Trattativa stato-mafia. Con le procure o con Napolitano?

par Voltaire
venerdì 24 agosto 2012

Impazza la polemica sulla trattativa Stato–mafia che sarebbe intercorsa agli inizi degli anni ’90 ed avrebbe coinvolto il sancta sanctorum dei vertici istituzionali. Allora i protagonisti erano Ministri, generali, politici di vari partiti ed adesso che la vicenda continua, lo scandalo si estende a macchia d’olio coinvolgendo il Presidente della Repubblica, i suoi conglieri, l’ex vice presidente del Csm ed una schiera di personaggi, noti e meno noti, tirati in ballo in quella che sembra la più grande Commedia umana messa in scena dai tempi di Balzac. Commedia anche se sarebbe meglio parlare di tragedia, perché la mafia è da sempre motivo di sopraffazione, ingiustizia e vittime spesso innocenti.

In tutta questa ingarbugliata vicenda non mancherebbe niente, ci sono mafiosi pronti a siglare un patto con lo Stato, politici intenti a scendere a compromessi con l’antistato, forze dell’ordine che non avrebbero compiuto fino in fondo il proprio dovere, collaboratori di giustizia, pentiti che cambiano versione, cronisti d’assalto e procuratori all’arrembaggio, giustizialismo, garantismo, populismo classico e di nuova generazione noto come "populismo giudiziario". La storia non si è fatta mancare niente.

Quella che latita è la verità intesa come ricostruzione oggettiva dei fatti. Verità che, mai come questa volta, vista l’importanza delle Istituzioni che coinvolge, dovrebbe essere ricostruita quasi in maniera scientifica, sicuramente asettica, lontano da inquinamenti ambientali, ma soprattuto da ogni contingenza politica o di appartenenza. Verità che dovrebbe essere “svelata” al popolo (che da quelle istituzioni nel bene e nel male è stato da sempre rappresentato) solo quando una certezza giudiziaria solida fosse ricostruita, indicando chiamente chi sono le vittime, chi i mandanti, chi gli esecutori e soprattutto, quali sono i reati penalmente perseguibili e quali sono le prove ed i riscontri oggettivi della vicenda.

Tutto il contrario di quello che sta avvenendo ed è successo in questi mesi. Il processo sulla trattativa tra Stato e mafia sta, infatti, avvenendo sui quotidiani. Accusa e difesa contrabattono le proprie tesi non tra le pareti di un tribunale, ma a suon di editoriali, inchieste ed articoli che non rappresentano più pezzi d’informazione ma brandelli di presunte verità e certezze (che per ora nessuno ha o dovrebbe avere, escluso i magistrati) con cui lusingare la propria parte e con cui schiaffeggiare la fazione avversa.

Ogni elemento inoltre si è (forse irrimediabilmente) ingarbugliato da quando il Presidente della Repubblica è stato coinvolto dagli eventi (è stato oggetto di intercettazioni), facendo in modo che l’attenzione si spostasse dai fatti processuali sulla “trattativa”, alle prerogative e sul ruolo del Capo dello Stato. Con il proseguire degli articoli, dei commenti, delle ricostruzioni giornalistiche e con il consolidarsi delle varie posizioni, si è passati al solito schema italiano della divisione in due fazioni contrapposte.

Da una parte i buoni e dall’altra i cattivi, da una parte i puri e dall’altra gli impuri, da una parte i collusi con la mafia e dall’altra i professionisti dell’antimafia, da un lato il partito della fermezza e dall’altro il partito del dialogo. Da una parte Scalfari, un pezzo di Repubblica, i partiti di maggioranza, i giornali filogovernativi e lo stesso governo, e dall’altra Travaglio, Zagrebelsky, il pezzo mancante di Repubblica, Micromega, Grillo, l’Idv, ed un fronte che da minoritario sta diventando sempre più numeroso.

Il perenne gioco della parti ha fatto in modo che l’informazione e la politica occupassero, sempre più, uno spazio che dovrebbe competere solamente all’ambito giudiziario.

Ma come si fa a non comprendere che una democrazia (e la stampa è una parte fondamentale di essa) che si pone e pone ai suoi cittadini la questione in questi terimini: o con il Capo dello Stato o con le Procure (nel caso specifico quella di Palermo), non è una vera democrazia?

 

 

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