Turchia, passi costituzionali
par Enrico Campofreda
giovedì 2 maggio 2013
La commissione preposta alla stesura del nuovo testo costituzionale turco dopo un mese di proroga (un rinvio di tre mesi c’era già stato nello scorso dicembre) ha concluso la seconda fase dei lavori. Ora s’avvia a una terza e conclusiva sessione entro maggio sebbene si vocifera che l’impegno scivolerà a fine giugno. Il capo della commissione e speaker del Parlamento Cemil Çiçek ha dichiarato alla stampa: “Se falliamo il popolo dirà che siamo peggiori di chi puntava a colpire la Costituzione”. L’attuale Carta Costituzionale risale al 1982 ed era subentrata alla legge marziale imposta dal colpo di stato del 1980. Secondo Çiçek tutte le quattro componenti politiche nazionali (il partito filo islamico al potere e le opposizioni repubblicana, nazionalista e filo kurda) dopo le elezioni del 2011 hanno fatto seguire l’intento di riscrivere la Costituzione. Ma ha anche dichiarato che “Se la commissione, formata da tre membri per ciascuno dei quattro partiti, non produrrà una proposta concreta sarà l’intera politica a perdere credibilità agli occhi dei concittadini”.
Nelle sue considerazioni c’è il punto di vista dell’uomo d’apparato dell’Akp che dal 2002, anno d’insediamento nel Palazzo governativo di Ankara, insegue il disegno di adattare la Carta alla nuova realtà del Paese di cui la formazione è asse centrale. Gli avversari - storici sostenitori dello Stato kemalista (Chp) o suoi fanatici cultori (Mhp) - dopo uno strenuo boicottaggio hanno dovuto prendere il toro del rinnovamento per le corna.
Richiami a una riscrittura senza vincoli giungono da esponenti del Chp mentre secondo Akad Ata del Bdp il gruppo sta operando sotto pressione imposta dall’Esecutivo che mira a una rapida conclusione. Abbottonatissima la triade dell’Akp in commissione (Mehmet Ali Åahin, Ahmet Ä°yimaya, Mustafa Åentop) che finora ha evitato dichiarazioni pubbliche. Ma se questa task force dovesse fallire il partito erdoÄaniano è intenzionato a lanciare un proprio disegno per il referendum costituzionale, come già preannunciato a marzo dal premier in occasione d’un suo dubbioso intervento sull’esito favorevole dei lavori.