Un cambio di pelle per i nostri 007: da infiltrati ad agenti provocatori
par Osservatorio Repressione
venerdì 27 giugno 2025
Direzione e organizzazione di associazioni terroristiche, arruolamento e addestramento di terroristi, istigazione a commettere delitti contro la personalità dello Stato: sono solo alcune delle attività consentite dal decreto sicurezza ai servizi. Così i nostri 007 cambiano pelle: da possibili infiltrati per smascherare gli autori di gravi reati ad agenti provocatori. E ciò in un quadro in cui i limiti sono già, per essi, assai ridotti.
di Nello Rossi da Volere la Luna
Il discusso decreto legge Sicurezza, ora convertito nella legge 9 giugno 2025 n. 80, ha dilatato (a dismisura?) le cosiddette garanzie funzionali degli operatori degli apparati di sicurezza ossia la loro facoltà di commettere reati per esigenze di servizio con la previa autorizzazione del Presidente del Consiglio o dell’Autorità da questi delegata.
La nuova norma, passata quasi sotto silenzio (l’art. 31, quarto comma, della legge n. 80), dice che, nell’ambito dell’attività dei Servizi di sicurezza, potranno essere autorizzati dal Presidente del Consiglio o dall’Autorità delegata una lunga serie di delitti contro la personalità dello Stato, contro l’ordine pubblico e contro l’incolumità pubblica. L’elencazione di ciò che potrà essere consentito – qui limitato alle fattispecie più eclatanti – è francamente impressionante giacché spazia dalla “direzione” e “organizzazione” di associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico all’arruolamento con finalità di terrorismo, anche internazionale; dall’organizzazione di viaggi di trasferimento per finalità di terrorismo all’addestramento e al finanziamento di attività terroristiche; dalla partecipazione alle associazioni mafiose alla fabbricazione e detenzione di materie esplodenti. Sino all’istigazione a commettere gravi delitti contro la personalità dello Stato. Tra le molte attività illecite “autorizzabili” spiccano dunque condotte criminose che vanno ben oltre l’infiltrazione in gruppi terroristici e prefigurano invece l’assunzione di ruoli preminenti ed attivi (non di promozione ma comunque) di direzione, di organizzazione, di finanziamento, di addestramento, di propaganda ed istigazione ai crimini, “in teoria” più consoni alle attività di agenti provocatori che di servizi di intelligence.
Il futuro più lontano è nel grembo di Giove e il passato ha conosciuto torsioni e deviazioni delle agenzie preposte alla sicurezza interna ed internazionale: è alle norme, dunque, che restano affidate le più salde garanzie sul rispetto dei limiti propri delle attività dei Servizi. E il fatto che le disposizioni sulle c.d. garanzie funzionali siano divenute così eccessive, sovradimensionate, debordanti non può lasciare tranquilli quanti hanno a cuore la legalità costituzionale. Non saranno poche le norme del decreto legge sicurezza sulle quali verrà sollecitato lo scrutinio di legittimità costituzionale. Tra queste ben potrebbero figurare, ove di esse si giunga a discutere in un giudizio, le previsioni qui discusse per l’irragionevole ampiezza delle attività illecite in esse scriminate.
C’è inoltre anche un’altra questione che riguarda i limiti dei poteri dei Servizi di sicurezza che è emersa in questi giorni a margine del caso Paragon Graphite, lo spyware di fabbricazione israeliana che sarebbe stato usato per intercettazioni nei confronti di giornalisti di Fanpage (e non solo) alle quali i Servizi si sono dichiarati del tutto estranei. La vicenda, come si addice alle spy story, è intricata e densa di interrogativi ancora senza risposta. In attesa che la nebbia si diradi, anche grazie alle indagini, vale la pena di segnalare un punto.
La Relazione del COPASIR sull’utilizzo dello spyware Graphite sottolinea che l’art. 4 del decreto n. 144 del 2005 prevede che siano sottoposte all’autorizzazione del Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma le “sole” intercettazioni preventive di conversazioni o comunicazioni effettuate anche in via telematica, oltre alle intercettazioni ambientali. Ma è noto che i captatori informatici consentono di acquisire non solo comunicazioni in itinere ma «anche i messaggi scambiati con le diverse applicazioni a disposizione ovvero ogni altro contenuto che sia presente sul dispositivo mobile infettato dal cosiddetto spyware». Attività di acquisizione, questa, per la quale è oggi prevista la sola autorizzazione del Presidente del Consiglio o dell’Autorità delegata, senza alcun intervento dell’autorità giudiziaria. Da tempo la Corte costituzionale, con la sentenza del 7 giugno 2023 n. 170, ha affermato che i messaggi archiviati nei device elettronici, che rivestano un interesse attuale per il proprietario, sono da ritenere a tutti gli effetti «corrispondenza» alla quale sono applicabili le garanzie di libertà e segretezza previste dall’art. 15 della Costituzione la cui limitazione può avvenire «soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria». Di qui l’opportunità di una revisione normativa che estenda l’autorizzazione del Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma anche alla acquisizione di messaggi o altri dati informatici presenti nei dispositivi mobili acquisiti dai Servizi.
Sarebbe davvero singolare che attività dei Servizi di sicurezza estremamente invasive ed incidenti su beni costituzionalmente protetti come la segretezza della corrispondenza potessero continuare a svolgersi al di fuori di ogni vaglio preventivo dell’autorità giudiziaria a dispetto di quanto previsto dall’art. 15 della Costituzione.