Un grande giubileo della… discordia
par UAAR - A ragion veduta
lunedì 16 novembre 2015
Per quanto pretestuosa o assurda possa essere, c’è sempre una matrice dietro qualunque terrorismo. Non esiste il terrorismo senza aggettivi, al massimo possono esistere persone che, pur di dare sfogo ai propri istinti violenti, si aggrapperebbero a qualunque pretesto. Quello entrato in azione a Parigi in ben sei diversi punti della città, uccidendo 129 persone e ferendone quasi il triplo, è terrorismo di tipo islamista, cioè religioso. Quindi con rivendicazioni religiose. Infatti si rifà al Jihad e ha come obiettivo il ripristino del califfato.
È chiaro che gli obiettivi degli attentati vengono sempre individuati sulla base della loro avversità, o percepita tale, rispetto all’ideale perseguito dal movimento terrorista. Nel caso specifico dello Stato Islamico, essendoci anche una rivendicazione territoriale, tra i nemici vengono annoverati per primi quei governi che ostacolano la sua espansione, ma questo non significa affatto che la componente religiosa dell’azione terroristica, o anti religiosa se vista in rapporto agli altri culti, sia marginale rispetto al contesto. Anzi, è vero esattamente il contrario, e lo dimostrano le cronache relativamente recenti. Charlie Hebdo è stato attaccato perché le sue vignette raffiguranti il profeta Maometto sono ritenute blasfeme. A Copenaghen sono finiti nel mirino dei fondamentalisti un centro culturale, dove si trovava il disegnatore Lars Vilks già finito in una lista nera degli islamisti, e una sinagoga.
Ciononostante vi è sempre stata, da parte di molti, un’incredibile tendenza a ridimensionare il peso che la religione assume nelle azioni dei terroristi, come se si trattasse di qualcosa di incidentale, di folcloristico. Questo almeno da parte di una certa sinistra multiculturalista che individua nell’occidente, e in fatti risalenti almeno al secolo scorso, il responsabile unico di tutti i mali, legittimando di fatto l’azione terroristica. Ma in un certo senso anche da parte dell’estremo opposto, ovvero una certa destra identitaria che assimila musulmani e terroristi e che blatera di radici cristiane quasi a voler proporre una sorta di “manifesto del culto”, opponendo quindi la cristianità all’islamismo. Da parte cattolica, poi, i soliti mantra riproposti puntualmente anche adesso; quello del “in fondo se la sono cercata”, che certo se si sbeffeggia una religione non ci si può poi lamentare delle conseguenze, e quello del“sembrano religiosi ma sono atei”, perché tanto a prendersela con chi non crede in nessun dio ci si azzecca sempre.
Questo fino a oggi, perché con un giubileo alle porte le cose assumono un’altra forma. Non perché siano effettivamente mutate, ma solo perché le si guarda da una prospettiva diversa. Adesso quella parte di italiani che finora si era convinta, ma in fondo neanche tanto, che la religione c’entrava fino a un certo punto, e che percepivano gli attentati come lontani da noi, comincia a ridisporre i tasselli del mosaico sul tavolo. Ci sono dei terroristi che ce l’hanno con l’occidente e con i non musulmani, quindi anche con i cristiani. C’è uno Stato di mezzo chilometro quadrato nel centro di Roma che rappresenta la principale confessione cristiana. C’è in programma un evento, della durata di un anno, che porterà a Roma non turisti qualsiasi ma pellegrini cristiani. Ci sono delle minacce esplicite dei jihadisti verso l’Italia e verso il papa. Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per cucinare un bel piatto a base di terrore.
Solo fantasie? Magari fosse così, in realtà il quadro sembra piuttosto realista. Chiaramente nulla si può dare per scontato, ma è evidente che le probabilità che degli islamisti attacchino Roma sono molto maggiori durante l’anno giubilare imposto dal pontefice massimo, non occorre essere esperti di statistica per arrivare a capirlo. E dire che solo il giorno prima Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, incalzato sul rischio terrorismo per il giubileo aveva profeticamente dichiarato che «non ci sono particolari elementi per allarmare». Le ultime parole famose. Tra l’altro tra lo stesso Fisichella e il prefetto Gabrielli c’è pure stato un botta e risposta, dove il secondo metteva le mani avanti riguardo ai tempi entro cui realizzare le opere programmate, e il primo lo strigliava con toni perentori.
Così divampa sui social l’hashtag #StopGiubileo e con esso i dubbi sull’opportunità di mandare avanti, in questo frangente, la macchina organizzativa italo-vaticana. Molto più italo che vaticana. Dubbi che attanagliano non i soliti complottisti bensì rappresentanti di tutti gli schieramenti politici. Tutto ciò ad appena poche ore dallo stanziamento di 200 milioni deliberato dal Consiglio dei Ministri, peraltro ritenuto insufficiente da chi dovrebbe difendere i consumatori e si ritrova invece a sostenere i finanziatori di manifestazioni religiose a carico dei consumatori. Questo solo per cominciare, perché il capitolo sicurezza dovrà ulteriormente essere finanziato a parte e sarebbe bene che se ne facesse carico chi la sicurezza la mette a rischio: il Vaticano. Certo non si potrà lesinare proprio su quello.
Ma la Chiesa, come del resto era facile aspettarsi, non ha nessuna intenzione di rinunciare a un giubileo che piuttosto che della misericordia sembra essere della discordia. Di fronte a una simile ipotesi il principio secondo cui chi provoca è il primo responsabile della reazione suscitata, tanto caro ai detrattori di vignettisti e registi vari, non vale più. Al suo posto entra in vigore un nuovo principio del connubio tra sicurezza e responsabilità, che per il portavoce della sala stampa vaticana Lombardi si riassume nell’idea che il giubileo s’ha da fare «senza seminare atteggiamento di paura. Al contrario, viviamolo con coraggio continuando a cercare di costruire la pace, resistendo alla logica dell’odio e dell’omicidio. Non lasciamoci rubare la speranza». Ancora più netto il generale Leonardo Tricarico, secondo cui «rinviare il Giubileo sarebbe la vittoria dei terroristi». Quando si dice il relativismo.
Massimo Maiurana