Tremonti e manovra economica: no, non ci siamo proprio

par Federico Punzi
giovedì 30 giugno 2011

A poche ore dal varo della manovra in Consiglio dei ministri le anticipazioni e le voci che circolano sui giornali di oggi sono a dir poco deprimenti. Non solo rispetto alle nuove entrate i tagli strutturali previsti non sembrano assumere la forma necessaria di una vera e propria "aggressione" alla spesa pubblica e sono troppo diluiti nel tempo, non solo non s'intravedono all'orizzonte né una riduzione, sia pur minima, della pressione fiscale, né vere "frustate" liberalizzatrici, ma spuntano tasse e balzelli di ogni tipo che rivelano un approccio anti mercato col quale sarà difficile portarci oltre l'1% annuo di crescita. E senza crescita, è a rischio persino l'obiettivo minimo di questa manovra: il pareggio di bilancio nel 2014.

Al di là di alcune misure condivisibili, si prosegue con una logica da Prima Repubblica, cioè con una caccia grossa a coloro che hanno ancora qualche spicciolo da parte. Il saccheggio dei granai, insomma, mentre l'obiettivo dovrebbe essere quello di farli riempire i granai e di ampliare la platea di quanti producono ricchezza. Manca solo la rapina notte tempo sui conti corrente messa a segno da Amato nel '92, e poi siamo ad una manovra da Prima Repubblica. L'impressione che se ne ricava è che piuttosto che spendere meno, i politici se ne inventino una in più di Dracula per succhiare altro sangue. Una buona metà degli italiani si chiederanno a questo punto che cosa hanno votato a fare il centrodestra nel 2008. Di un centrodestra del genere l'Italia non ha bisogno, non ha alcun senso.

L'adeguamento dell'età di pensionamento delle donne a quella degli uomini, a 65 anni, è una barzelletta: avverrà in modo graduale a partire dal 2020 concludendosi nel 2030! Si rinuncia ad una misura impopolare ma strutturale, per una altrettanto impopolare ma certo non virtuosa: il superbollo sui Suv e le auto di grossa cilindrata (quale la prossima "riforma strutturale", l'aumento delle imposte sulle sigarette?). Attenzione: avrebbe un qualche senso far pagare ai fumatori le spese sanitarie che lo Stato dovrà sostenere per curare le loro malattie, e ha un qualche senso "punire" questa mania dei Suv giganteschi, che nel contesto urbano delle nostre città sono una follia. E la reintroduzione del ticket sanitario avrà l'effetto di responsabilizzare un minimo i cittadini nel ricorso ad esami specialistici e al pronto soccorso. Ma è la mentalità che rivelano queste misure ad essere preoccupante: raccontano di un governo che anziché concentrarsi unicamente nel tagliare la spesa, cerca spasmodicamente nuove entrate.


Ci sono poi misure che rivelano un istinto anti mercato e che rischiano di avere un impatto persino depressivo sull'economia. Tassare le transazioni finanziarie e accanirsi sulla gestione delle attività finanziarie da parte delle banche è una roba "comunista". Punto. Si punisce chi decide di investire i propri risparmi (da una fonte di reddito già tassata) nel finanziamento di attività produttive, pur sapendo della cronica difficoltà delle nostre imprese di ottenere credito dalle banche e finanziamenti in Borsa. Tra l'altro, come ricorda Nicola Porro su Il Giornale, «se una banca o una società devono pagare un euro in più di imposte, è molto probabile che facciano di tutto per traslarle sul proprio cliente. Il quale, a sua volta, se è in grado, le fa pagare al suo di cliente. La sintesi finale è la regressività dell'imposta».

E' positiva la conferma della riforma del Patto di stabilità per i Comuni, per cui chi rispetta gli obiettivi di bilancio e ha soldi in avanzo potrà spendere, a differenza di quanto avviene oggi, così come è rassicurante l'allentamento delle "ganasce fiscali", con il raddoppio dei termini oltre i quali scattano i pignoramenti (da 120 a 240 giorni). Il Foglio si accontenta della liberalizzazione degli orari e dei giorni di apertura degli esercizi commerciali (ma solo nei comuni di interesse turistico e nelle città d’arte), ed è certamente un'ottima misura «sviluppista», ma il segno generale della manovra è a dir poco conservativo dell'esistente. Il pressing su Tremonti sembra non aver prodotto un sussulto di riforme liberali, sia sulla spesa che sulle tasse, bensì una diluizione nel tempo e un ammorbidimento (soprattutto, sembra, su previdenza e costi della politica) dei tagli. Ciascuno è impegnato a salvare dalla sforbiciata il proprio portafoglio ministeriale, non a offrire al Paese un approccio nuovo alla riduzione della spesa pubblica. Manca un ripensamento generale dello Stato e delle sue funzioni, mentre siamo di fronte ad una manutenzione, sia pure "responsabile" ma semplicemente ragionieristica dell'esistente. E non è detto che basti. Il giudizio sulla manovra lo daranno Moody's e le altre agenzie di rating, ma potrebbe essere senza appello.

Dove tagliare? I conti che fa Oscar Giannino sono impietosi nella loro semplicità. Basta avere la volontà politica di tagliare. Basta guardare i numeri e chiunque può comprendere all'istante come difendendo la spesa pubblica i politici difendono in realtà se stessi, mentre fanno credere ai cittadini di difendere i servizi - scadenti - che ricevono dallo Stato.


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