Turchi alle urne: Erdogan cerca la maggioranza qualificata per cambiare la Costituzione

par Sergio Bagnoli
domenica 12 giugno 2011

Intanto i partiti repubblicano, fortissimo nella zona di Smirne e ad Istanbul, e nazionalista denunciano l’uso distorto di inchieste giudiziarie per screditarli.

Oggi in Turchia è giorno di elezioni legislative: gli abitanti del grande paese asiatico, con la testa in Europa in riva al Bosforo, che da un ventennio anela ad entrare a far parte dell’Unione europea dovranno rinnovare i 550 deputati che siedono al Parlamento di Ankara, la capitale del Paese distesa sull’altipiano anatolico, voluta dal Padre della Turchia moderna Ataturk in segno di discontinuità con Istanbul sede dell’Impero ottomano. L’attuale premier Recep Tayyip Erdogan, a capo del Partito Islamico per la Giustizia e lo Sviluppo, l’Akp, stimato su posizioni moderate rispetto agli altri partiti islamici della cosiddetta “ Mezzaluna araba”, mira a conquistare la maggioranza qualificata dei seggi parlamentari da assegnare, cioè quei due terzi che gli consentirebbero di cambiare senza alcun patema la Costituzione e di trasformare la Turchia in una Repubblica Presidenziale con lui a capo, ovviamente. Erdogan è molto popolare nella Nazione euro- asiatica in quanto sotto il suo governo il benessere del Paese è nettamente migliorato, il Pil è cresciuto annualmente con percentuali da “miracolo economico” e la Turchia non ha risentito minimamente degli sconquassi della crisi economica mondiale. I sondaggi assegnano all’Akp una percentuale di suffragi compresa tra il 43 ed il 48%. Se il partito islamico-moderato dovesse avvicinarsi o superare l’apice della forchetta prevista dai sondaggisti controllerebbe effettivamente i due terzi del Parlamento. Ciò grazie alla soglia di sbarramento prevista per entrare a farvi parte, da tutti e specialmente dall’Unione europea considerata oltremodo alta, pari al dieci per cento. In forza di detta soglia sono solamente tre i partiti sicuri di eleggere rappresentanti all’Assemblea legislativa e cioè, oltre al Partito islamico di Erdogan, i Repubblicani del Chp, ispirati dall’insegnamento di Kemal Ataturk che preconizzano una Turchia assolutamente laica come è stata sino a tre lustri fa, ed i nazionalisti. Assai incerta la possibilità che il Bdp, cioè il Partito moderato curdo per la Democrazia e la Pace possa entrare in Parlamento. Due mesi fa la Commissione elettorale centrale in maniera ambigua ha negato la candidatura ai sette esponenti curdi più rappresentativi e popolari che avrebbero fatto man bassa di voti nel Sud- Est del Paese, abitato appunto da questa minoranza etnica i cui diritti sono quotidianamente conculcati dal governo. Non a caso Erdogan ha colpito i curdi: pure il suo Akp nella zona è sufficientemente radicato tanto da fargli sperare che proprio dall’Anatolia più arretrata gli arriveranno quei voti necessari al controllo totale dell’incerta democrazia del grande paese musulmano. Pure dal versante targato Mhp, cioè dai nazionalisti, e da quello del Partito repubblicano giungono accuse contro Erdogan che avrebbe usato in maniera oscura contro di loro l’arma della repressione giudiziaria.

A Smirne, città in cui i repubblicani sono al governo municipale e risultano molto popolari, alcuni amministratori sono stati arrestati con l’accusa di corruzione mentre in casa nazionalista, così denuncia il loro leader Devlet Bahceli, si lamentano arresti per una brutta storia di abusi sessuali. I nazionalisti accusano Erdogan di tramare con ogni mezzo illegale per non farli entrare in Parlamento. Nonostante le sordide manovre anti- democratiche di matrice governativa il Partito Repubblicano viene accreditato di un 30% abbondante di suffragi e, come sottolinea il suo leader Kemal Kilicdaroglu, farà entrare in Parlamento ben 38 donne. “Nelle nostre liste le candidate deputate sono ben 109”, sottolinea Kilicdaroglu, e ciò in un paese islamico dove la moglie del Presidente della Repubblica Gul indossa il velo è un’autentica rivoluzione. E’ sulla politica estera che comunque si rimarcano le maggiori differenze tra il Partito di Erdogan e gli altri: il primo ambisce ad un ruolo di potenza regionale in forza della comune radice religiosa del popolo turco con quello degli altri Paesi del Medio- Oriente, anche a costo di una crescente ostilità da mostrarsi nei confronti di Israele; i Repubblicani, invece, mirano a rafforzare il ruolo della Turchia nella Nato, voltando le spalle al bellicoso mondo arabo, e a proseguire una politica di riforme in senso democratico e laico, soprattutto nel campo della Giustizia, sì da avvicinare la Turchia alle grandi Nazioni dell’Europa occidentale, posto che un giorno Ankara mirerà ad entrare a far parte dell’Unione europea. Pure il partito di Kilicdaroglu comunque presenta qualche buco nero nel proprio programma che fa arricciare il naso non solo a Parigi o Berlino ma anche a Bruxelles: per esempio non prevede nulla in ordine ad una definitiva sistemazione dell’isola di Cipro la cui parte sud, stato indipendente, fa parte dell’Unione europea. D’altronde il bacino elettorale dei due grandi protagonisti della politica turca è differente: gli islamico- moderati pescano incondizionate simpatie tra i proletari delle grandi città, tra i sotto-proletari e tra i poverissimi contadini degli altipiani anatolici, i repubblicani tra la buona borghesia filo-europea e filo-occidentale nonché tra i ceti maggiormente istruiti.


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