Smarrirsi nella crisi per diventare migliori

par Maria Rosa Panté
mercoledì 14 dicembre 2011

Quello che non capisco è il senso, lo scopo. Come si fa a mantenere in vita un sistema così malato da condannare alla miseria la maggior parte dell'umanità; così stupido da distruggere l'ambiente, la madre terra; così perverso da perpetrare il genocidio degli animali? E ancora non basta, ancora non basta!

Perché chi sta dalla parte “giusta”, chi sta nei paesi ricchi non è felice per lo più. Felicità evidentemente non è sinonimo di ricchezza, ma piuttosto di nevrosi.

E ora con la crisi, con la stagnazione, addirittura con la recessione, chi sta dalla parte ”giusta”, quella dei paesi ricchi, è sempre più povero, in certi casi è divenuto misero, addirittura comincia a provare la fame. Oppure vede i suoi diritti di cittadino e di lavoratore dileguarsi a causa della cosiddetta emergenza.

Ma allora questo sistema è stato costruito davvero solo per quel ricchissimo, potentissimo, famigerato 1%?

Noi del 99% siamo davvero tutti uniti contro quell'1% che avvelena la vita a tutti?

E poi perché quell'1 non riesce a contentarsi, ma vive di bulimico bisogno di aumentare la sua ricchezza, il suo potere? La lupa-cupidigia sempre affamata di Dante Alighieri, il grande vizio sociale.

Non so, mi faccio tante domande e non so rispondere, nemmeno trovo risposte soddisfacenti: sono smarrita.

Questo è il sistema capitalistico, basato sulla compravendita, sul consumo. Ci si è sovrapposto, potenziandolo, il sistema finanziario, l'economia virtuale, che ormai fagocita tutto, compresa una politica imbelle. In crisi è infatti anche la democrazia.

Insomma pare non salvarsi nulla.

Non capisco le agenzie di rating. Chi sono? Cosa, chi rappresentano? Chi ci lavora? Che volto ha chi decide? É un essere umano, una macchina o uno schiavo di “lusso”?

E poi i mercati. I mercati fremono, sono nervosi, sono in affanno. Come calmarli, poveri mercati?Ma chi sono i mercati? Siamo anche noi, anch'io?

Io non voglio essere mercato se non per quel che mi costringe la sopravvivenza.

Io non voglio incrementare i consumi, né favorire alcuna crescita.

La crescita che tutti invocano può essere senza limite? Il sociologo Baumann dice che serve una semplificazione... che arriverà, arriverà, giacché già è stato superato il picco del petrolio. Il petrolio non è infinito. Nemmeno la terra lo è, soprattutto non lo è l'essere umano.

Io sono per questa semplificazione, mi ribello all'essere solo un consumatore. Ma poi se non compro qualcosa per Natale come vivranno i commercianti? Come troveranno lavoro i giovani? Se chiudi le fabbriche di armi come campano quelli che ci lavorano?

E mi fanno anche sentire in colpa perché il PIL non cresce e io non ho aiutato l'economia, la crescita infelice. Io voglio la decrescita felice, intanto i disoccupati mi additano con furore, i commercianti chiudono davanti ai miei occhi i loro negozi: un suicidio a mio uso e consumo. Davanti a me che non partecipo alla crescita infelice e basata sull'ingiustizia, di cui si nutre come il più terribile dei mostri.

Una bolgia, è una bolgia dantesca, un inferno di merci in decomposizione perché i mercati fremono, sono nervosi poveretti.

No, non capisco più il senso. Sono però convinta che una crisi era necessaria.

Se la crisi spazzerà via i privilegi del'1%, ancora però non sarà abbastanza. Bisognerà che nessuno del 99% ambisca a diventare il nuovo 1%. Chissà se l'uomo è già a questo stadio di evoluzione...

La crisi è necessaria e boccata d'ossigeno per me sono state le parole di Baumann in un'intervista.

Dalla crisi si uscirà, divenuti migliori, anche se qualcuno pagherà.

E dunque il senso potrebbe essere questo: trovare il perché della crisi e diventare migliori.


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