Trump e l’America fondamentalista

par Fabio Della Pergola
lunedì 21 novembre 2016

Di tutti i discorsi fatti su e intorno all’America che verrà - quella di Donald Trump e della sua parrocchia - pochi hanno voluto evidenziare i connotati religiosi che daranno l’impronta probabilmente più marcata al suo mandato.

Qualche cenno ne ha fatto Raffaele Carcano, coordinatore culturale dell’UAAR, su left di questa settimana, mettendo in risalto le due sigle che contraddistinguono, secondo lui, il populismo trumpiano.

Da una parte il classicissimo WASP che denota l’america Bianca (White) Inglese (Anglo=A, Saxon=S), Protestante (P). In italiano suonerebbe come un irrispettoso "BIP".

Dall’altra parte un ancora più sintetico (e irridente) WC che indica semplicemente gli White Cristians come generica classe di orientamento nazionalista, quando non suprematista, dei bianchi, unitamente al loro tradizionale credo religioso interpretato nel senso più ampio e onnicomprensivo dal momento che, oltre alle grandi correnti in cui il cristianesimo si è storicamente diviso - cattolici, protestanti (luterani, calvinisti, anglicani) e ortodossi - è impossibile addentrarsi nella miriade di sette in cui si è suddiviso in particolare il mondo protestante.

Nato dalla fuga dei Padri Pellegrini puritani dalle angherie degli anglicani in madre patria, il mondo religioso americano si è fondato sulla libertà individuale di darsi da sé i propri dogmi e la propria fede, rifiutando da subito una qualsiasi delle imposizioni statuali che imperavano in Europa fin dai tempi del cuius regio eius religio che pose fine - almeno per un po’ - alle cruente guerre di religione sul Vecchio Continente.

L’individualismo religioso americano ha dato origine così a una miriade di sette e congregazioni (chiese - rigorosamente divise fra 'bianche' e 'nere' - i cui pastori sono in contatto diretto con i fedeli locali e rispondono solo al direttorio della loro chiesa, non a una qualsiasi scala gerarchica imposta dall’alto), cioè ad una specie di anarchia dottrinale che non si basa solo sulle Scritture tradizionali, ma anche su un ventaglio di interpretazioni e testi e "illuminazioni" varie che hanno riferimenti a volte piuttosto vaghi con la tradizione cristiana (già di per sé un’interpretazione sui generis degli antichi libri giudaici).

C’è stato chi ha seguito le orme di uno psichiatra freudiano che, sentendo un paziente in trance affermare di essere uno spirito, decise che non aveva problemi psichici, ma che quel che diceva era proprio vero; ovviamente poi fondò una specie di corrente religiosa tutta sua. E ci sono stati i seguaci della Chiesa Universale e Trionfante, che negli anni ’80 si aspettavano la fine del mondo in un conflitto nucleare e si rintanarono in Montana (ma furono processati per possesso illegale di armi). 

Ci sono state sette in cui la promiscuità sessuale, comprensiva di deviazioni pedofile e incestuose, ha significato anche schiavizzazione di bambini e giovani donne ed altre, più tradizionali, in cui ci si è accontentati di una poligamia praticata, come stabilito nel Libro di Mormon su cui si fonda l’omonima setta (fondata peraltro da un massone), e accettata fino alla fine dell’Ottocento quando uno dei loro profeti, in quel momento leader del movimento, ebbe una "rivelazione" che lo indusse ad abolirla. Caso volle che proprio l’abolizione della poligamia era stata la condizione posta dagli Stati Uniti per l’adesione alla confederazione dello Stato dell’Utah, base storica dei Mormoni. Rivelazione divina o opportunismo politico? Difficile a dirsi?

Altri ancora avevano stabilito la data della parusìa (la seconda discesa di Cristo sulla terra) e che, per il mancato avvenimento, si frammentarono poi di scissione in scissione in mille sottosette, a seconda di come questo o quel capo carismatico pensava di rimediare alla catastrofica disillusione.

Infine ci sono tuttora decine di telepredicatori ossessivi e ossessionanti alcuni dei quali hanno un tale successo di pubblico da influenzare pesantemente le elezioni statali (con ovvie conseguenze su quelle presidenziali).

Oggi le varie diramazioni protestanti costituiscono la maggioranza (circa il 53%) degli americani religiosi, contro un 25% di cattolici. A molta distanza ebrei, musulmani, induisti, buddisti e altro tutti sotto la soglia del 2%. Gli atei dichiarati non arrivano al 20%.

