Un vigile spara in piazza a Napoli. Una città anestetizzata

par Piero Sorrentino
venerdì 24 aprile 2009

Napoli, piazza Bellini, cinque minuti dopo la mezzanotte. Una serata come tante. I capannelli dei Mastiffs, i tifosi ultrà del Napoli calcio, al centro della piazza, seduti sugli scooter a chiacchierare. I tavolini dei locali ingombri di birre e caffè e cicchetti di alcol. Corone sottili di gocce di pioggia a imperlare i tubolari delle sedie di alluminio.
 
Al centro della piazza un enorme salsicciotto bianco e nero gonfiabile – quindici metri per tre - galleggia per aria, qualcosa a metà tra il maiale gigante dei Pink Floyd e una sequenza di Fellini. A venti metri da quello, dall’altro lato della piazza, un pallone bianco illuminato internamente svetta al di sopra degli alberi. Danno alla scena un tocco surreale e vagamente malinconico. Poco oltre, la vista inconfondibile di una troupe televisiva al lavoro. Cavi, strutture di ferro montabili, telecamere, video montati su predellini d’acciaio, aste di microfoni, riflettori, tecnici con le cuffie alle orecchie. “Girano uno spot per mediaset”, dice uno.
 
Le persone in piazza collaborano volentieri con quello che sembra l’assistente di regia, che chiede ai gruppi di spostarsi, di liberare quello spazio, di fare un secondo silenzio.
 
Dal centro della piazza guardiamo incuriositi. Un camion dell’Asìa, l’azienda municipalizzata della nettezza urbana, tinge la scena col colore del lampeggiante arancione che gira indolente, mentre i bracci meccanici sollevano un cassonetto che vomita il suo contenuto nella pancia tritatutto del mezzo. 
 
Mentre il salsicciotto compie l’ennesima evoluzione attorno alla colonna che divide a metà piazza Bellini, un urlo. Una sgasata di motorino che accelera lungo via Santa Maria di Costantinopoli. Uno scooter verde che schizza subito fuori dalla nostra visuale. Dietro, di corsa, un uomo armato. Il braccio teso, insegue il mezzo. La pistola alzata davanti a sé. È un attimo. Il tempo che anche lui esca dalla portata della nostra vista e si sentono i colpi. Ravvicinati. Uno, e un secondo dopo l’altro (*). Due schiaffi secchi. Qualcuno urla: “Lo uccidi!”. Ci alziamo di scatto, una sedia cade a terra. Mentre corriamo stupidamente verso gli spari, a ruota un agente della polizia municipale in divisa corre in direzione dell’uomo armato. “Collega!”, chiama.
 
Il vigile urbano in borghese sta tornando sui suoi passi, la pistola ancora nella mano, stavolta lungo la coscia. È visibilmente scosso. Si tiene una mano sulla guancia. Dal giubbino gli spunta una paletta della Polizia municipale, il disco rosso plastificato rotto a metà. Si guarda intorno, chiacchiera brevemente col collega in divisa, poi entra in un ristorante che si affaccia sulla via, forse per chiedere un po’ d’acqua.
 
Si fa un piccolo capannello di gente smarrita.
“Questi so’ pazzi”, dice un signore basso e magro vestito con una pettorina fluorescente.
 
“Questi chi?”, chiedo.
“Questi” e fa un gesto vago con la mano. “Noi stavamo col camion,” e allora sulla pettorina vedo il nome dell’Asìa “caricavamo la munnezza, e c’erano questi due vigili che impedivano il passaggio alle macchine, sia per facilitare noi che, penso, le riprese. A un certo punto arriva ‘sto guaglione che vuole passare, il vigile gli dice che deve aspettare, il ragazzo aspetta fermo qualche secondo, poi dice che deve andare a casa presto, il vigile dice aspetta, quello dà un colpo con l’acceleratore ma resta fermo, il vigile lo guarda come a dire ma sei scemo allora?, e quello dà un’altra botta di acceleratore, allora il vigile gli dà un calcio sulla coscia, qua,” e si tocca il quadricipite con la punta delle dita “il ragazzo dice ahi, m’hai fatto male!, e lo colpisce col casco al volto, poi parte a tutta velocità, quello gli corre dietro ed estrae la pistola”.
 
“Ha sparato in aria per fermarlo?”
“In aria?” sorride amaro quello. E fa una L orizzontale con le dita e tende il braccio dritto davanti a sé.
 
È una scena che abbiamo tristemente imparato a vedere nelle aule di tribunale italiane, negli ultimi anni. Tommaso Leone, il poliziotto che sparò e uccise un giovane di Pianura su uno scooter. Luigi Spaccarotella con Gabriele Sandri, sull’autogrill di Badia al Pino ad Arezzo. Mario Placanica e Carlo Giuliani al G8 di Genova.
 
Braccia tese armate.
Facciamo un po’ avanti e indietro sulla via. Un ragazzo raccoglie qualcosa da terra e la porta al vigile in divisa. Sembra un bossolo esploso, poi ci accorgiamo che è un proiettile intero, ancora con l’ogiva. Non capiamo.
 
“Forse nella foga il vigile ha scarrellato col colpo in canna e il proiettile è uscito”, azzarda una teoria qualcuno.
 
Intanto la pattuglia della polizia Municipale sta all’inizio della via col lampeggiante acceso. Il vigile sparatore siede in macchina, in silenzio. Ci aspettiamo le sirene della polizia da un momento all’altro. Un’ambulanza. Un’auto dei carabinieri. Qualcuno che venga a vedere, a fare rilievi. Apparentemente non ci sono comunicazioni radio da parte dei vigili urbani.
 
Passano i minuti, passano i quarti d’ora, passa mezz’ora. La piazza torna a fare quello che stava facendo. I tecnici arrotolano i cavi. Il pallone bicolore viene spento. Due operai lo riportano nel camion come un cane nella cuccia dopo i bisogni. Le persone sedute ai tavolini riprendono a chiacchierare. Non arriva nessuno. Non un’ambulanza. Non un’auto della polizia, non una dei carabinieri. Nemmeno una pattuglia di supporto della stessa Municipale. Questa città sembra ormai preparata a tutto, pronta a tutto. Che un agente della polizia Municipale del comune di Napoli spari correndo dietro a un ragazzo in motorino in una via pubblica, sulla quale i flussi di traffico e pedoni sono solitamente notevoli a tutte le ore, sembra non stupisca più di tanto nessuno.
 
Dopo tre quarti d’ora decidiamo di andare a casa.
“Facciamo la scena sette,” gracchia nel megafono l’assistente di regia.



*La redazione ha contattato l’ufficio stampa della Polizia Municipale che ha confermato la versione dell’articolo, sostenendo che gli spari erano in aria e non facendo riferimento al calcio del vigile; gesto sostenuto però dalle numerose testimonianze raccolte sul luogo.


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