Tasse o finanza innovativa?

par Lionello Ruggieri
venerdì 6 gennaio 2012

Ci sono nuove strade da percorrere senza flagellare di imposte gli italiani e senza fare altri debiti insostenibili?

Il Fatto quotidiano ha pubblicato un’intervista al prof. Gustavo Piga, docente di economia all’Università di Tor Vergata a Roma, in cui detto professore critica l’azione si qui svolta da Monti, come Presidente del Consiglio. 

Piga dice, come moltissimi altri in questo periodo, che aumentare le imposte non serve, non è utile ai fini del risanamento della nostra economia in quanto tali aumenti portano verso la recessione (che, tra l’altro, abbiamo già raggiunto) e quindi porta ad peggiorare il rapporto debito/pil e, al riguardo, porta giustamente ad esempio quanto successo in Grecia e molti altri esempi potrebbe portare a riprova del deleterio effetto delle pratiche volute ed imposte dal FMI.
 
Piga, che si dichiara «keynesiano in caso di recessione», sostiene e suggerisce che il Monti dovrebbe spendere e così promuovere una fase espansiva dell’economia facendo quindi aumentare il pil e di conseguenza migliorare il rapporto debito/pil.
 
Solo che Piga sembra non tener presente che il nostro problema non è più solo quello di migliorare il rapporto debito/pil: quell’obiettivo noi lo dobbiamo ricercare non perché lo chiede la Bce o il Fmi o la Germania, ma perché ci è praticamente impossibile espandere il debito.
 
Oggi come oggi noi siamo di fatto impossibilitati ad aumentar il debito pubblico perché nessuno sottoscriverebbe i nostri titoli in aumento del debito.
 
Al momento siamo costretti, come Stato e come banche in possesso dei titoli da rinnovare, a piazzare i titoli in sostituzione di quelli in scadenza vendendoli al 30 o 40% sotto la pari, siamo costretti a consegnare titoli che pagheremo 1000 € alla scadenza in cambio di una somma di 600 o 700 € a seconda della scadenza e l’affare è tanto poco conveniente che il Tesoro, all’ultima asta, dichiara di averla chiusa a quota 7 miliardi, rinunciando ad altri 1,5 miliardi di sottoscrizioni proprio perché a condizioni troppo gravose.
 
Ora, se così stanno le cose, e stanno così, si provi ad immaginare a quale quota verrebbero acquistati dei titoli italiani emessi aumentando già l’enorme massa del nostro debito pubblico.
Sembra proprio che il suggerimento di Piga sia assolutamente impossibile da seguire.
 
E allora? E allora dato che in parte Piga ha ragione e la storia della Grecia e di molti altri Paesi lo dimostra, occorre un’altra strada per fare una sana politica keynesiana di lavori pubblici, di stimolo alla domanda.
Ricordiamoci di quando il Presidente De Gasperi, per andare a chiedere il primo prestito agli Usa, si fece prestare un cappotto decoroso dal Ministro degli Esteri. Perché lui non ne aveva uno adatto.
Ricordiamoci questo e scopriremo che l’attuale mancanza di mezzi è poca cosa rispetto a quella situazione.
 
Ci sono varie strade da percorrere senza flagellare di imposte gli italiani e senza cercare altri debiti insostenibili. Proverò a spiegare quello che, a mio avviso di persona che non è un professore, si potrebbe e dovrebbe fare.
Credo si sia tutti d’accordo che serve una vasta campagna di lavori pubblici e tutti sostengono che mancano i mezzi per farli. E questi fatti sono veri, tutti veri, solo solo che, a mio avviso, c’è una via d’uscita. Farò solo qualche esempio.
 
Uno dei tanti nostri problemi è il sovraffollamento delle carceri, ma non se ne possono costruite per mancanza di mezzi. E così custodiamo i detenuti in condizioni quasi disumane in vecchie carceri fatiscenti.
 
