Stefano Bollani, "Joy in Spite of Everything"

par Giovanni Greto
mercoledì 28 gennaio 2015

(ECM Records). 

Sono brani molto cantabili, quelli composti da Stefano Bollani per il suo ultimo lavoro edito dalla prestigiosa etichetta tedesca. Ad interagire con lui, oltre alla collaudata sezione ritmica danese – Jesper Bodilsen al contrabbasso, Morten Lund alla batteria -, con la quale il pianista aveva inciso nel 2009 ‘Stone in the Water’, sempre per ECM, ci sono due eminenti musicisti americani: il veterano chitarrista Bill Frisell e il sassofonista tenore Mark Turner, uno tra i più ammirati della sua generazione, che aveva suonato con Bollani per la prima volta nell’album di Enrico Rava ‘New York Days’, uscito nel 2008.

Il CD, registrato agli Avatar Studios di New York, presenta 9 brani eseguiti in formazioni variabili: 4 dal quintetto al completo, 2 dal trio italo-danese, uno dal trio più Turner, uno dal trio più Frisell, uno dal duo Bollani-Frisell. Si parte con ‘Easy Healing’, in quintetto, un godibile calypso che rimanda a quelli composti dal “Saxophone Colossus” Sonny Rollins. Nel brano spiccano gli interventi di Frisell, il quale sembra riavvicinarsi al Jazz sia per quanto riguarda la tecnica, sia attraverso una sonorità morbida, delicata, quasi timida, forse a riflettere il carattere del musicista.

Nel repertorio preparato per il disco prevalgono i pezzi medio-lenti, interessanti sì, ma meno entusiasmanti ad esempio, di uno swingante ‘No pope, No party’, forse il titolo più jazzistico, pieno di tensione e di stacchi, eseguiti da tutti con estrema precisione. Il duo Bollani/Frisell esegue con passione ‘Teddy’, nel quale i volumi si mantengono inizialmente molto attenuati, quasi a voler creare un alone di mistero, per poi sviluppare un 4/4 trascinante “con Teddy Wilson nella mente”, secondo le parole del leader, il quale dà vita ad un’improvvisazione assai ritmica, anche se stilisticamente lontana da quelle della Swing Era. Dolcissima, ‘Ismene’ consente di apprezzare il suono sussurrato, limpido di Frisell, in un quartetto che sarebbe bello apprezzare dal vivo. Nuovamente Frisell risulta protagonista nel lento ‘Tales from the time Loop’, un brano in quintetto che sembra affine alla scrittura del chitarrista, i cui interventi solistici sembrano riportarlo ai felici tempi in trio con il bassista Kermit Driscoll e il batterista Joey Baron. Il brano finale, in trio, è quello che dà il titolo all’album.

Velocissimo, accattivante, con efficaci ondeggiamenti ritmici ed una rilassatezza sorprendente, nonostante il metronomo assai elevato. Bravissimi ed affiatati, i musicisti danesi sembrano condividere l’accostamento da parte del pianista di momenti umoristici accanto a riflessioni dolci-amare. Il plauso finale va a Mark Turner, dotato di una voce calda e pastosa, definita da Bollani “speciale, particolare, unica”. I suoi solo sono costruiti con intelligenza e penetrano nell’animo dell’ascoltatore. Infine, un grazie a Bollani per aver allontanato, almeno per un’ora, Bill Frisell dal suo percorso lungo il pop e il country. ‘Joy in spite of everything’ sta dunque a significare la gioia che trabocca, lo spirito che si illumina, nonostante le inevitabili ombre dell’esistenza.


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