Siria: netizen e citizen journalist contro le atrocità del regime

par Francesco Raiola
giovedì 15 marzo 2012

Il Media centre of the Local Coordination Committees è un centro che unisce blogger a citizen journalist siriani e fa il paio con progetti come Mosireen, il canale youtube di video citizen che ha raccontato dalla strada un pezzo di primavera araba e con tutti i canali citizen che affiancano i media tradizionali nel racconto delle zone calde del mondo.

Qualche giorno fa Reporter senza Frontiere, nell'ambito della Giornata Mondiale contro la cyber censura, gli ha assegnato il Premio Netizen 2011, premiando il sacrificio compiuto in uno stato in cui fare informazione è praticamente impossibile e dove negli ultimi mesi diversi giornalisti sono morti. Il Premio, dice Jasmine, attivista siriana, "prova che le nostre voci sono state ascoltate e che siamo riusciti a trasmettere le storie di milioni di siriani che stanno combattendo sul terreno per ottenere ciò che hanno sempre sognato: vivere in libertà e dignità".

Sono svariati i progetti citizen che aiutano la narrazione delle crisi nel mondo. Dai canali youtube ai videoreporter sulle montagne di Nuba fino alle fotografie dalle fotocamere che i saharawi usavano per far circolare la propria verità. Poi c'è Twitter, ovviamente, e i social media in generale, veicolo fondamentale per la circolazione di alcuni tipi di storie.

Gilles Jacquier, Ferzat Jarban, Mazhar Tayyara Anthony Shadid, Mary Colvin, Rémi Ochlik, basil al-Sayed, sono alcuni dei giornalisti morti in questi ultimi mesi. Alcuni erano giornalisti e fotoreporter famosi, altri freelance, ma sono in molti i reporter intimiditi e imprigionati dal regime. Dall'inizio della rivolta siriana sono più di 7500 le persone uccise, secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite (ma la stima è di fine febbraio). 200, secondo Reporter senza frontiere sarebbero, invece, i netizen arrestati nel 2011, più del 30% rispetto all'anno precedente, 5 quelli uccisi ("Un numero imprecisato" di citizen journalist, come riporta a Journalism.co.uk Frank Smyth del Committee to Protect Journalists che parla però di almeno una dozzina di reporter e netizen uccisi lo scorso anno) e più di 120 sarebbero, invece, quelli ancora imprigionati. 

RSF scrive:

I giornalisti siriani e i blogger sono minacciati e arrestati dal Governo. Le news organization internazionali sono, per la maggior parte, tenute fuori dal paese. In loro assenza, i comitati sono il solo modo per mettere il mondo a conoscenza delle violenze che distruggono il paese. Sono emersi spontaneamente seguendo l'inizio della rivoluzione siriana dello scorso marzo, unendo attivisti di diritti civili e giornalisti locali e ora si trovano nella maggior parte delle città e dei paesi siriani

Sono tra i pochissimi, insomma, a raccontare le violenze siriane, che proprio ieri hanno costretto la Farnesina a sospendere l'attività dell'ambasciata italiana a Damasco rimpatriando lo staff della sede diplomatica con un comunicato durissimo nei confronti delle autorità del paese:

Anche in considerazione delle gravi condizioni di sicurezza insieme ai principali partner dell'Unione Europea, abbiamo inteso ribadire la piu' ferma condanna verso le inaccettabili violenze attuate dal regime siriano nei confronti dei propri cittadini.

Ma come funziona la catena comunicativa dei Comitati di coordinamento locale? Lo spiega sempre RSF:

Gli informatori sul campo inviano le informazioni e i comitati cercano conferme da diverse fonti. Un terzo gruppo traduce le notizie in inglese e le distribuisce sul sito del gruppo. Video e immagini sono postate sulla pagina facebook o sul blog fotografico

Ma la guerra agli attivisti e ai netizen in generale è fatta non solo di minacce fisiche ma anche di cyber war (e un vero e proprio web esercito, il Syrian Electronic Army) e così la possibilità di poter accedere ai pc dei netizen che si oppongono al regime diventa uno dei modi migliori per intimidirli.

Scrive Evgeny Morozov ne "L'ingenuità della rete", riferendosi al regime iraniano, che "le autorità non rifiutavano certo la tecnologia; anzi erano più che felici di godere dei suoi benefici" e così è anche in Siria. Dopo la denuncia dell'Electronic Frontier Foundation di qualche giorno fa che parlava di malware inviati via chat e mail in grado di "catturare l'attività delle webcam, disabilitare la configurazione delle notifiche per certi programmi antivirus, registrare keystroke, rubare le password etc - e inviare queste informazioni sensibili a un indirizzo siriano", ecco che, sempre secondo l'EEF, il Governo è tornato a colpire, questa volta tramite Youtube. O meglio, un finto canale Youtube che ospitava video dell'opposizione siriana e che inviava malware in due modi: o quando venivano richiesti i dati di accesso, per commentare, ad esempio, o richiedendo di installare una versione aggiornata del Flash Player.

Nel Rapporto sui nemici della rete pubblicato il 12 marzo RSF scrive che:

Il cyber esercito siriano è esperto nell'arte di trollare i muri facebook degli oppositori e dei dissidenti, spesso con lo scopo di screditarli e di sovrastare i commenti critici con una marea di elogi al Governo di bashar al-Assad. Account twitter sono stati creati per sfruttare l'hashtag #Siria inviando centinaia di tweet con parole chiave che mandano a risultati sportivi o foto del paese

Ma quanti sono i soldati virtuali arruolati? Lo chiede Fabio Chiusi a Helmi Noman, ricercatore del Citizen Lab della Munk School of Global Affairs dell’Università di Toronto

Non si sa quanti membri facciano parte del Syrian Electronic Army», risponde Noman, «ma le loro pagine Facebook ottengono una media di 6 mila iscritti ciascuna». In ogni caso, i numeri non sono così importanti, online: «Hackerare un sito non è questione di quanti utenti lo facciano, ma di quanto è sofisticato l’attacco. Una sola persona con le abilità e gli strumenti adeguati può defacciare un sito», spiega il ricercatore, «ma nel caso dello spamming su Facebook i commenti di solito sono tra 30 e 50

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