Solo che quelle orribili carceri vecchie e fatiscenti sono molto spesso nel centro cittadino come a Genova (Marassi), Milano (S.Vittore), Roma (Regina Coeli), Napoli (Poggioreale), Palermo (Ucciardone) e Civitavecchia che usa addirittura un prezioso forte michelangiolesco a bordo mare. Qualunque costruttore sarebbe lieto di costruire 2 (due) carceri in periferia in cambio di 1 (uno) di questi (con cambio di destinazione d’uso). E di versare un conguaglio.
 
Certo c’è il costo del terreno, lo Stato può comprare un terreno agricolo adatto e, per motivi umanitari e sociali, farlo dichiarare edificabile dal Comune competente.
 
Quanti posti di lavoro verrebbero creati trasformando diecine di migliaia di metri quadri di celle e refettori in residence di lusso e alberghi a cinque stelle e costruendo un numero doppio di metri quadri per nuove e più confortevoli carceri? Si pensi poi all’indotto per la produzione di porte, sbarre, bagni, infissi ecc. Stesso discorso si può fare con molte altre proprietà dello Stato: stazioni dismesse, tribunali, caserme, ospedali ecc.
 
Monti sta giustamente rivalutando le rendite catastali perché molte case site in una modesta periferia, pagano, data la vetustà del catasto, meno di abitazioni del centro. Ma questo succede anche con molte case popolari che, date in locazione a canoni simbolici a famiglie bisognose, oggi si trovano in zona centrale o semicentrale.
 
Con queste si potrebbe fare la stessa operazione suggerita per le carceri. Darle a dei costruttori in cambio di un numero doppio di immobili in periferia e di un indennizzo di 15.000 euro alle famiglie che vi abitano per il “disturbo” del trasloco.
 
In questo modo lo Stato potrebbe raddoppiare il numero delle famiglie ospitate, creare molti posti di lavoro e non spendere assolutamente nulla. Anzi incassare un po’ di soldi. E calcoliamo che le case di proprietà dello Stato sono oltre un milione.
 
E l’idea dei terreni espropriati e dichiarati edificabili porta ad altre considerazioni.
 
Nel ragionamento applichiamo il principio base del vero liberismo: la ricchezza deve andare a chi l’ha prodotta, a chi ha operato per la sua nascita. Se questo principio è giusto, perché i terreni agricoli che, dopo studi, lavori e ricerche il Comune destina ad uso edificabile arricchiscono il loro proprietario privato invece del Comune (la collettività) che ha studiato e investito e che dovrà provvedere ai trasporti pubblici per quelle aree? Perché i costi sono a carico di tutti e la ricchezza va a vantaggio di uno?
 
Invece quando un terreno perde valore perché destinato a verde pubblico, la PA indennizza i suoi proprietari. Si vede tutta l’assurdità del privatizzare la ricchezza prodotta e attribuire alla PA i costi. E questo senza contare che, con questa gestione, i problemi dell’area Falck, non sarebbero nati.
 
Stessa cosa vale per gli aumenti delle aree e degli immobili valorizzati da strade, ponti, ferrovie, metropolitane ecc. Se la PA ricevesse un contributo per quanto fatto avrebbe i mezzi necessari per i lavori pubblici, per pagare pian piano il debito pubblico e per ridurre le imposte.
 
E senza tante difficoltà e sacrifici.
A meno che i sacrifici e i tagli sociali non siano un mezzo, ma un fine. Perché, scartata l’idea che i nostri Professori, la BCE e il FMI non capiscano da soli che ci sono queste e altre strade, rimane il dubbio che la crisi sia una scusa per ottenere l’accentramento della ricchezza in poche mani

Negli Usa il 50& della ricchezza è già nelle mani dell'1% della popolazione. In Italia il 10% della popolazione possiede "solo" il 45% della ricchezza nazionale.
Forse, dal suo punto di vista, il nostro 1% sente la mancanza di 2.500 miliardi. Suoi.
 
Movente sufficiente a giustificare qualsiasi manovra, specialmente per chi professa il liberismo concettualmente basato sull’avidità del singolo,
 
Invece nei Paesi del Nord Europa, per esempio in Svezia, il 20% della popolazione possiede il 32% della ricchezza.
 
Sta a noi decidere se lasciarci portare verso il nord America o lottare per andare verso il nord Europa.

Leggi l'articolo completo e i commenti