Tra anoressia e fame di Dio

par UAAR - A ragion veduta
lunedì 24 giugno 2013

Ri­fiu­ta­re le cure me­di­che nel­la con­vin­zio­ne che Dio pos­sa gua­ri­re e mo­ri­re. L’ul­ti­mo caso che ha de­sta­to scal­po­re è quel­lo di An­to­nel­la Mi­ra­bel­li, una di­cian­no­ven­ne di Ro­sa­rio del Tala in Ar­gen­ti­na. La ra­gaz­za, af­fet­ta da una gra­ve for­ma di ano­res­sia, era ar­ri­va­ta a pe­sa­re solo 31 kg. Ma sul­la base di una fer­ven­te fede re­li­gio­sa ri­fiu­ta­va le cure, con il so­ste­gno del­la ma­dre e del­la non­na. Il pa­dre, Cri­stián Mi­ra­bel­li, te­men­do per la sua vita si era in­ve­ce ri­vol­to al tri­bu­na­le per far­le som­mi­ni­strar­le trat­ta­men­ti sa­ni­ta­ri ob­bli­ga­to­ri, ma lei ogni vol­ta fug­gi­va.

Se­con­do il pa­dre, che ha di­vor­zia­to dal­la mo­glie set­te anni fa, la ra­gaz­za avreb­be fat­to par­te di una set­ta e la ma­dre si sa­reb­be mo­stra­ta ne­gli­gen­te. Ha chie­sto l’in­ter­ven­to del­la ma­gi­stra­tu­ra per in­da­ga­re sul­la mor­te del­la fi­glia, ma il pro­cu­ra­to­re di Ro­sa­rio del Tala, El­bio Ro­jin, ha ri­ba­di­to che si era fat­to tut­to il pos­si­bi­le e che la gio­va­ne non era in una “set­ta” ma in un grup­po di pre­ghie­ra. Dal can­to suo la ma­dre, Ve­ro­ni­ca Ro­dri­guez Roc­cia, ha scrit­to in una let­te­ra: “Fino al­l’ul­ti­mo mo­men­to del­la sua vita ab­bia­mo avu­to fede che sa­reb­be sta­ta gua­ri­ta, così come in al­tre cir­co­stan­ze il Si­gno­re l’a­ve­va li­be­ra­ta dal­la schi­zo­fre­nia e dal­la trom­bo­si”.

Casi si­mi­li non sono rari. La se­co­la­riz­za­zio­ne avan­za ma ci sem­bra che i cre­den­ti, di fron­te a un mon­do che cam­bia, stia­no ri­spon­den­do estre­miz­zan­do­si. C’è an­che da dire che que­ste sto­rie oggi sono più evi­den­ti e ri­lan­cia­te dai mass me­dia.

In Ita­lia, nel 2006 un al­tro te­sti­mo­ne di Geo­va dopo un in­ci­den­te sul la­vo­ro vie­ne ri­co­ve­ra­to d’ur­gen­za a To­ri­no. Per sal­var­lo i dot­to­ri am­pu­ta­no la mano de­stra, ma a cau­sa di com­pli­ca­zio­ni è ne­ces­sa­ria una tra­sfu­sio­ne. L’in­te­res­sa­to però espri­me ri­pe­tu­ta­men­te il suo ri­fiu­to; i me­di­ci si ri­vol­go alla pro­cu­ra, che au­to­riz­za l’in­ter­ven­to. Ri­ba­dia­mo quan­to scri­ve­va­mo al­lo­ra, cioè che oc­cor­re la­scia­re al sin­go­lo, co­scien­te e con­sa­pe­vo­le del­le sue scel­te, il di­rit­to di au­to­de­ter­mi­nar­si, an­che se ciò com­por­ta il ri­fiu­to del­le cure. A pre­scin­de­re se sia cre­den­te o meno, per­ché l’ap­par­te­nen­za re­li­gio­sa non è una ra­gio­ne per co­strin­ge­re qual­cu­no a su­bi­re trat­ta­men­ti sa­ni­ta­ri.

Ri­ce­vem­mo al­lo­ra mol­te let­te­re (al­cu­ne scrit­te da ex te­sti­mo­ni di Geo­va) che sot­to­li­nea­va­no quan­to poco con­sa­pe­vo­li sia­no in real­tà per­so­ne de­bo­li cre­sciu­te in am­bien­ti estre­ma­men­te chiu­si. È evi­den­te che, ai no­stri oc­chi, sia un modo as­sur­do di af­fron­ta­re la ma­lat­tia. È anzi un modo per non af­fron­tar­la af­fat­to. Tut­ta­via, lad­do­ve sia­no scel­te con­sa­pe­vo­li com­piu­te da mag­gio­ren­ni, non ab­bia­mo da obiet­ta­re. Non si può cer­to sot­to­por­re a TSO la mag­gior par­te del­la po­po­la­zio­ne: è la mo­ra­le cat­to­li­ca che vor­reb­be im­por­ti le sue scel­te per il tuo bene. Un ca­po­sal­do del pen­sie­ro il­lu­mi­ni­sta è in­ve­ce ri­co­no­sce­re la li­ber­tà di fare co­scien­te­men­te scel­te che ri­te­nia­mo di­scu­ti­bi­li. An­che le più estre­me.

 


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