Un’America storicamente religiosa quindi, anche se sarebbe interessante ricordare che nel 1797, il Trattato di Tripoli sottoscritto dal Presidente Adams con i Bey degli stati barbareschi, sancì esplicitamente che "il Governo degli Stati Uniti non è fondato, in alcun modo, sulla religione cristiana" e che, perciò, non aveva alcun motivo di ostilità verso il mondo musulmano. Passato remoto.

La particolarità di Trump è di aver dato voce a quell’individualismo esasperato che sta alle radici della fondazione stessa della Nazione. Ben piantato nelle sue velleità indipendentiste fin dai tempi della presidenza di George Washington, quando i fautori di uno stato federale ma forte dovettero scontrarsi con i Jeffersoniani, sostenitori del potere decentrato e locale contro quello centralizzato.

Insomma per l’America profonda che ha fatto sentire la sua voce grossa «l’origine dei mali - lo scrive Nadia Urbinati, ancora su left - sta essenzialmente nel governo e nella politica, non nella società civile e nell’economia». Su questa proposta antisistema - con non poche sfumature di anticapitalismo "rurale" - su cui si è giocata la fortuna dei Tea Party negli anni scorsi (a danno dei repubblicani più tradizionali) si sono giocate anche le elezioni del 2016.

Con l'appoggio esplicito della alt-right (la destra alternativa) i cui temi comprendono un esplicito e sbandierato filonazismo.

E Trump ha vinto raccogliendo, fra l'altro, i voti del popolo emarginato e impoverito grazie alla crisi e alla globalizzazione (anche se non fa male ricordarsi ogni tanto che la disoccupazione USA è al 5%). Cioè a quegli interventi della politica che hanno dato il via alla più sfrenata e irrefrenabile caccia al profitto su scala mondiale a partire dall’abbattimento del muro divisorio fra banche commerciali e banche d’affari con l'abolizione dello Glass-Steagall Act, la legge introdotta nel 1933 per impedire che si ripetesse una crisi come quella del '29, abolizione firmata dal democratico Bill Clinton nel 1999.

Curiosamente la destra bianca e nazionalista, ha vinto con temi che, a rigor di logica, apparterrebbero al programma di ogni sinistra anticapitalista e antiglobalizzazione.

La differenza, più che in quelli economici (ammesso e non concesso che la nuova politica presidenziale risponda poi davvero alle richieste protezionistiche della sua base elettorale), si rivela quindi nei temi sociali: immigrazione, accoglienza, diversità, diritti civili.

Questo è insopportabile per l’America di Trump, che rivela qui la sua vera essenza: suprematismo celodurista e razzismo, antifemminismo e xenofobia, omofobia e autoritarismo, morale cristiana antiabortista e misogina.

Anche se The Donald non dispiace in certi ambiti dell'ambiguo populismo nostrano "né di destra né di sinistra" (Trump è "meno peggio della Clinton", ha affermato Beppe Grillo) è l'estrema destra europea che esulta intravedendo la possibilità di re-importare nel Vecchio Continente quelle "radici bianche e cristiane" fuse ad un accentuato nazionalismo che qui sono piuttosto arruginite.

Sullo sfondo sembra confermata quell'ipotesi, un po' azzardata e un po' fantapolitica, che vede l'Occidente spaccarsi proprio sulle vecchie linee di faglia delle differenze religiose. L'America ritrova le sue radici anarco-congregazioniste, la Gran Bretagna riconferma con la Brexit la sua particolarità anglicana, l'Europa luterana afferma se stessa come di classe A e guarda con sufficienza all'Europa di impronta cattolica relegata a classe B, mentre la Russia ortodossa attrae sempre più nella sua orbita i paesi dell'Europa orientale che ne condividono le radici, Grecia compresa.

E specularmente l'Islàm si divide (e si massacra) proprio sugli antichi confini fra sciiti e sunniti.

L'appartenenza religiosa sembra dunque andare in perfetto accordo con le istanze nazionalistiche più aggressive. E forse la sinistra perde perché - nonostante i suoi balbettamenti, le sue incertezze, le sue connivenze - nel suo DNA c'è l'idea portante che l'umanità è una sola.

Se sapesse motivare con più forza l'idea egualitarista forse la sua battaglia culturale avrebbe qualche chance in più di convincere i popoli che di razze ce n'è una sola, quella umana.

 

 


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