Un secondo trimestre di ottimi concerti per Musikàmera

par Giovanni Greto
giovedì 26 settembre 2024

Sette appuntamenti, dal contemporaneo al barocco, contrassegnati da un quasi sempre tutto esaurito

 

E’ una realtà ormai consolidata, Musikàmera, e le sue stagioni cameristiche attirano, anno dopo anno, un sempre crescente numero di abbonati.

Un sestetto pieno di grinta ha affrontato un impervio repertorio costituito da Sicilienne et burlesque per violino e pianoforte (1917) di Alfredo Casella (1883 – 1947) ; la Sonata n.1 in Re minore per pianoforte e violoncello (1915) di Claude Debussy (1862 – 1918), in tre movimenti ; la Suite da l’Histoire du Soldat per violino, clarinetto e pianoforte (1919) di Igor Stravinskij (1882 – 1971) ; il Pierrot lunaire (1912) di Arnold Schoenberg.

In circa dieci minuti si sono succeduti senza pause i due movimenti del brano di Casella, la Sicilienne (Andantino) e il vorticoso Burlesque (Presto vivace). Impegnativa è l’impostazione ritmica : in dialogo con un pianoforte virtuoso, il solista deve cambiare regolarmente metro, mantenendo la fludità del discorso.

La Sonata di Debussy inizia con un Prologo (lento, sostenuto e molto risoluto), che si distingue per vivacità di tono e un’ironia timbrica, espressa in special modo da Enrico Bronzi, al violoncello, la cui scrittura presenta puntate virtuosistiche. Nella ‘Sérénade : modérément animé’ sono accentuati maggiormente i tratti umoristici, burleschi e fantastici della composizione, mentre dal violoncello si sprigionano effetti sonori piacevoli e brillanti.

Nata in origine come spettacolo teatrale da camera, - ispirato a una antica fiaba che fa parte della raccolta di fiabe russe di Aleksandr Nikolaevic Afanas’ev (1826 – 1871), uno dei massimi pionieri mondiali nello studio del folklore, mitologia e tradizioni popolari del suo Paese – la Suite, trascritta da Stravinskij per violino, clarinetto e pianoforte, si riduce a cinque pezzi, rispetto agli undici brani della composizione originale a più ampio organico, risultando, comunque, altrettanto affascinante.

Interessante, per l’intersecazione reciproca tra la voce e gli strumenti, il brano conclusivo, Pierrot lunaire, il più lungo della serata (circa 37 minuti), ossia 21 poesie in tre parti per voce recitante (un’intensa Mojca Erdmann, soprano, padre tedesco e madre slovena ; il suo nome significa Maria nella lingua slovena ) ; flauto, anche ottavino (Irena Kavic, primo flauto solista nell’orchestra della Radio Slovena) ; pianoforte (il carismatico Alexander Lonquich) ; clarinetto, anche clarinetto basso (lo spumeggiante Tommaso Lonquich) ; violino, anche viola (l’espressivo e virtuoso artista russo Ilya Gringolts) ; violoncello (il già citato Enrico Bronzi, che ha diffuso, mediante uno strumento Vincenzo Panormo del 1775, una sonorità corposa e limpidissima nello stesso tempo).

Il testo del melologo, scritto dall’autore su commissione dell’attrice Albertine Zehma, è tratto da una raccolta di 50 Rondels (un tipo di poesia cosiddetta a forma fissa), tradotte in tedesco, intitolata Pierrot lunaire, del poeta belga Albert Giraud (1860 - 1929), apparsa nel 1884.

Due grandi solisti, di generazioni diverse, hanno soddisfatto il pubblico convenuto. Alle Apollinee, dapprima, per ammirare il virtuosismo e il notevole lirismo espressivo di Ning Feng, violinista cinese, ormai apprezzato in tutto il mondo.

Furono scritte a coppie, le tre Sonate e Partite per violino solo, durante il periodo trascorso da J.S.Bach presso la corte di Kothen (1717 – 1723). Feng ha scelto la Sonata n.2 in La minore (1720), in quattro tempi, e la Partita n.2 in Re minore (1720), di durata leggermete superiore (25 minuti, rispetto ai 19 della Sonata), perché Bach alle quattro danze – Allemande, di origine tedesca ; Courante, francese ; Sarabande, arabo-moresca o turco-iraniana ; Gigue, probabilmente inglese o irlandese – vi aggiunge la celeberrima Chaconne, forse una danza meticcia importata dall’America Centrale verso la fine del 1500. Prende avvio da un tema di otto battute per proseguire con un corale di 32 variazioni, in una entusiasmante progressione ritmica.

