Un voto elettorale non servirà a cambiare un sistema collaudato

par Mario Barbato
lunedì 26 settembre 2022

Nulla come una tornata elettorale riesce a infiammare gli animi di coloro che credono, mediante il voto, di cambiare il sistema in cui viviamo e in cui siamo schiavi. Alla vigilia di ogni elezioni politiche, il Paese viene pervaso da una isteria collettiva, con gli italiani che si dividono in fazioni avverse, discutendo animatamente tra loro e sognando scenari di rivalsa e di riscossa in caso di vittoria del proprio partito di riferimento.

Mediante un banale segno della matita sulle schede elettorali, gli italiani si convincono che il desiderio di modificare il sistema possa finalmente realizzarsi, ignorando la logica del Gattopardo, secondo cui tutto deve cambiare affinché nulla cambi. La forza che spinge i cittadini al voto è quella dettata dalla speranza di veder nascere uno scenario idilliaco, in caso di vittoria della propria fazione, e, per converso, uno scenario infernale in caso di successo degli “altri”. Ci si reca alle urne nell’illusione di creare un sistema più giusto, ignorando che destra e sinistra sono la stessa cosa quando si tratta di salvaguardare il sistema di potere che da sempre ci domina e che non ammette modifiche.

Succede così che, per una legge del contrappasso, tanto grande è l’entusiasmo che pervade il Paese quando si tratta di votare, tanto immensa è la delusione di fronte al mancato mantenimento delle promesse e all’incapacità di porre rimedio a problemi che, come gli spettri che cavalcano la storia, ripresentano sempre gli stessi dilemmi. Il vuoto delle infinite schermaglie nei salotti televisivi è solo una finzione che i politici usano per imbonire gli elettori, facendo credere loro che, votando un certo partito, i sogni prenderanno forma.

Non è così. E non sarà mai così. Lo scrittore norvegese Erling Kagge, nel suo libro Il silenzio, osservò che, se ci dovessimo assentare da una nazione per sei mesi di fila, ritroveremo, al nostro ritorno, la situazione del tutto invariata, con i vari esponenti politici intenti a discutere su una serie di problemi che nessuno è capace di risolvere. La storia della Seconda Repubblica ha dimostrato quanto gli infiniti partiti e movimenti che si sono succeduti alla guida del Paese non abbiano cambiato di una virgola quello che è il sistema italiano.

La realtà che i partiti, una volta seduti sul trono di Palazzo Chigi, devono fare i conti con ricatti sovranazionali, procedure di infrazione, fondi da gestire, crisi dell'economia, perdita di posti di lavoro, chiusure delle aziende, fuga dei cervelli, immigrazione galoppante. Accade così che i politici si trasformino, immediatamente dopo la loro elezione, in mediocri statisti senz'arte né parte, se non dei demagoghi che continuano a ingannare i cittadini facendo credere loro che, se non riescono a risolvere i problemi, la colpa non è loro, ma degli avversari che impediscono ogni tentativo di modifica.

In verità, l'unico fine dei politici è quella ricerca del consenso che permetterebbe loro di sedersi sulle poltrone e di restarci quanto più a lungo possibile, con tutti i privilegi annessi e connessi. Si sceglie qualcuno che dovrebbe rappresentare la rivoluzione e invece non si fa altro che eleggere una persona che si serve della politica per coltivare gli interessi personali e di gruppo, coccolandosi in un sistema così collaudato da schiacciare qualsiasi elettore in un battito di ciglia.

Lapidarie, in questo caso, le parole dello scrittore Tiziano Terzani che, nel suo libro Un indovino mi disse, pronunciò parole che hanno il sapore di una profezia in ambito politico ed elettorale: “Raramente l’umanità è stata, come in questi tempi, priva di figure portanti, di personaggi luce. Dov’è un grande filosofo, un grande pittore, un grande scrittore, un grande scultore? I pochi che vengono in mente sono soprattutto fenomeni di pubblicità e di marketing". 

 

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