Un manifesto della fede cristiana

par La Poesia e lo Spirito
lunedì 23 febbraio 2009

Ripensare la fede oggi

La fede cristiana nasce da un’esperienza d’amore: l’incontro con Cristo. Nei vangeli è un dato chiaro. Ciò che non nasce dall’amore non è cristiano, perché “Dio è amore” (1Giovanni 4,8). Questa premessa è inevitabilmente critica nei confronti di espressioni religiose che lasciano intravedere altre motivazioni e altri fini.

Una verifica continua in tal senso converrebbe anzitutto ai fedeli del cristianesimo: perdere credibilità significa non raggiungere più il cuore della gente e conseguentemente screditare i propri ideali. Il passaggio delicato è quello dal carisma all’istituzione: un percorso obbligato, che non può diventare un alibi per tradire le caratteristiche originali. Il fondatore si riconoscerebbe ancora nella religione o nel movimento da lui iniziati? Vengono in mente i roghi dell’inquisizione o le stragi delle crociate: si potrebbe argomentare che il fine, allora, era la salvezza del fedele o dell’infedele, ma Gesù di Nazaret non avrebbe sottoscritto tali metodi.

La legge dell’amore implica conseguenze evidenti: la scelta del dialogo nei rapporti personali e sociali, politici e giuridici; la rinuncia ai segni del successo e del potere, economico e militare; la preferenza per le forme aperte nelle strutture materiali, per indicare la disponibilità alla condivisione dei beni fisici e spirituali. Perfino uno Stato può diventare una terra generosa e accogliente, un gan in eden, un giardino nella steppa (Genesi 2,8). Il criterio nella comunicazione dovrebbe essere di tipo propositivo, non imperativo: la libertà è il presupposto dell’amore. La comunità cristiana è chiamata a suscitare entusiasmo, e ciò è possibile se tocca le leve più profonde della persona. Al centro deve essere posto il carisma di Cristo, che attira tutti a sé col suo darsi senza riserve. Attirare, non costringere; la dinamica della fede è il desiderio.


Come Gesù, la comunità cristiana dovrebbe avere un’attenzione senza compromessi per i poveri, i malati, gli emarginati. E, come Gesù, dovrebbe essere pronta ad affrontare l’ostilità dei ricchi e dei potenti. Non si può dimenticare che il Nazareno fu giustiziato dal potere politico-religioso, che scorgeva in lui un pericoloso sovvertitore dell’ordine costituito.

La Chiesa non può accomodarsi nelle pieghe della società, cercando di barcamenarsi in un irenismo neutrale: deve prendere posizione contro ogni ingiustizia, seguendo l’esempio del maestro, essere uno stimolo continuo per le forze politiche e le organizzazioni sociali. La liturgia dovrebbe inverarsi in azioni concrete, per non essere ridotta a rito vuoto e ipocrita: è coerente scambiarsi il segno della pace se si provocano guerre con scelte egoistiche? O spezzare il pane della mensa eucaristica se non si spezza quello della mensa quotidiana? Lo stesso discorso vale per la catechesi: come insegnare agli altri se faccio il contrario nella vita? La diaconia, cioè il servizio, non è un metodo per accumulare punti paradiso, ma un immergersi nel dolore dei poveri per riscattarlo fin dove è possibile. L’intera articolazione della vita cristiana dovrebbe essere passata al vaglio della verità esistenziale quotidiana: questo è il senso del Logos che si fa carne; in caso contrario, è una finzione che crea barriere o addirittura odio e disprezzo, mentre dovrebbe gettare ponti per comprensioni sempre più profonde.

La fede cristiana diventa necessariamente politica: è un’illusione volerla rinchiudere nella naftalina delle sacrestie; il messaggio di Gesù sgretola i muri alzati a protezione dei propri privilegi, le palizzate dell’indifferenza e del razzismo, i lager delle discriminazioni di ogni genere. La Chiesa non può, tuttavia, identificarsi in un partito, perché verrebbe assorbita in logiche di potere che il fondatore non le ha assegnato, anzi, da cui ha ordinato di guardarsi. In materia etica, la comunità cristiana non può imporre allo Stato le proprie posizioni, ma deve testimoniarle con la forza di una convinzione profonda, che metta in crisi le scelte di comodo: ognuno ha il diritto di esercitare la propria libertà, ma nessuno può esigere il silenzio su argomenti in cui sono in gioco i valori più alti.

La Chiesa non è una comunità di giusti: è un’assemblea di persone che riconoscono la propria fragilità, sanno di aver sbagliato e di poter sbagliare; per questo motivo non è un tribunale di giudici severi, ma un rifugio per chiunque voglia imparare ad accettarsi nel suo statuto di essere imperfetto, esposto alle tentazioni e alle prove della vita. Solo una comunità di questo tipo può testimoniare il Cristo che ha voluto dare tutto, anche la vita fisica, per amore dei poveri. Il cristianesimo è la religione che riconosce il segreto di ogni cambiamento: sentirsi amati per imparare ad amare, a propria volta.


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