Trump e la vittoria rubata

par Fabio Della Pergola
lunedì 9 novembre 2020

Trump ha perso e, prima o poi, volente o nolente, dovrà fare le valige e sgombrare la Casa Bianca.

Ma resterà il suo lascito che ha affascinato e convinto la bellezza di 70 milioni di americani. E resterà l’idea – da lui provocata e da lui sostenuta ­– che le elezioni sono state truccate, che la vittoria democratica è stata ottenuta con la frode.

In altri termini che lui ha vinto, ma gli altri (gli altri chi? I democratici, i Clinton, gli Obama, Soros, Bill Gates, Zuckerberg e gli altri social, le televisioni – Fox compresa – i giornali mainstream, i massoni e chissà chi altro…) hanno rubato la “sua” vittoria.

E si può stare certi che molti, moltissimi dei sostenitori di Trump ci crederanno davvero. Crederanno davvero che un complotto gigantesco ha rubato la loro vittoria, contando sul supporto delle amministrazioni locali che gestiscono la conta dei voti, fossero anche repubblicane, come quella attuale della Pennsylvania. Tutti d'accordo contro il Presidente che sicuramente ha vinto. Ma che si è visto sottrarre con l'inganno la vittoria.

Che è stata mutilata.

Non è un aggettivo scelto a caso: di “vittoria mutilata” parlava D’Annunzio per infiammare i nazionalisti e i reduci dopo la prima guerra mondiale, gettando le basi di quel processo che doveva sfociare nell’impresa di Fiume e, più tardi, nel primo fascismo.

Alla logica della vittoria scippata potremmo accostare anche la Dolchstoßlegende, la "leggenda della pugnalata alla schiena", con la quale i nazionalisti tedeschi spiegavano la sconfitta del 1918, addossandola non ai ripetuti rovesci militari, ma al cedimento del “fronte interno”, cioè alla debolezza dei democratici, all’opposizione comunista, all’internazionale giudaica. Anche in questo caso il livore per la vittoria a portata di mano, ma “tradita”, fu fondamentale per la costruzione dei mitemi fondativi del nazionalsocialismo.

Due menzogne che contribuirono ad affossare, in Italia come in Germania, ogni credibilità della democrazia liberale. Fino a determinarne la morte. Con le conseguenze che tutti conosciamo.

Altri tempi, si dirà (giustamente). Ma con un preoccupante risuonare di temi simili nella cronaca americana, dove il neo presidente Biden è già ampiamente definito “illegale”, seguendo la tradizione recente della destra inaugurata con la bufala sulla nascita in territorio non americano di Obama (cosa che ne avrebbe resa illegittima la nomina). Oggi "Trump ha teso una serie di trappole destinate a screditare e sminuire anche il sistema elettorale, in modo che alcuni americani perdano la fiducia nel suo funzionamento". Ne ha parlato Anne Applebaum su The Atlantic, ripreso da Internazionale

Illegittimo. Se un presidente è “illegittimo” (Obama prima, Biden oggi) è chiaro che le elezioni non hanno più alcun valore. Sono frodi ben orchestrate, ma sempre e solo frodi (o almeno lo sono solo quando fanno vincere un democratico). Con queste argomentazioni il sistema non ha più le basi di credibilità e condivisione su cui si può reggere. Non ha più senso. E il tavolo salta.

È esattamente il progetto della prima ora del trumpismo, descritto a parole chiarissime da Steve Bannon (non dimentichiamo il suo ruolo nella vittoria di Trump nel 2016) che si definì “leninista”. E a chi gli chiedeva conto di questa affermazione, replicò candidamente: “Lenin wanted to destroy the state and that’s my goal too. I want to bring everything crashing down and destroy all of today’s establishment.” 

C’è bisogno di traduzione? "Lenin voleva distruggere lo stato e quello è anche il mio obiettivo. Voglio buttare giù ogni cosa e distruggere tutto del sistema attuale".

Vedete forse un qualche paragone possibile fra la Russia degli zar e l’America di oggi? Vedete un nesso possibile fra il capo dei bolscevichi e Steve Bannon o Donald Trump? Se lo vedete fatevi visitare, ne avete bisogno (e non escludo che qualcuno, anche a sinistra, ne abbia bisogno).

Per essere più chiaro: il mondo occidentale (e in particolare quello a stelle e strisce) ha bisogno di approfondite revisioni. Culturali ed economiche. Sociali e giuridiche. Nessuno lo nega. Ma se la soluzione proposta è quella di percorrere la stessa strada imboccata dall’Italia degli anni Venti o dalla Germania degli anni Trenta, penso che sia opportuno chiarirsi bene le idee.

Trump è stato sconfitto in libere e legittime elezioni. Ma agiterà a lungo il mito della vittoria mutilata. Sta ai democratici e alle sinistre di ogni paese fare in modo che questo mito non si trasformi nel progetto fondativo di un sistema illiberale e reazionario dai contorni a dir poco inquietanti.

Oggi quel progetto ha subìto una battuta d'arresto importante, ma è meglio non illudersi: la strada sarà lunga e il cammino - per le nostre democrazie - irto di pericoli.

 Foto: Gage Skidmore/Flickr

 


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