Dopo una meritata pausa, l’artista è rientrato in scena per eseguire dai 24 Capricci di Niccolò Paganini (1802 – 1817), una selezione di undici (i numeri 1,4,5,7,9,13,14,17,20,23,24), mostrando un virtuosismo acrobatico e fantasioso, in linea con quello dell’estroso compositore genovese.

Mi ha sorprendente impressionato il recital, nella sala Grande della Fenice, di Michael Pletnev (Arkhangelsk, 1957), pianista, direttore d’orchestra e compositore russo, che sfugge alle claassificazioni convenzionali.

Nella prima parte ha eseguito i 24 Preludi op.11 (1888 – 1896) di Aleksandr Skrjabin (1872 – 1915), composti col desiderio di cimentarsi, similmente ad altri celebri colleghi, con Das wohltemperierte Klavier (24 Preludi e Fuga) di J.S.Bach. Mi ha colpito la leggerezza del tocco, la soavità, pur con una forza sotterranea, con la quale Pletnev risolve qualunque ostacolo, facendo sembrare qualsiasi frase semplice e priva di difficoltà.

Nella seconda parte ha eseguito i 24 Preludi op. 28 di Fryderyk Chopin (1810 – 1849), sotto la cui denominazione vivono, in realtà, vari registri solistici. Secondo l’opinione di Giorgio Pestelli, in questa mirabile raccolta, Chopin ha inventato una poetizzazione del preludio, interponendo fra modelli antichi e moderni la sua ironia romantica, che si realizza nella coscienza di una perenne mobilità linguistica, di una contemporaneità di senso letterale e allusione. Preludio bachiano e pezzo per pianoforte romantico scivolano uno dentro l’altro come due anelli incatenati, e lo charme aumenta per la caratteristica, tutta chopiniana, di non dare mai l’impressione di aver messo in atto tutti i mezzi possibili.

Applausi, applausi e ancora applausi hanno determinato tre bis, che sarebbero stati anche di più, se l’artista, non avesse visto parecchie persone alzarsi dalle sedie per guadagnare l’uscita.

Un gradito ritorno è stato quello del pianista siracusano Orazio Sciortino, da poco quarantenne, premiato come miglior compositore dell’anno, secondo gli ‘International Music Awards’, per una scrittura musicale libera da vincoli, aperta alle suggestioni della modernità, ma sempre fortemente personale e riconoscibile.

Aveva suonato nel 2021, sempre per Musikàmera, con il violinista Domenico Nordio e ancor prima al Lido per la rassegna, ahimè defunta, organizzata dall’Archivio Fano.

Quattro i brani in programma. Le Bagatelle, op.26 di Beethoven (1770 – 1827) ; Promenades : 7 passeggiate immaginarie per sopravvivere a una quarantena (2020), un lavoro del musicista siciliano ; Sette Fantasie, op. 116 (1892) di Johannes Brahms (1833 – 1897) e Ciaccona (1720) di Bach (1685 – 1750), trascritta per pianoforte nel 1893 da Ferruccio Busoni (1866 – 1924).

Un repertorio vario, del quale ha incuriosito maggiormente il brano originale (circa 17 minuti), che è così presentato dall’autore : Le mie passeggiate immaginarie per sopravvivere ad una quarantena sono state scritte nel settembre 2020, in occasione della mia infezione da Covid-19. Chiuso nelle quattro pareti di una stanza, ogni gesto, anche necessario, diventava inutile, senza proiezione, senza motivo di essere compiuto. Avevo appuntato delle idee musicali per cercare una scansione del tempo, per riempire il tempo nell’illusione di costruire qualcosa. Un’imposizione.

Ogni movimento di questa suite è stato scritto in due giorni, un giorno per pensare e annotare, un altro per definire, il giorno successivo per rimuovere dalla memoria il lavoro dei due giorni precedenti. E ricominciare. Superata la quarantena ho poi rivisto e reso eseguibile l’intero ciclo, senza toccare nulla dell’operato di quei giorni. Ogni brano è costruito a partire da un meccanismo inutile, una serie di armonie o dei patterns ritmici che non hanno un vero e proprio sviluppo, si esauriscono in sé stessi e si ripetono sempre in forme diverse e autonome. I singoli movimenti possono forse essere considerati come tappe di una giornata di quarantena, dal momento del risveglio, alle attività della giornata sino alla sera e al momento della notte.

Preciso, limpido nel tocco, intenso e passionale, Sciortino ha conquistato la platea, concedendo alla fine due brevi bis : Capriccio, op.16, di Brahms e una trascrizione di Wiegenlied di Richard Strauss (1864 – 1949).

