Un posto chiamato Zemanlandia

par Mario Di Vito
mercoledì 2 novembre 2011

Dalla favola del 'Foggia dei miracoli' alla rinascita di Pescara: un ritratto di Zdenek Zeman. Tra gol fatti, gol subiti e sigarette.

Uno, Zdenek Zeman se lo immagina sempre che fuma avvolto in un improbabile cappotto, come uno di quei personaggi che sono uguali ogni stagione, indipendentemente dal fatto che si trovi nel bel mezzo di una bufera di neve o sotto il sole cocente di un mezzogiorno nel Sahara. Gli occhi a spillo sempre mezzo chiusi, la sigaretta in bocca e l'espressione pacifica e distaccata di chi ha serenamente accettato il suo ruolo in eterno conflitto con il mondo.

Dopo la morte di Steve Jobs qualcuno disse "Sì, va bene il Mac. Ma dal centrocampo in avanti, il mondo l'ha cambiato solo Zeman". In effetti, prima di lui, nessuno aveva mai visto niente del genere. La difesa serve per impostare il gioco, il centrocampo è fatto di gente che ha i polmoni infiniti e gli attaccanti si palesano davanti alla porta quando nessuno le aspetta. Se il meccanismo è ben oliato, i gol fioccano. Certo, poi ci sono le controindicazioni: le prendi anche. E ne prendi tante. Ma è semplice: bisogna farne uno più dell'avversario. E' per questo che l'allenatore boemo non parlerà mai di 'calcio spettacolo', per lui il calcio è uno spettacolo di per sé. E stop. Si dice di lui che non ha mai vinto niente. E' vero, ma se il pallone è un gioco, Zeman è un giocatore. Valga come risposta quanto lo stesso Zeman disse di Mourinho, uno degli allenatori più vincenti della storia del calcio: "Se ha portato novità nel calcio italiano? Sì, nella comunicazione, con cui nasconde bene la sua mediocrità come allenatore". Così parlò il boemo, tutto il resto è uno scialbo zero a zero.

Ma non è solo questo, il pallone deve anche essere 'pulito'. Una volta Zeman disse: "Non sono un rivoluzionario, dico solo che le regole vanno rispettate". Così, partì la battaglia contro le farmacie ad uso e consumo dei calciatori. "Le esplosioni muscolari di alcuni calciatori? È uno sbalordimento che comincia con Gianluca Vialli e arriva fino ad Alessandro Del Piero. Io che ho praticato diversi sport pensavo che certi risultati si potessero ottenere soltanto con il culturismo, dopo anni e anni di lavoro specifico. Sono convinto che il calcio sia tutto un altro tipo di attività, almeno il mio, che in una sola parola definirei positivo". Una dichiarazione d'intenti forse banale, l'esistenza del doping nello sport professionistico è cosa conclamata da decenni, d'altra parte. Ma nessuno, fino a quell'esternazione (siamo nel 2001) aveva mai osato pronunciare frasi del genere davanti a un microfono e una telecamera. Purtroppo per il boemo, tutto questo lo portò ad una sostanziale esclusione dagli ambienti più importanti del pallone made in Italy. Ogni cosa ha un prezzo, si dirà, soprattutto l'onestà.

Tutto comincio con il 'Foggia dei miracoli', quello di Rambaudi, Signori e Ciccio Baiano. Un viaggio che partì dalla serie B e si fermò sul confine della zona Uefa, tra reti gonfiate, risultati clamorosi e l'ammirazione generale dell'Italia pallonara. Spregiudicato e coraggioso, Zeman si presentava ovunque con tre punte, in un assalto all'arma bianca che partiva al primo e finiva al novantesimo minuto. Era l'inizio degli anni '90 e, anche se i puristi hanno storto il naso in più occasioni, quel Foggia sarebbe rimasto nel cuore degli appassionati per anni e anni, tanto che fu coniato il termine 'Zemanlandia', quell'isola immaginaria in cui l'utopia è regola e lo spettacolo va avanti sempre e comunque, anche nei giorni più neri. I tifosi ringraziano sempre, anche se perdono, escono dallo stadio sazi. E non è cosa da poco in periodi di austerity generale.

Dopo, il boemo colse al volo la prima grande occasione: la Lazio. Anni ruggenti, tra clamorose cadute e altrettanto clamorose risalite. Un esempio? Era il 17 dicembre del 1995, allo stadio Olimpico di Roma andava in scena Lazio - Sampdoria. I biancocelesti venivano da sei sconfitte nelle ultime otto gare (di cui, le ultime tre consecutive), i blucerchiati, al contrario, avevano vinto agevolmente le ultime tre partite. Famosa l'immagine del prepartita, con lo stadio vuoto e Zeman che da solo fuma in panchina, avvolto in un lungo cappotto nero. Bene, quella domenica prenatalizia si concluse con un punteggio da Wimbledon: 6-3 per la Lazio. E tutti zitti. Zemanlandia non muore mai.

L'idillio con le Aquile durò due anni e mezzo, poi, a sorpresa, Zdenek attraversò il Tevere per andare a condurre la Roma. Due stagioni discrete, un quarto e un quinto posto. Tanto spettacolo, tanti gol e un amore incondizionato con la curva (tanto che il cantautore lupacchiotto Antonello Venditti dedicò al mister di Praga una - in verità non eccelsa - canzone: "La coscienza di Zeman").

Dopo l'esperienza in giallorosso, cominciò una lunga trafila di insuccessi, tra la Turchia, la Campania, la Puglia, la Serbia e di nuovo il Foggia in serie C. Magre soddisfazioni e tanti esoneri. Per gli opinionisti, Zeman è finito, la sua idea del calcio è diventata improvvisamente ridicola. I fanatici del catenaccio e del risultato ad ogni costo si prendono la loro rivincita: la filosofia dei gol a grappoli non paga. E' chiaro, pacifico, evidente come due più due fa quattro. Quello che non sanno questi nichilisti del pallone, però, è che con tre punte e un po' di fantasia, due più due, a volte, può fare anche cinque, sei, sette, otto...

Estate 2011: Zdenek Zeman sbarca a Pescara. Qualcuno sghignazza, tanti si guardano perplessi. Ma il destino ha in mente altri progetti. A pensarci, però, col senno di poi, tutto sembra naturale: Zemanlandia non può che riaprire i battenti nella città delle giostre e dei lunapark. Siamo ad oggi: i biancocelesti abruzzesi volano in serie B: alta classifica, il migliore attacco del campionato e un gioco che molte squadre di serie A si sognano. Zeman viene trattato come un profeta arrivato ad insegnare il sacro verbo del pallone, le reti arrivano a raffica e il divertimento è garantito sempre al cento percento. Adesso, di partite ne mancano ancora trenta per la conclusione del torneo, se sarà vera gloria lo vedremo a maggio. Intanto, i cuori pescaresi (e non solo) si scaldano, forti della guida di un uomo che alle alternative ragionevoli preferisce i vicoli ciechi. Con in faccia stampato un sorriso storto e un po' crudele, il sorriso di chi sa che a volte le ha suonate anche ai giganti, di chi si batte contro il mondo e, tra pareggi in casa, rimonte e bruciature, a volte l'ha spuntata. Con un cinque a quattro all'ultimo sangue, naturalmente.


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