Sparlando 2

par Massimo Arcangeli
martedì 4 novembre 2008

Usi e abusi della lingua italiana.

La riforma della scuola è legge. Di fronte a una Gelmini muta. Fin qui ha parlato poco, oltreché comunicato male; non sarà la salernitana di ferro Mara Carfagna (vorrebbe assomigliare a Margaret Thatcher…), che si è esibita a Matrix in una imbarazzante intervista-farsa, ma avrebbe bisogno anche lei di un bravo spin doctor. Giovedì 24 ottobre, nell’aula del Senato, la caduta su quell’“egìda del governo Prodi” che la dice tutta sul non brillante passato scolastico e professionale della “Beata Ignoranza” riprodotta in questi giorni su perfidi, dissacranti santini: l’abilitazione per diventare avvocato, com’è noto, se l’è andata a prendere nel 2001 in quella Reggio Calabria in cui i respinti si attestavano su poco più di un misero 6 per cento (nella sua Brescia, invece, la quota dei trombati era quasi del 70 per cento).

Gli accenti sbagliati, si sa, sono ormai quasi una regola fissa in tv (perfino i tg non scherzano), ma anche le pronunce sballate fanno la loro bella figura. Aldo Grasso, in un recente intervento su “Lid’O. Lingua italiana d’oggi”, ha censurato diversi casi dei due fenomeni: da sàlubre a sine die, diventato incredibilmente sain dai. Ma il “televisiologo” Grasso non è certo stato il solo, nel tempo, a occuparsi della faccenda. Luciano Satta e Tristano Bolelli, negli anni Settanta, rimproveravano ’uso più o meno corrente, attingendo i loro esempi soprattutto dal piccolo schermo, di ìcona per icòna, circuìto per circùito, Padanìa per Padània; mentre Cesare Marchi, negli anni Novanta, segnalava pronunce errate come guàina, Nuòro invece di Nùoro e Ìstanbul (o Istanbùl) per il corretto Istànbul.

In molti casi rasentiamo indubbiamente il ridicolo, o ci dimostriamo inguaribili snob, se vogliamo accentare correttamente certe parole o appellarci ai loro precedenti greci o latini. Quanti direbbero oggi facocèro (giusto) piuttosto che facòcero (errato), monòlito (giusto) invece di monolìto (errato), abbacìno, mi infervóro, (s)valùto (consigliate) anziché abbàcino, mi infèrvoro, (s)vàluto (sconsigliate)? Quanti avrebbero oggi il coraggio di usare (o continuare a usare) còmparo, èlevo, peróro, sèparo in luogo di compàro, elèvo, pèroro, sepàro o càrisma per carìsma? E chi attenterebbe alla memoria di un film leggendario come Qualcuno volò sul nido del cùculo trasformando cùculo (errato) in cucùlo (errato)? Règime e regìme si sono contesi lungamente il campo ma alla fine l’ha spuntata il tipo piano, per l’influsso del fr. régime, sebbene il termine corrispondente latino fosse sdrucciolo. La norma, se pensiamo a un caso diverso, imporrebbe lo pneumatico; ma ci sentiremmo di usarlo senza rischiare di suscitare l’orrore del nostro interlocutore, o il suo sguardo di commiserazione?

 

La lingua (una qualunque lingua) è in continuo movimento; se decide di prendere con risolutezza una certa strada, se i suoi utenti scelgono di modificarla in barba alle regole vigenti, nessuno può far niente per mutare il corso degli eventi. Un errata corrige sugli svarioni più frequenti in fatto di accenti, tuttavia, non guasta; limitatamente, è ovvio, ai casi non controversi o a quelli per i quali la direzione del cambiamento è ancora incerta e si può ancora spendere utilmente qualche parola a favore del modello dell’italiano normativo. Dunque ègida, e non egìda. E poi ancora: àbrogo, mi àrrogo, sùrrogo e non abrògo, mi arrògo, surrògo; acribìa non acrìbia; adùlo non àdulo; amàca non àmaca; ànodo, càtodo e non anòdo e catodo; anòdino non anodìno; andrògino non androgìno; appendìce non appèndice; àrista (del maiale) non arìsta; baùle non bàule; bocciòlo non bòcciolo; cadùco non càduco; callìfugo non callifùgo; centellìno non centèllino; constàto non cònstato; cosmopolìta non cosmopòlita; cùpido (agg.) non cupìdo; devìo, ovvìo (ver.) e non dèvio e òvvio; dissuadére, persuadére e non dissuàdere, persuàdere; diàtriba non diatrìba; edìle non èdile; elèttrodo non elettròdo; èureka non eurèka; gòmena non gomèna; gratùito non gratuìto; ìlare (agg.) non ilàre; incàvo non ìncavo; infìdo non ìnfido; lùbrico non lubrìco; medìceo non medicèo; mèndico (ver.) non mendìco; mollìca non mòllica; pudico non pùdico; sàrtia non sartìa; seròtino non serotìno; tarsìa non tàrsia; tèrmite (insetto) non termìte; vìolo non viòlo.


Se la norma italiana, in casi come carìsma vs. càrisma o zaffìro vs. zàffiro, ha imposto il tipo piano latino su quello sdrucciolo greco (chárisma, sáppheiros), le cose stanno diversamente per edèma, mimèsi, scleròsi vs. èdema, mìmesi, sclèrosi: ognuno può accentare qui come ritiene, alla latina o alla greca (oídema, mímesis, sklérosis); anche se in realtà, per edèma e scleròsi, un precedente latino non c’è (cfr. T. Bolelli, Lingua italiana cercasi, Milano, Longanesi & C., 1987, p. 98). Infine. Se Flòrida si è imposto definitivamente su Fòrìda, forse per scandinàvo e Tanzanìa (in un servizio al Tg1 del 2 novembre, il corrispondente Enzo Nucci: Tanzània) la guerra non è persa del tutto. Lo stesso dicasi per codardìa, leccornìa, ubbìa (giusti) vs. codàrdia, leccòrnia, ubbìa e per la distinzione fra utensìle (sost.) e utènsile (agg.), anche se siamo sempre di meno a farla. E teniamo duro per Salgàri (non Sàlgari), Friùli (non Frìuli), Iràn (non Iran), Iràq (non Iraq), Afganistàn (non Afgànista), Islamabàd (non Islàmabad). Nello spot tormentone di Valentino Rossi per Fastweb, mostrando al “fratello” campione una delle sue ammorbanti “scoperte sensazionali”, un insopportabile Paolo Cevoli dice “rùbrica telefonica”. È rubrìca, ricordiamolo, la pronuncia giusta, senza se e senza ma. Lo sapranno gli autori dello spot? L
o saprà il marchio, o finge di non saperlo

per essere in linea con il carattere surreale del personaggio, che spaccia per mobile dotato di rubrica un mobile d’arredamento con sopra un telefono e una bella “rùbrica” cartacea?

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