ARS CANTANDI. Musicisti di Accademia Bizantina - Silvia Frigato, soprano ; Alessandro Tamperi, violino ; Tiziano Bagnati, tiorba ; Valeria Montanari, clavicembalo – ha riportato indietro nel tempo l’affezionato pubblico per mostrare la ricchezza e la bellezza della musica barocca, attraverso compositori assai conosciuti, - come Claudio Monteverdi (1567 – 1643) ; Girolamo Frescobaldi (1583 – 1643) e Johann Hieronymus Kapsberger (1580 – 1651) - e meno, pur occupando ruoli importanti nella gerarchia del tempo, - come Giacomo Carissimi (1605 – 1674), nativo di Marino, la città del vino e degli stornelli e Giovanni Antonio Pandolfi Mealli (Montepulciano, 1624 – Madrid ? Intorno al 1687) – e per confrontare due importanti tradizioni musicali, la veneziana e la romana.

Ottima l’intesa tra il quartetto di musicisti, nel quale non poteva non mettersi in evidenza la voce di Silvia Frigato, già ascoltata assieme al pianista Aldo Orvieto, nell’ambito della sezione “Novecento storico italiano”. Anche allora aveva interpretato ‘Lasciatemi morire (lamento di Arianna)’, nella versione per canto e pianoforte (1910) di Ottorino Respighi, mentre in questa seconda presenza era sostenuta dal basso continuo di Valeria Montanari.

Una musica deliziosa ha emozionato e rilassato una platea attenta. Belli i brani per tiorba sola e con basso continuo di Kapsberger, che, non ostante il cognome, è nato a Venezia e amava firmarsi Giovanni Gennaro Tedesco della Tiorba.

Di ampio respiro melodico, i lavori di Carissimi, sia quelli strumentali, che quelli cantati, mentre l’unico brano del ferrarese Girolamo Frescobaldi – una toccata a cembalo solo – ha dimostrato l’ampia maturazione dello strumento nella sua scrittura.

Alessandro Tampieri è emerso nella Sonata III per violino solo ‘la Monella Romanesca’ di Giovanni Mealli.

Conclusione con un brano conosciutissimo, malinconico e perciò toccante l’animo, di Monteverdi, Sì dolce è il tormento, che ha messo in luce la passionalità della soprano, nativa della provincia di Venezia.

Il recital della cantante Miriam Albano (Venezia, 28 marzo 1991) – in duo con il pianista tedesco Stephan Matthias Lademann, specializzatosi nell’accompagnamento liederistico - , dotata di una gamma vocale che le permette di muoversi liberamente tra soprano e mezzo e di spaziare dal barocco ai giorni nostri, ha presentato un programma diviso in due parti.

Nella prima, spazio a due maestri liederistici quali Johannes Brahms e Robert Schumann (1810 – 1856). Nella seconda, si sono aperte le porte alle canzoni in italiano di Giacomo Puccini (1858 – 1924) e Reynaldo Hahn (1874 – 1947).

Il recital si è aperto con una breve antologia dei molti Lieder scritti da Brahms, a partire da meno di vent’anni di età, sempre attento al rapporto fra testo e musica, caratterizzati da un forte lirismo, da un’ispirazione spontanea, da una fresca fantasia e da una passionalità profonda.

Iniziatore e creatore del Lied assieme a Schubert, Schumann ha composto a trent’anni la raccolta eseguita, Frauenliebe und Leben op. 42 (1840), felice e stimolato novello sposo a settembre con l’adorata Clara Wieck. Infatti, dei suoi 250 Lieder, 130 risalgono a quell’anno. I testi, un ciclo di poemi scritti nel 1830, sono di Adelbert von Chamisso (1781 - 1838). Descrivono l’amore di una donna per il suo uomo, dal suo punto di vista, dal primo incontro fino al matrimonio, alla morte dello sposo e dopo. Delicato, l’accompagnamento pianistico, per un magnifico dialogo con la voce.

Una breve pausa, per ritrovare la concentrazione, atta a trasferirsi in un nuovo ambiente musicale e linguistico, contraddistinto da alcune liriche composte da Puccini per voce e pianoforte e da un ciclo di sei mélodies su testi di vari poeti italiani, Venezia (1901), scritte da Hahn, compositore e direttore d’orchestra, regista teatrale e cantante venezuelano, naturalizzato francese, noto principalmente come compositore di Lieder, ma autore anche di molte composizioni per diversi strumenti e organici. La musica è scritta per voce e pianoforte, mentre i testi sono sia in dialetto veneziano, che in francese. Spiccano tra le sei canzoni La Biondina in gondoleta, una sorta di standard che persiste nel tempo.

