Sostenitori dell’uscita dall’Euro: "Perdonali, o Signore, non sanno quel che dicono"

par enzo sanna
sabato 8 marzo 2014

Da quando Berlusconi ha iniziato a cavalcare, da pusillanime, l’onda anti euro divenuta col tempo cavallo di battaglia della Lega Nord e, guarda caso, del movimento grillino e delle destre in genere, appaiono sul tavolo da gioco della politica opinioni che, con cadenza costante, tentano di produrre argomenti a discredito della moneta unica, inneggiando ad un ritorno alla lira.

Basta leggere certi interventi per comprendere quanto gli estensori dei brani in questione appaiano incompetenti al punto da destare ilarità, più che sconcerto, per la pochezza di analisi in materia. Tentiamo di sintetizzare l’affermazione con argomenti.

Quanti ricordano che il “trapasso” dalla lira all’euro fu gestito dal governo Berlusconi seguito alla caduta del governo Prodi? Pochi, anzi, quasi nessuno, perfino a sinistra. Eppure fu proprio Berlusconi a trattare con l’allora capo della più potente associazione dei commercianti la non interferenza sull’applicazione dei prezzi post euro. Quel presidente dei commercianti finì, poco dopo, nelle patrie galere.

Intanto, però, il cambio lira-euro divenne il ben noto “mille lire uguale un euro”, circa il doppio del cambio ufficiale, senza che l’allora governo Berlusconi muovesse neppure un mignolo per contrastare la squallida quanto speculativa operazione e punire i responsabili, riportandoli alla norma. Caso unico in tutta l’Europa d’area euro.

Nonostante il “regalo”, purtroppo non l’unico, di Berlusconi agli italiani, l’euro ha portato in dote una stabilità dei tassi d’interesse mai conosciuta dall’Italia fin dagli anni sessanta del secolo scorso. I giovani forse non hanno memoria del passato, ma sappiano che chi scrive ha pagato per venticinque anni un tasso d’interesse sul mutuo di ben il 12% (dicasi dodici per cento). Ebbene, oggi ci si lamenta, forse a ragione, di tassi tra il cinque e il sei per cento, pure meno per gli indicizzati.

Ancora, le rendite finanziarie sui titoli di Stato toccavano, sotto la gloriosa lira, l’otto, dodici, quattordici per cento a seconda della scadenza. Qualche risparmiatore senza cervello esclamerà: “Allora sì che era bello, mica ora col quattro per cento sui decennali”. Sì, era tanto bello che ancora oggi ne paghiamo le conseguenze con un debito pubblico da fallimento.

Queste sono solo due riflessioni tra le più immediate in termini di comprensione. Tornare oggi alla lira, col nostro debito pubblico e il rapporto col PIL, per quanto quest’ultimo parametro sia più che discutibile e certamente contestabile, costituirebbe per gli italiani la catastrofe. Si operino due calcoli, seppur edulcorati a dovere, su detti parametri e si scoprirà che i tassi sui mutui schizzerebbero oltre il venti per cento e i titoli di stato decennali si assesterebbero ben oltre il quindici per cento. Qualcuno vuole contestare queste cifre? Ebbene, vada a parametrare i dati odierni con quelli degli anni settanta per scoprire che, in fin dei conti, appaiono persino frutto d’ottimismo.

A ragion del vero, c’è da dire che l’Europa, ossia il governo europeo di centro-destra, non fa nulla per sostenere l’euro e la sua ragion d’essere. L’allemanno-centrismo rischia di creare danni incalcolabili a tutti gli stati d’area euro. Qui diviene imperativa la verifica della forma istituzionale dell’Europa. Non è possibile sostenere un’unione con dentro gli Stati dell’area euro e gli altri con monete nazionali, Gran Bretagna in primis.

Si impone una decisione drastica: un governo e un parlamento unitari dell’area euro e, separata e con competenze ben diverse, un’assemblea comprendente anche gli Stati non euro. Tanti problemi troverebbero soluzione, alla faccia degli euro-scettici e dei disfattisti per i quali continua a valere l’equazione del “Tanto peggio, tanto meglio” alla Grillo, alla Berlusconi e a tutta la destra strapaesana che li circonda e li adora.

Foto: Flickr/NACHO


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