Ultime da Cagliari: combattere finché non ci saranno le armi

par Luca Mirarchi
lunedì 27 ottobre 2008

I ragazzi della protesta studentesca 2008 sono nudi, educati e pieni di buoni propositi. E non hanno nessuna possibilità di vincere – ma non è colpa loro.

 

È chiaro, non sono nudi in senso letterale, anzi, tutto sommato fanno ancora parte di una generazione benestante. Sono i figli dei baby boomers degli anni ’50-’60, e in molti casi i loro genitori hanno beneficiato dell’università di massa post ’68, dopo la contestazione hanno trovato un lavoro, e anche se adesso sono chiusi i cineclub, spesso si ritrovano nella stessa fila alla cassa in un centro commerciale. Già, perché nel frattempo, qualcosa è cambiato.

 

La scuola pubblica italiana, che ancora nel secondo dopo guerra garantiva un’istruzione fra le migliori al mondo, aveva intrapreso una progressiva discesa che l’ha portata, nell’autunno 2008, ad arrancare sul precipizio. La storia delle riforme della pubblica istruzione è una sequenza di nobili iniziative sulla carta, ma che hanno avuto un effetto inversamente proporzionale nella pratica.

I problemi dell’università (così come quelli delle elementari) al tempo della ministra Gelmini, sono però di una natura diversa rispetto al passato. Se prima i tentativi di intervento sulla scuola avevano comunque finalità strutturali e di cambiamento nella didattica, l’attuale decreto 133 ha prodotto uno scarto ulteriore e simmetrico: l’edificio della scuola pubblica va de-strutturato, smantellato, e la qualità della didattica non viene nemmeno presa in considerazione.

I tagli sostanziali ai già miseri finanziamenti degli atenei pubblici – che verranno privatizzati, sul modello dei grandi college americani, nonostante le scarse analogie tra USA e Italia – avranno come conseguenza l’aumento indiscriminato delle tasse e l’abbassamento del potenziale numero di iscritti agli anni successivi. Dunque università meno frequentate – ma, attenzione – non solo dagli studenti. Il blocco del turnover nell’assunzione di nuovi ricercatori, associato all’ulteriore taglio di finanziamenti, porterà al decadimento di intere branche di studio e dunque anche alla riduzione dell’offerta disciplinare accademica. Perché, quindi, tali provvedimenti? Soldi. Le motivazioni sono esclusivamente economiche. La recessione globale e la finanziaria nazionale attingono fondi per risanare il bilancio direttamente dall’unica istituzione deputata al futuro dell’Italia: la scuola pubblica. Quale futuro aspetta gli studenti del 2008?

Sono nudi, perché non hanno più alle spalle un’ideologia politica (comunista o democristiana che fosse), sono nudi perché la Chiesa da tempo si occupa di tutto tranne che di religione, nudi perché li aspetta un futuro peggiore del passato dei loro genitori: studieranno anni (laurea, specialistica, dottorati, master), invieranno centinaia di CV, accetteranno lavori di tre mesi sottopagati senza copertura assicurativa, non riusciranno a sposarsi e ad avere figli prima dei quaranta, passeranno la vita a pagare il mutuo della casa, e dopo non avranno nemmeno una pensione.

Gli studenti del 2008 sono nudi, educati e pieni di buoni propositi. Vogliono informarsi, coinvolgere genitori e professori, avere un confronto. Chiedono di far sentire la loro voce. Sanno che i media e l’opinione pubblica sono pronti ad inveire contro: “bamboccioni, fannulloni che okkupano perché non hanno voglia di studiare..” – parole già troppe volte sentite. Parole senza senso, oggi, perché la società è cambiata. E un domani, per le “okkupazioni”, potrebbero mancare gli edifici stessi – di quella che una volta veniva chiamava Università, scuola pubblica, dove si iscrivevano tutti quelli che volevano disegnare una vita migliore.

I ragazzi della protesta studentesca 2008 non hanno nessuna possibilità di vincere, contro un governo che gode di tale maggioranza e appoggio mediatico, se tutta la società civile non si schiererà dalla loro parte. Ma in ogni caso, non hanno scelta: l’alternativa alla resistenza e la rinuncia a se stessi. Quando ti tolgono tutto, cos’altro ti resta?


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