Tra le sei liriche selezionate da Puccini, è da menzionare almeno l’ultima, Sole e amore, una romanza i cui versi sono probabilmente dello stesso musicista. Inoltre il motivo musicale è molto celebre perché è lo stesso dell’aria “Addio dolce svegliare alla mattina”, del finale del terzo quadro della Boheme.

Sommersi dagli applausi, i musicisti hanno offerto, felici in volto, due bis : il Lied Alle Seelen di Richard Strauss (1864 – 1949) e una delle oltre trecento melodie di Francesco Paolo Tosti (1846 - 1916) compositore e cantante abruzzese, emigrato a Londra, L’ultimo bacio.

L’ultimo concerto prima della pausa estiva è coinciso con il terzo, conclusivo appuntamento della sezione “Novecento storico italiano”, un tempo rassegna indipendente, inserita ora nel cartellone di Musikàmera, in collaborazione con l’Associazione culturale Archivio musicale Guido Alberto Fano onlus, attiva dal 2003.

In pedana una coppia artistica, stabilmente insieme dal 2005, e di vita, due musicisti invitati anche in passato. Silvia Chiesa, violoncello e Maurizio Baglini, pianoforte hanno all’attivo oltre 250 concerti in tutto il mondo di musica da camera.

Silvia Chiesa, in possesso di uno strumento dalla sonorità splendida, un esemplare Giovanni Grancino del 1697, e Maurizio Baglini, seduto accanto ad un pianoforte Fazioli, di cui possiede un modello Gran Coda, hanno dato vita ad un recital appassionante, eseguendo nella prima parte la Serenata op.34 per violoncello e pianoforte (1883), composta da Ferruccio Busoni (1866 – 1924) non ancora diciassettenne, per il violoncellista veneto Arrigo Serato.

Il violoncello inizia in solitudine con una melodia che si solleva dalla profondità al registro acuto e accenna soavemente al ritmo di un canto da gondola, una Barcarola (canzone da battello). Il pianoforte riprende il tema in Sol minore e lo avvolge nel tipico ritmo ondulato del tempo 6/8, proprio della barcarola.

A seguire la Serenata in Re minore, composta da Guido Alberto Fano (1875 – 1961) nel 1898, per partecipare al Concorso indetto dalla Società del Quartetto di Milano, per incentivare la produzione di musica da Camera italiana. Fano sbaraglia i colleghi in competizione, aggiudicandosi il primo premio (1000 lire) e un’esecuzione nella stagione concertistica dell’anno successivo.

Strutturato in quattro movimenti, rivela un linguaggio musicale intenso, drammatico, assai meditativo nell’andante, liricamente appassionato nell’allegretto con 10 variazioni, intensamente lirico nell’allegro appassionato.

Una pausa riflessiva sul repertorio ha preceduto l’esecuzione del Poema per violoncello e pianoforte (1990), trascrizione del Poema per violoncello e orchestra, che il compositore e pianista armeno Alexander Arutinian (1920 – 2012) scrisse nel 1974. Malinconico e toccante, come molte pagine di musica armena.

Conclusione con il lavoro dell’autore più conosciuto in programma, Johannes Brahms, che iniziò a scrivere la Sonata n.1 in Mi minore op.38 nel 1862 e la riprese tre anni dopo per aggiungere ai primi due movimenti (allegro ma non tanto ; tempo di menuetto) il finale, allegro, informa di Giga.

Assai impegnativa, è stata affrontata con la consueta personalità e gioia nel suonare assieme dagli affiatati musicisti, felici di ricevere applausi, meritatissimi, e disponibili, a fine concerto, a intrattenersi con le persone accorse nella seconda sala per chiedere qualche spiegazione tecnica o semplicemente per complimentarsi.

Chiesa e Baglini hanno selezionato anche un breve bis, Aria, di Mario Castelnuovo Tedesco, presenza frequente a Venezia, nei programmi di musica del Novecento.

Musikàmera ha ripreso alla grande la sua attività con due concerti TUTTO ESAURITO : l’ Armida Quartet, quartetto d’archi (opere di Felix Mendelssohn-Bartholdy ; Leos Janacek ; Franz Schubert) ;

l’italiano Hesperos Trio (opere di Schubert e Dmitrij Sostakovic).

Il prossimo appuntamento sarà l’ultimo con l’ATOS TRIO, - violino, violoncello e pianoforte – per ultimare l’integrale dei Trii di Mendelssohn, Schumann e Brahms. Arrivederci dunque il 15 e 16 ottobre alle sale Apollinee del teatro La Fenice alle ore 20.

 


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