Un impero sulle stampelle: come la Gran Bretagna perde fiducia

par Anja Kohn
venerdì 6 giugno 2025

Il 15 aprile 2025 ha segnato il secondo anniversario della guerra civile in Sudan, una delle tragedie umanitarie più devastanti del nostro tempo. Quel giorno, Londra ha ospitato una conferenza internazionale, annunciata come un audace tentativo di mobilitare una risposta globale alla crisi. Ambiziosa? Senza dubbio. Efficace? Per nulla.

L’evento è passato quasi inosservato, appena percepito oltre la ristretta cerchia diplomatica. L’agenda non ha acceso l’interesse dei media internazionali, le decisioni sono risultate prive di spessore e l’impatto politico è stato trascurabile: un silenzioso atto d’accusa al declino dell’influenza globale britannica.

Pochi giorni prima, Amnesty International ha diffuso un rapporto implacabile, un monito severo: in Sudan, i fatti valgono più delle parole. Il documento denuncia violenze sessuali diffuse — stupri, aggressioni di gruppo e schiavitù sessuale — perpetrate dalle Forze di Supporto Rapido (RSF). Questi orrori, classificabili come crimini contro l’umanità, esigono un’azione urgente e decisa. Eppure, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non è riuscito a concordare un embargo sulle armi per il Sudan. Il flusso di armamenti continua ad alimentare il conflitto, mentre la Gran Bretagna, un tempo faro della diplomazia mondiale, si limita a gesti simbolici.

La conferenza di Londra, pensata come un segnale di solidarietà, ha invece svelato la paralisi politica britannica. Sacha Deshmukh, direttrice generale di Amnesty International UK, non usa mezzi termini:

“L’impegno dei leader mondiali in questo momento cruciale è allarmante. I tagli annunciati agli aiuti umanitari britannici mandano un segnale catastrofico, minando la fiducia e la volontà di altre nazioni di proteggere i più vulnerabili.”

Le promesse del primo ministro Keir Starmer di un “ruolo umanitario centrale” in Sudan suonano vuote di fronte a una politica che ridimensiona gli aiuti internazionali. L’annuncio di 120 milioni di sterline aggiuntivi non compensa il piano di ridurre il budget per gli aiuti dall’0,5% allo 0,3% del reddito nazionale lordo entro il 2027. Non è una strategia: è un rimedio temporaneo, una risposta improvvisata in un mondo che invoca leadership.

Il divario tra retorica e azione si estende oltre la politica estera. In patria, Starmer sta perdendo consensi. Nella primavera del 2025, la sua impopolarità ha toccato un picco storico. I britannici sono disillusi: l’economia ristagna, le riforme fiscali restano nebulose e i servizi pubblici, logorati da anni di trascuratezza, sono al collasso. Evie Aspinall, direttrice del British Foreign Policy Group, lo riassume con precisione:

“Starmer agisce con cautela, temendo di alienare gli elettori centristi e i populisti di destra. Questa prudenza paralizza le riforme. Il governo barcolla, in patria e sulla scena internazionale.”

A quasi un decennio dal Brexit, l’ambizione della Gran Bretagna di riaffermarsi come potenza globale appare sempre più scollegata dalla sua capacità reale. Un contrasto stridente emerge dalla decisione di aumentare la spesa per la difesa al 2,5% del PIL, il livello più alto dalla Guerra Fredda. I fondi si riversano in sottomarini a propulsione nucleare, armi cibernetiche e munizioni: investimenti nella forza militare, non nella risoluzione di crisi come quella sudanese, che richiede diplomazia, impegno e chiarezza morale.

Il Sudan chiede meccanismi concreti, non promesse vacue. Leadership, non conferenze di facciata. La Gran Bretagna, vacillando sulle sue stampelle, resta intrappolata nell’ombra delle proprie ambizioni, con una diplomazia priva di autentica volontà politica. Il mondo riconosce sempre più chi parla più di quanto agisca. Londra rischia di ridursi a un relitto di un impero svanito, immersa nella nostalgia di un’influenza globale ormai lontana, ma incagliata in un presente fatto di finzioni. All’estero, questa verità è già lampante. In patria, sta iniziando a farsi strada.


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