Tangenti al Pirellone: la normalità dell’anti-Italia

par Daniel di Schuler
venerdì 9 marzo 2012

“Il sentimento profondo, in ogni individuo, d’essere solo una parte della comunità, una rara devozione e capacità di auto sacrificio per il bene comune, un’ardente fede nei propri dei, costituiscono la ricca eredità della nazione italiana”, scriveva Mommsen a conclusione del secondo capitolo della sua “Storia di Roma”.

Alla luce di queste parole e visto il loro comportamento, prima ancora di quello dei loro dirigenti, dobbiamo riconoscere ai leghisti quel che d’altra parte non fan che ripetere, di non appartenere alla nostra nazione: saranno longobardi, goti o vedano loro di dove, ma italiani, italiani come quelli descritti dallo storico, proprio non sono. I fiumi di denaro che fa scorrere il potere possono essere una tentazione per molti, intendiamoci, e in Italia, come ovunque, rubano o hanno rubato politici di ogni colore e di ogni regione.

Davide Boni, il leghista presidente del consiglio regionale lombardo che assieme ai propri collaboratori avrebbe incassato, dall’architetto-gola profonda Michele Uggiola, tangenti per 300.000 Euro per i soli “affari” conclusi durante 2008 nel comune di Cassano D’Adda, se riconosciuto colpevole delle accuse che gli muovono i giudici milanesi sarebbe un criminale, ma non peggiore di tanti suoi colleghi, che magari non sono mai scoperti, del Sud come del Nord.

Quel che d’eccezionale sta accadendo in Lombardia, è che tutto questo sembra non dare scandalo presso gli elettori di Boni, come certo non lo dà al suo partito che, con la parziale eccezione di Tosi, gli ha fatto subito quadrato intorno: pare sia lecito, quasi doveroso o comunque preventivato, che anche solo si ipotizzi che da una carica pubblica si ricavino, innanzitutto, denari per sé e per la propria famiglia. “L’importante è che governi bene”.

E’ quel che fan tutti”, dice ancora la base leghista, e c’è da supporre che sarebbe ciò che farebbero loro stessi, se gli fosse assegnata una posizione di responsabilità.

E’ lo stesso ethos che sta dietro la loro accettazione, per esempio, della rapida ascesa di Renzo Bossi. Nessuno dubita minimamente della sua cultura e delle sue capacità intellettuali, ma ben pochi hanno trovato di che scandalizzarsi vedendolo in parlamento regionale o nel consiglio d’amministrazione dell’ente incaricato di organizzare l’Expo. “L’Umberto ha messo a posto il figlio”, è di solito il commento, accompagnato da un’alzata di spalle: “E allora? Lo faresti anche te al suo posto”.

Un ethos, peraltro, affine a quello dei simpatizzanti del PdL, con cui hanno governato il paese e continuano a governare la Lombardia; pochissimi tra loro dubitano delle accuse che sono state rivolte a Berlusconi, che si sia fatto largo nella vita con le buone e con le cattive, che abbia corrotto il corruttibile e che si sia gratificato poi in tutti i modi possibili, ma quasi tutti dicono che, potendolo, si sarebbero comportati come il proprio beniamino: “Perché, a te la Ruby non ti piace? Ué, sarai mica come il Vendola?”.

Non sorprende, dunque, che, mentre le indagini stanno mettendo in evidenza la costituzione di un sistema delle tangenti in Lombardia sull’asse PdL-Lega, la Padania non trovi di meglio che sparare titoli su una casa che Mario Monti avrebbe in Engadina (e allora? Ammesso che ce l’abbia, dove sarebbe il reato?) o che il governatore regionale Formigoni, anziché sentirsi direttamente responsabile del malaffare condotto sotto ai propri occhi, se la prenda contro i giornali rei di un “interesse morboso” per le vicende lombarde.

Sono bazzecole, quelle che stanno accadendo al Pirellone; cose di cui, per un verso o per l’altro, non ci dovrebbe occupare. Sono, anzi, le tangenti come il nepotismo, l’uso privato dei beni dello Stato come le leggi ad personam, l’assoluta normalità.

La normalità di un’anti-Italia estesa, con declinazioni diverse, dalle Alpi alla Sicilia; di un leghismo, fatto d’interesse esclusivo per gli affari propri e dei propri amici, che sta dilagando ovunque, anche dove la Lega non prende neppure un voto e nessuno gira con le corna sulla testa. Quelle celtiche, perlomeno.

Un anti-Italia che vincerà, condannando il paese alla definitiva rovina (non si può sottostimare quanto dei nostri problemi si debba alla corruzione) se, superando la delusione che la storia ci ha poi riservato, non torneremo ad indignarci come abbiamo già fatto, proprio partendo da Milano, vent’anni fa.

Non si tratta di trovare dentro di noi la “capacità di auto sacrificio” che Mommsen attribuiva ai nostri antenati; basta e avanza l’istinto di auto conservazione; quel minimo d’intelligenza necessaria a comprendere che, se così fan tutti, poi non resta niente per nessuno. Celti e Visigoti compresi.


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