Tradizionali delitti in famiglia
par UAAR - A ragion veduta
giovedì 19 giugno 2014
Il triplice omicidio di Motta Visconti e l’arresto del presunto colpevole dell’omicidio di Yara Gambirasio occupano in questi giorni le pagine più importanti dei quotidiani. Non è la prima volta che delitti di questo tipo maturano in contesti apparentemente insospettabili: tranquilli se non sonnecchianti paesi di provincia, famiglie tradizionali da tutti ritenute “normali”. La norma, semmai, è che i crimini più sconvolgenti abbiano luogo in realtà di questo tipo. Eppure, gli avversari della modernità dipingono a tinte fosche e disperate le nuove società urbane. È decisamente venuto il tempo di farla finita con questa propaganda, in cui la vuota retorica nasconde sempre peggio la falsità delle proprie argomentazioni.
L’assassino di Motta Visconti era “diligente a scuola e impegnato all’oratorio, al catechismo e in parrocchia”, scrive Il Giorno. Eppure non ha esitato a uccidere la moglie e i due figlioletti. Massimo Giuseppe Bossetti, arrestato per l’omicidio di Yara, per i vicini è “un bravo ragazzo, dalla vita tranquilla, andava sempre a messa”. “Sul suo profilo Facebook ci sono molte foto di moglie e figli”, nota Repubblica. Con una madre che sa che gli inquirenti lo cercano, ma che si trincera nell’omertà. Quando Edward Banfield descrisse il “familismo amorale” di un omertoso paesino del Sud le istituzioni italiane gli lanciarono contro alti strali, ma la cronaca conferma quello studio quotidianamente, impietosamente, estendolo semmai al Paese intero.
Eppure non passa giorno che i mass media non ci allestiscano l’ormai immangiabile menu fatto di celebrazione di buoni sentimenti e, soprattutto, di peana nei confronti della famiglia tradizionale, generalmente a cura di qualche gerarca della Chiesa romana. La realtà è invece diversa, drammaticamente diversa. Avere una famiglia tradizionale e mantenere un comportamento conformista al pensiero dominante aiuta enormemente a nascondere i progetti più orrendi.
Il risultato, come ha scritto ieri Michele Serra su Repubblica, “è che alla scoperta di quel genere di stragi domestiche oramai scatta, immediato e automatico, il sospetto che ad architettarlo sia stato il marito e padre: come è poi stato puntualmente appurato”. Perché le “mura domestiche” da protettive, in un attimo, diventano un reclusorio che alimenta la pazzia dell’uccisore, occulta allo sguardo sociale crudeltà e violenze, infine, quando tutto esplode, impedisce la fuga degli inermi”. Serra si chiede: “ma la retorica della ‘famiglia tradizionale’ come luogo di sole virtù e soprattutto di sole sicurezze: quella, quando è che verrà messa finalmente in dubbio, magari aprendo un varco di salvezza per chi scappa?”
Bisognerebbe saper anteporre i diritti dell’individuo a quelli (scritti o non scritti) della famiglia e della comunità. Per molti è realmente impossibile. Sono gli stessi che, se leggeranno quanto abbiamo scritto, leveranno a loro volta alti strali. Eppure sarebbe bello poter leggere qualche autorevole riflessione cattolica su una nazione dalla facile pratica familista e tribale. Perché anche per la Chiesa vale quanto scritto da Serra: il pregiudizio negativo scatta ormai automaticamente, quando per esempio si parla di pedofilia. E allora, non sarebbe venuto il tempo di lasciare da parte ogni retorica e ogni demonizzazione di coloro che fanno scelte diverse rispetto al magistero? Serve molto più equilibrio, quando ci si confronta dialetticamente. Lo si usasse più spesso, ci sarebbero anche molti meno squilibrati in giro.