Sui margini del diritto del lavoro
par Rosario Grillo
lunedì 10 settembre 2012
"Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino dell'Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse" Genesi, 2
Quel conflitto che Dio volle escludere dal raggio d'azione e di sviluppo dell'uomo nella natura, quando dispose che il campo della sua produzione lavorativa, appendice della creazione dell'universo, si dispiegasse nell'armonia, nella solidarietà e nella cooperazione, adesso è esploso, in tutta la sua violenza, in virtù dei paradigmi dell'economia ispirata dal capitalismo finanziario.
Nell'osservatorio della nostra penisola, sono molteplici i casi di contrasto tra gli interessi di tutta la comunità, che chiedono di tutelare la salute dei suoi membri, aggrediti dagli scarichi di certi complessi industriali, e quelli dei lavoratori, che difendono, serrati, il loro prezioso posto (i casi di Alcoa e dell'Ilva di Taranto sono i più celebri).
Estremo paradosso di un certo sviluppo industriale, lasciato a briglie sciolte, talvolta frutto di delocalizzazioni selvagge, altre volte affidato alla direzione di multinazionali, attente allo sfruttamento delle risorse, alla speculazione, ma disattente alle regole del rispetto dell'ambiente e della dignità dell'uomo.
Lo storico Adriano Prosperi, di recente, ha evidenziato questa conflittualità nel contesto di una pesante perdita di ruolo e di peso del lavoro. "Statistiche continuamente aggiornate ci dicono che una parte crescente della società italiana non ha mai vissuto l'esperienza del lavoro. Eppure è quello il momento fondamentale della crescita civile, quando si apre la porta di casa e si entra nella società perchè lì c'è qualcosa che ti viene chiesto di fare" (La Repubblica).
Risalendo all'indietro, si era cominciato con la teorizzazione della società post-industriale, poi, imperterriti, si è perpetrato un pauroso svuotamento del diritto di lavoro.
Il fenomeno non riguarda solo l'Italia, è mondiale, ma non c'è dubbio che qui ha un grande impatto e clamorosamente tradisce un principio fondamentale della nostra Costituzione, che dichiara la fondazione della nostra repubblica sul lavoro.
Osservando il lungo corso della storia occidentale, possiamo notare la distonia di questa disposizione. Dalla tradizione biblica alla tradizione filosofica corre, infatti, un filo ininterrotto di cultura umanistica, che esalta il valore del lavoro e il suo legame organico con l'essenza dell'uomo.
Anassagora, tra i filosofi greci, sottolinea l'importanza che le mani dell'uomo hanno, determinandone la superiorità sugli animali, in funzione della pratica produttiva, che si esplica nelle meraviglie della tecnica. Quelle tecniche, che nella felice congiuntura del V secolo a.C., saranno esplorate e conclamate, dal campo propriamente artigianale al campo intellettuale.
Più avanti, nell'epoca medioevale, se da una parte nella configurazione della gerarchia sociale si degradano i lavoratori, dall'altra è pur sempre per merito del paziente e creativo lavoro del mondo artigianale - Arti e corporazioni, gilde e quant'altro - che si risollevano le condizioni di tutti e si ristabiliscono le relazioni fondamentali tra le persone e tra i luoghi.
Serve soprattutto puntualizzare, davanti agli stanchi ripetitori del credo capitalista questi due punti:
1 Lo spirito del capitalismo, confuso con l'etica protestante, fondato sul culto del lavoro attivo, fecondo di frutti (grazia divina), come sottolineato dagli studi di M. Weber;
2 La dottrina di J. Locke, incentrata sul nesso lavoro-proprietà.
"Non è strano, come forse può parere a prima vista, che la proprietà del lavoro riesca a superare la comunità della terra, perché è proprio il lavoro che pone in ogni cosa la differenza di valore, e si consideri quale differenza sussista fra un iugero di terra coltivata a tabacco o zucchero o seminata a frumento od orzo, e un iugero della stessa terra che giace in comune senz'agricoltura, e si vedrà che l'incremento del lavoro costituisce la parte maggiore del valore. Penso che sarà in fondo un calcolo ben moderato dire che i prodotti della terra utili per la vita umana, per nove decimi sono effetti del lavoro : anzi, se vogliamo valutare esattamente le cose quali giungono al nostro uso, e computare le spese fatte per esse, e che cosa in esse è dovuto semplicemente alla natura e che cosa al lavoro, vedremo che nella maggior parte di esse, il novantanove per cento dev'essere interamente messo in conto al lavoro" (Locke, Due trattati sul governo, II parr 40-42)
E' il caso di far notare che la relazione tra lavoro e proprietà è orientata, soprattutto, a superare il sistema delle "terre comuni", che alla lunga aveva portato ad un atteggiamento di sterile (parassitario) sfruttamento di quest'ultime, inibendo le energie che avrebbero potuto applicarsi per la messa a frutto dei beni. La relazione non era protesa a racciudere nel "cerchio privato" della proprietà individuale, intendeva, piuttosto, valorizzare le potenzialità reciproche del lavoro umano e della natura benigna.
Più avanti, Hegel e Marx, daranno un fondamentale contributo alla messa a fuoco della pregnanza del lavoro.
Hegel, nella Fenomenologia dello Spirito, con la celebre figura del servo (dialettico) che supera il padrone (di cui è servitore) perché consapevolizza l'indipendenza dalla natura, ritrae la sostanziale performance del lavoro, strumento inequivocabile di liberazione.
E' la dottrina che tanto piacque a Marx, che ne chiese soltanto un "rovesciamento" per poterne espurgare l'alienazione (quindi la sottrazione del frutto della performance lavorativa al lavoratore).
C'è un grande ritorno a Marx ultimamente. Non certo per anacronistici empiti rivoluzionari!
Non rientra negli scopi di questo scritto, esplorare in lungo e in largo l' "umanesimo economico" marxiano, per mettere in luce aspetti e modi della natura umana da lui concepita. Si può osservare, en passant, che lo spiritualismo cristiano, confrontandosi con i canoni del materialismo ateo marxiano, ha teorizzato fondamenti e metodi dell'economia regolata dai principi del Cristianesimo. Alla stessa maniera si possono citare gli esempi di mistione tra marxismo e cristianesimo, laboratorio della "teologia della liberazione" e dell'esperienza dei preti operai.
Il risultato non cambia ed è la centralità del lavoratore, l'importanza del lavoro, la relazione che esso ha con la conduzione dell'esistenza del singolo e, a maggior ragione, della società.
Alla comunità internazionale, alla cominità europea, che risulta provata dall'aggressione della speculazione finanziaria, interessata ad affermare i suoi diktat, ai partiti italiani, disorientati e alla ricerca di una necessaria rifondazione, va sottolineata questa conclusione e va lanciato quest'appello.
Anzi, senza alcuna esagerazione, questo ultimatum.