Stupro di gruppo: ma è tutta colpa della Cassazione?

par Aldo Maturo
mercoledì 8 febbraio 2012

La recente sentenza della Corte di Cassazione (N.4377/12) che ha stabilito non essere obbligatorio il carcere in presenza di reato per stupro di gruppo non poteva non destare sconcerto.

Prima di decidere che quella dei giudici è stata una decisione maschilista forse è giusto ricostruire sommariamente quello che è successo.

Nel 2009 era stato stabilito (Art.275 c.p.p.) che per i reati sessuali, al pari dei reati di mafia, fosse obbligatoria la custodia cautelare in carcere salvo che il giudice ritenesse non sussistere una tale esigenza cautelare. Quindi chiunque era gravemente indiziato di aver commesso un reato sessuale doveva andare necessariamente in carcere in attesa del processo.

Nel 2010 la Corte Costituzionale (sentenza n.265) ha ritenuto che tra i reati di mafia e i reati sessuali non poteva esserci comparazione, perché i primi sono riconducibili ad associazioni criminali e i secondi di solito vengono eseguiti individualmente.

Al giudice quindi non è vietato disporre la custodia cautelare in carcere, ma nulla vieta che possa anche prendere decisioni diverse concedendo all’indagato, ad esempio, gli arresti domiciliari, come può accadere per gli indagati di reati molto gravi (rapina aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione). Secondo la Corte Costituzionale quindi cadeva l’obbligatorietà del ricorso al carcere con un provvedimento di custodia cautelare. Tra l’altro sempre la stessa Corte aveva ritenuto che l’obbligatorietà del carcere agli imputati di reati sessuali fosse incompatibile con l’art.3 della Costituzione (tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge).

Che la gente pensi di farsi giustizia buttando in carcere gli imputati di reati sessuali non rientra, secondo la Corte Costituzionale, tra gli scopi della custodia cautelare, prevista solo per pericolo di fuga, rischio di inquinamento di prove, pericolo di reiterazione del reato.

La Cassazione, con la sentenza che sta destando tanto scalpore, non ha fatto altro che applicare tale disposizione.

In particolare: a Cassino una ragazza minorenne viene violentata da due persone, credo in macchina. Il GIP spedisce in carcere i due imputati per violenza sessuale di gruppo. Gli imputati ricorrono al Tribunale del Riesame di Roma che il 19.8.2011 conferma l’ordinanza del GIP. Il Tribunale ricostruisce il fatto e si sofferma su due momenti critici della vicenda: a) contrasto tra la versione fornita dalla ragazza e le tesi degli imputati circa la volontarietà dei rapporti sessuali intrattenuti pacificamente. B) esistenza delle esigenze cautelari che suggerivano il ricorso al carcere. Ritenuta la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza il Tribunale aveva ritenuto che la fattispecie rientrava nella ipotesi prevista dal suindicato art.275 c.p.p. (modificato in maniera restrittiva nel 2009).

La Corte di Cassazione, sentiti i difensori che hanno sollevato tra l’altro il problema della compatibilità dell’art.275 con la sentenza della Corte Costituzionale, ha ricostruito la filosofia che ha animato nella Corte Costituzionale la disciplina delle misure cautelari. Il regime sarebbe improntato al criterio del “minore sacrificio necessario” assicurato mediante la previsione di una pluralità graduata di misure, una sorta di individualizzazione del trattamento cautelare. Per tale motivo non ci possono essere automatismi o presunzioni e deve essere il giudice ad apprezzare e motivare i presupposti e le condizioni per l’applicazione del carcere al fatto concreto. Secondo la Corte Costituzionale quelli sessuali sono delitti meramente individuali che possono essere affrontati in teoria anche con misure diverse dalla custodia cautelare. Che in giro ci sia allarme sociale per il moltiplicarsi di delitti a sfondo sessuale non può rientrare tra le finalità di tale misura restrittiva in carcere.

La Corte di Cassazione ha fatto proprio tali considerazioni ed ha condiviso il contrasto della norma con gli articoli 3,13 e 27 della Costituzione ed ha stabilito che il giudice possa applicare misure diverse dalla custodia cautelare anche agli indagati per stupro di gruppo.

Ha quindi annullato la sentenza del GIP di Cassino rinviando al Tribunale del Riesame di Roma per una nuova valutazione che terrà conto dei principi sopradescritti e che potrebbe anche risolversi con la riconferma del carcere per i due indagati.

Loro, intanto, restano in carcere in attesa di nuove determinazioni mentre migliaia di donne, imbestialite e deluse, sono convinte che ci si stia arrampicando sugli specchi di una giustizia ingiusta.


IL DOCUMENTO: Leggi il testo della sentenza


 


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