli.
Il mondo è diventato così piccolo che si poteva portare sulla schiena. Si poteva ridurre il mondo a una borsa, o persino a due palmi e una schiena nuda!

Questo Massacro mi ha insegnato a rimpicciolirmi, a tacere mentre la morte mi brandiva, ad ascoltare il suo suono mentre si avvicinava, ad allenarmi ad accettare la realtà dell’improvvisa scomparsa di tutte le cose, ad accettarla senza lamentarmi, senza risentimento.

Tutto ciò che è successo, tutto ciò che sta accadendo ci sta allenando a diventare tutto tranne che normali esseri umani.Nella mia testa, gira una sola domanda:

A cosa stava pensando il martire? Qual era l’ultimo pensiero che gli era passato per la testa prima che un missile lo colpisse? Quali sarebbero stati i suoi desideri, se avesse saputo che l’ultimo momento si stava avvicinando?

Spesso penso: “Se vivessi fino all’età adulta, mi basterebbe per fare tutto ciò che voglio e che desidero? E se morissi, tutti i miei desideri morirebbero con me?”

Penso ancora a questo martire.
È venuto qui, è stato ucciso, lo hanno pulito dal sangue, lo hanno avvolto in un sudario, mentre nessuno della sua famiglia lo sapeva ancora. Ma dopo che me ne sono andata, ho visto tutti i loro volti: sua moglie con gli occhi consumati dalle lacrime; i suoi fratelli in preda allo shock e al dolore; e sua madre che non riusciva a camminare oltre, sperando di non raggiungerlo, per non vedere ciò che avrebbe visto. Ma era la verità, il fatto compiuto.

Ci penso spesso:

“Davvero, qual era l’ultimo pensiero che gli era passato per la testa?

È vissuto abbastanza?

È morto dopo aver vissuto?

Non lo so.

Per 300 giorni sono stata accompagnata da Anya, la mia macchina fotografica e la mia unica vera amica, che sapeva come cogliere l’attimo, come scattare le foto che volevo.
Per 300 giorni, io e i miei fratelli siamo stati uccisi in questo Massacro. Il sangue scorreva sul terreno e ho iniziato a temere il momento in cui il sangue dei miei fratelli mi avrebbe raggiunta, macchiata. Per 300 giorni abbiamo visto solo nero e rosso, sentito l’odore della morte, mangiato mele amare, toccato solo cadaveri.

È la prima volta che subisco una perdita così grave. Ho perso 11 membri della mia famiglia, i più cari al mio cuore. Eppure, niente può fermarmi. Vado in giro per le strade ogni giorno senza un piano preciso. Voglio solo che il mondo veda quello che vedo io.
Sto scattando foto per archiviare questo periodo della mia vita. Sto scattando foto di questa storia di cui i miei figli potrebbero sentire parlare, o forse no.

Noi, noi moriamo qui ogni giorno, in tanti colori e forme. Muoio mille volte quando vedo un bambino soffrire; mi frantumo, mi trasformo in cenere. Mi fa male quello che siamo diventati. Questa assurdità mi fa male, e questo mostro che ci divora ogni giorno: fa male.

Ogni giorno, quando me ne vado, vedo mia madre che mi saluta con la mano, ma non mi volto. Non voglio vedere quegli occhi. Non voglio tutto questo dolore per mia madre, ma cosa c’è in questa città? È solo morte.

A proposito di morte, la morte inevitabile:

Se devo morire, voglio una morte Risonante. Non voglio essere né un notiziario, né un numero all’interno di un gruppo. Voglio una morte ascoltata da tutto il mondo, un impatto che rimanga impresso per sempre e foto eterne che non vengano sepolte dal tempo o dallo spazio.
Tutto ciò che temo
è morire di fame.
Desidero cose che gli animali non hanno mai desiderato.
Mangio cose che gli animali non hanno mai mangiato.

La morte mi osserva.
I bombardamenti mi osservano.
Il mio feroce nemico è in agguato,
in attesa che il primo boccone raggiunga uno stomaco vuoto
per potermi uccidere con esso.
Me lo strappa dal palmo


e scappa via.

Il mio stomaco continua a gridare:

“Ho fame di un boccone appagante”.
Mentre l’amico del mio nemico mangia da McDonald’s,
beve il suo caffè freddo in un ambiente piacevole
osservando
mentre il mio feroce nemico mi strappa dal palmo l’ultimo boccone
e scappa via
mentre si trasforma in una vera paura:
“Sto morendo di fame”.

 

Domani.
Quando la guerra tornerà a casa sua
trascinandosi dietro la mia età.
Come lattine vuote legate a uno spago,
ricorderò con nostalgia quel tumulto
e piangerò.
Piangerò come una bambina
o come una donna infelice
proprio in mezzo alla strada.
Penserò, forse dovrò dirtelo.
“Svegliami quando arriviamo”
o
“Quando tutto questo finirà”.

Buongiorno,

Stamattina mi è venuta in mente una domanda improvvisa, una domanda su come sarebbe la vita dopo la fine della guerra. Che sapore avrebbero avuto le cose dopo questo periodo di privazioni? Che sapore avrebbe avuto il cioccolato quando l’avessi assaggiato per la prima volta dopo nove mesi? Avevo davvero dimenticato che sapore aveva? Cosa avrei provato quando, per la prima volta, mia madre mi avesse cucinato del pollo arrosto in salsa di verdure insieme a un piatto di riso, o il suo meraviglioso makluba?

Mi stavo chiedendo:

“Un giorno mi sentirò sazia e stordita, quel tipo di stordimento dopo essermi saziata con questo pasto, come facevo prima? O il mio stomaco non accetterà questo cibo squisito, visto che è stato occupato da cibo scadente per così tanto tempo?

Cosa proverò quando morderò la prima mela, il primo frutto? Dovrò limitarmi a una sola, o ce ne saranno altre?”

Mi chiedo quali saranno i miei sentimenti verso il mondo allora, quando mi sentirò sazia. Tornerò a vedere una vita promettente, a sentire che c’è qualcosa per cui vivere in questo mondo? O non cambierà, perché questa guerra ci ha fatto vedere il mondo da un’altra prospettiva, e in molti modi orribili?

Caro mondo, che ti credi giusto e umano.
Consideri davvero questi desideri una cosa normale nel 2024?

(*) Tratto da Arablit & Arablit Quarterly. A magazine of Arabic literature in translation.
Traduzione: La Zona Grigia.

Fatima Hassouna è una fotoreporter e scrittrice di Gaza. Un documentario incentrato sulla sua vita a Gaza, realizzato dalla regista iraniana Sepideh Farsi e intitolato “Put Your Soul on Your Hand and Walk” (Prendi l’Anima in Mano e Cammina), debutterà a un festival di cinema indipendente francese che si svolge parallelamente a Cannes.

Batool Abu Akleen è una poetessa e traduttrice palestinese, nata e cresciuta a Gaza. È sopravvissuta al Genocidio del 2023-2025. Studia letteratura inglese e traduzione presso l’Università Islamica di Gaza. All’età di 15 anni, Abu Akleen ha vinto il Premio di poesia Barjeel per la sua poesia: “Non ho Rubato la Nuvola”, che è stata anche tradotta e pubblicata nell’antologia Di Acqua e di Tempo. Nel 2024, è stata Poeta della Resistenza con Modern Poetry in Translation. A maggio, la sua prima raccolta di poesie bilingue, 48Kg. /٤٨ ÙØºÙ, sarà pubblicata da Tenement Press.

Foto @almaplustv_


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