Un matrimonio da incorniciare? Sì, lo voglio!
par UAAR - A ragion veduta
giovedì 5 giugno 2014
In una fase storica caratterizzata dalla costante diminuzione dei matrimoni, in particolare di quelli religiosi che cedono continuamente punti a quelli civili, c’è chi scommette (e spera) in una loro ripresa. Sono i Comuni italiani, recentemente liberati dal limite di celebrazione “nella casa comunale” imposto loro dal codice civile, che intravedono nell’offerta di location suggestive una concreta opportunità di ripresa per le sempre disastrate casse. E se ciò può portare a una maggiore qualità dei servizi, o a una minore imposizione fiscale, la cittadinanza, certamente, ringrazierà.
È di questi giorni la notizia dell’approvazione, da parte del Comune di Roma, della delibera Panecaldo, avente a oggetto l’ampliamento del ventaglio di luoghi a disposizione dei nubendi romani, ma anche extra romani. Del resto, se è vero che l’odore del denaro non è importante, figuriamoci se può esserlo la sua provenienza geografica. Tuttavia l’iniziativa del comune di Roma non è l’unica, ma solo quella che colpisce di più per via dell’importanza della città e dei numerosi luoghi degni di attenzione. Diversi altri comuni si sono mossi e si prevede che altri lo faranno a breve. Giusto per citarne qualcuno: Vicenza, Capaccio Paestum, Cavalese, Fiumicino, Sesto S. Giovanni, Santa Maria a Monte.
A dare il la, come si suol dire, è stato il Consiglio di Stato con il parere espresso nel gennaio di quest’anno a seguito di richiesta da parte del Ministero dell’Interno. La questione era semplice: partendo dal presupposto, stabilito dalla legge, che il matrimonio civile deve necessariamente essere celebrato nella casa comunale, e alla luce del fatto che dal 2000 i comuni possono istituire uffici dello stato civile separati, si può concludere che sia possibile in tal modo celebrare matrimoni in luoghi di particolare rilevanza, al di fuori degli uffici comunali? Per il Consiglio di Stato sì, ciò è perfettamente lecito, anche in virtù del fatto che la celebrazione del matrimonio non è più percepita dalla gente come qualcosa di sacrale, di intimo, ma è più un fatto mondano. E non solo è possibile farlo in immobili di proprietà comunale, ma si può fare anche in luoghi privati messi a disposizione dell’amministrazione e adibiti a tale uso, anche solo parzialmente nel tempo (ad esempio in determinati giorni/ore) o nello spazio (per una certa porzione). Come dire: il mondo cambia, le istituzioni si adeguino.
Tra le ipotesi prese in considerazione anche quella di celebrare riti in luoghi come il Colosseo, per i quali sarebbe però necessario acquisire l’autorizzazione del Ministero dei Beni Culturali. Ecco, proprio quest’ultima sembra essere un’istituzione che, almeno per questa legislatura, fa fatica ad adeguarsi ai tempi che cambiano. Infatti, il ministro Franceschini ha già bollato l’idea come “molto stravagante”. E perché mai, caro ministro? È ovvio che l’uso di questi posti andrebbe subordinato al rispetto di regole particolarmente rigide, necessarie per la loro stessa tutela, ma da qui a lasciare intendere che lo si esclude per principio ce ne corre. A meno che ci siano ragioni particolari che al momento ci sfuggono, e che magari verranno meglio esposte in seguito. Ce lo auguriamo.
La caduta di questa anacronistica limitazione, comunque, è certamente un passo importante verso le esigenze di chi si appresta a sposarsi, e dovrebbe pertanto essere accolta con favore dai sostenitori di questo istituto.
L’Uaar da tempo l’ha inclusa tra i suoi obiettivi, pur non essendo né a favore né contro il matrimonio in sé, ma più semplicemente attenta alle esigenze di tutti. Prossimamente si auspica che cadano altri paletti, primo fra tutti quello che esclude i luoghi privati — che non rientrano cioè nelle disponibilità dell’amministrazione comunale — dalla celebrazione dei matrimoni civili. In questo caso occorre però che sia il Parlamento a darsi da fare, e qualche proposta in tal senso c’è già stata in passato, come spiegato alla fine della scheda sul matrimonio civile presente nel nostro sito.
Si aprirebbe forse anche la strada al riconoscimento di validità legale per i matrimoni laico-umanisti, riti modellati letteralmente da e sugli stessi sposi e che vengono già proposti dall’Uaar attraverso la sua neonata rete di celebranti. Del resto la legge ammette già che l’officiante il rito non sia necessariamente l’ufficiale di stato civile, ma qualunque cittadino in possesso dei “requisiti per la elezione a consigliere comunale”; si tratta del cosiddetto “matrimonio del migliore amico”.