Strategie di controllo. Distruggere la diversità

par Ezio Petrillo
lunedì 14 settembre 2009

La violenza "omofobica" è solo uno degli aspetti della de-legittimazione di chi è "diverso".

Spazio sociale che si erode vuol dire società civile assente. Società civile inesistente vuol dire violenza, intolleranza, difesa strenua dei propri simili e brutali aggressioni verso i "diversi". Proviamo a spiegare l’excalation di violenza degli ultimi tempi che ha per oggetto gli omosessuali, ma davvero riesce difficile comprendere gli incastri di un meccanismo perverso che porta a insulti, calci, pugni, verso chi, semplicemente, ha fatto una scelta di vita che non è consueta, conforme, all’ordine sociale vigente.

L’ultimo episodio di violenza porta la data di mercoledì sera, proprio la giornata scelta dall’Arcigay come simbolo della lotta all’omofobia. A Firenze, due giovani, in un locale, hanno insultato un ragazzo di 26 anni, additandolo della "colpa" di essere omosessuale. I teppisti, una volta buttati fuori, hanno atteso la loro vittima fino alle 3 del mattino per poi sferrare il vile attacco causando fratture degli zigomi e rottura del setto nasale al malcapitato ragazzo. Firenze è solo l’ultima tappa di un tour della violenza che sta macchiando lo "stivale" di rosso sangue. A Napoli solo un paio di mesi fa una ragazza fu malmenata per aver tentato di difendere i propri amici "diversi", a Roma come non ricordare le avventure di tal "Svastichella", gentile tutore del pudore pubblico che si è erto a difensore della morale comune, accoltellando e prendendo a bottigliate due giovani che stavano semplicemente baciandosi.

Fa specie che nel Paese che sta esportando in tutto il mondo l’immagine di un premier libertino, certamente poco ligio al rispetto del comune senso del pudore, nel Paese in cui addirittura un transgender vince a mani basse un reality show nazional-popolare, vi sia questo senso di conservazione e restaurazione così radicato, dal volto più becero e intollerante. Ovviamente molti minimizzeranno, diranno che si tratta di bulli da strada, che l’omofobia non esiste così come non esiste il razzismo, diranno che in fondo i gay se la cercano perchè a un bambino in mezzo alla strada può fare "impressione" vedere due uomini che si baciano e innegeranno al rispetto del pudore, per poi piazzare lo stesso bambino davanti alla tv e fargli sorbire trasmissioni simil-porno alle 9 di sera. E’ forse l’umanità intera il regno dei paradossi e della schizofrenia collettiva, oppure il rintanarsi nelle case davanti ai pc e alla tv ci ha reso tutti un pò più insofferenti e cattivi? Trenta anni fa erano le parrocchie e i partiti a raccogliere i desideri, le domande, i sogni, le speranze di generazioni intere. Nel bene e nel male si era portati a pensare insieme, a ragionare come comunità, ci si scervellava per capire come cambiare il mondo ed ognuno portava la sua visione e si batteva per essa perchè pensava fosse la migliore anche per gli altri, non solo per se stesso.

Il "riflusso" degli anni ’80, la mediatizzazione estrema degli anni ’90 e il trionfo del virtuale dal 2000 in poi, ci hanno lasciati tutti un po’ più soli. La piazza è virtuale, la riunione con gli amici è virtuale, ma l’io, nella realtà rimane sempre lì, fermo e immobile nelle sue convinzioni, proprio perchè manca il necessario confronto con l’alterità, quello scambio di idee e di opinioni in libertà con chi reputiamo "diverso", che fa crescere una società civile. E così, paradossalmente, proprio nell’era in cui c’è il maggior accesso all’informazione grazie al web, alle tv satellitari e digitali, le conoscenze profonde dell’altro che sono alla base del rispetto della persona, rimangono indietro. Le barriere che dividono i pensieri, le opinioni, gli orientamenti sessuali e i popoli, si innalzano sempre più in alto. 

Tornano di moda i rigurgiti identitari e la violenza sessista e razzista, che individua come motivo della contesa e dell’odio caratteristiche immutabili come l’orientamento sessuale e una "razza" di appartenenza. Alla luce di tutto ciò, quale futuro ci si prospetta? La strada giusta è quella di spegnere la tv e riempire le vie, le piazze, le periferie, di conoscersi, di colorare il nostro Paese di nero, di giallo, di rosa, di bianco, di trasmettersi così saperi condivisi e di ricominciare a ragionare come collettività. In tempi come questi, riuscire già a fare metà delle cose proposte vuol dire, in una sola parola, resistere.


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