Storie da Haiti

par crespi enrico
martedì 23 novembre 2010

Mi scrive Gilberto, dopo il suo volontariato ad Haiti e racconta quello che si è visto in tutte le aree dove ONG e Nazioni Unite hanno messo su il loro carrozzone (Nepal, Cambogia, Darfur, Congo, etc.).

 

Arrivai a Porte-au-Prince (PaP) il 12 maggio 2010 esattamente quattro mesi dopo il terremoto per aiutare, a titolo personale, degli amici e altra gente a ristrutturare quando più possibile le case. Le prime immagini nel tragitto aeroporto-Petionville mi risvegliarono i ricordi della mia infanzia: la Milano bombardata.
 
E’ stato questo il mio quarto soggiorno in Haiti (il primo nel 1976) ed è durato due mesi e mezzo. Quando sono ripartito poco o nulla era cambiato; i lavori di sgombero avanzavano lentamente e le squadre di sgombero con picco e pala dei programmi Cash for Work ( 5$ / giorno) già in giugno erano meno visibili. (Nessuno non ha mai pensato di inviare ruspe, gru e camion ?)

Inutile aggiungere esempi di malfunzionamento di tutti gli interventi
. L’impressione che ho avuto dai contatti con le ONG é di un funzionalismo assoluto con costi operativi elevatissimi. Per fortuna alcune organizzazioni che operano nel settore sanitario lavorano in maniera autonoma e i loro interventi sono almeno efficaci e con pochi sprechi. Il CIRH (Comité Interimer pour la Reconstruction de Haiti- Bill Clinton) con il mandato di coordinare i progetti e gli investimenti di più di dieci miliardi è divenuto operativo solo a meta luglio (sei mesi dopo l’evento).


Le cifre? Non credo che ci sia una persona che possa validare le cifre delle somme promesse e ricevute, del loro impiego e i risultati degli interventi nella capitale o nelle regioni sinistrate. Inverificabile. In luglio c’erano, a Port-au-Prince, 45 rappresentanze delle Croix Rouge; Croissant Rouge; e ufficialmente 125 organizzazioni ONG, ma nessuno conosce davvero la cifra, nemmeno approssimativa.

In quanto alla ricostruzione, non é per domani: ho lavorato direttamente alla riabilitazione di case adattandomi ai materiali che si poteva trovare e comprare, a prezzi che aumentavano ogni settimana a causa della rarità. Pure la mano d’opera `pseudo specializzata’ si fa rara, gli affitti delle case disponibili sono cari dai $ 1500 ai $ 3000 al mese e anche qui la presenza delle ONG ha fatto aumentare la domanda.

In luglio il governo haitiano ha aperto un concorso per 250.000 abitazioni popolari (dico bene duecentocinquantamila): è inverosimile, con i materiali e la manodopera disponibile, costruirne 25.000 per anno. In agosto é iniziato il ricollocamento dei campeggi in altre zone con la fornitura di capanne in legno o altre soluzioni provvisorie in previsione della stagione degli uragani. Per fortuna Tomas è stato mite.

Ma la cosa più triste è lo scoraggiamento e lo scetticismo generale della popolazione. Oggi con tutte le nazionalità rappresentate nella MINUSTAH, NU e ONG, Port-au-Prince é una vera Babilonia di lingue, di idee e di modi operativi. In Haiti la maggioranza della popolazione parla solo il ‘creole’. Se si vuole ricostruire PaP, che si incominci con le fogne. Se si vuole aiutare Haiti a svilupparsi, che si incominci ad aiutarla a sviluppare le sue risorse umane. Una disgrazia non arriva mai sola. Ecco la seconda; il colera!

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