Siria: dopo gli Stati Uniti anche la Francia dichiara possibile intervento

par Francesco Finucci
giovedì 22 agosto 2013

Dopo le prime reazioni di Obama alle accuse di uso di armi chimiche da parte di Assad, ora anche la Francia si muove. A parlare è Laurent Fabius, ministro degli esteri francese, chiedendo l'uso della forza, in caso di conferma dei crimini contestati. Ma le armi le ha vendute anche Parigi.

Ieri veniva convocato d'urgenza il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, al fine di discutere di quella che è ormai divenuta la questione del momento: le armi chimiche in Siria. Nessuna risoluzione - naturalmente - l'ultima riguarda Cipro. Qualcosa però comincia a capirsi degli scenari che i big five vorranno perseguire riguardo alla guerra civile siriana.

Già Obama aveva fatto la prima mossa, condannando l'uso delle armi chimiche. Un piccolo passo, lento come d'uso nella diplomazia e nei suoi cerimoniali. Di fatto già il 20 agosto scorso aveva infatti minacciato Assad di intervento Usa se avesse fatto uso di armi di tale tipo. La linea era dunque già di pubblico dominio, bastava aspettare che qualche timida mossa arrivasse anche da altri paesi volenterosi. Già il Washington Post in barba ad una tradizione di professionalità incita all'intervento, e probabilmente il presidente democratico accondiscenderà, come si fa in democrazia.

L'inaspettato nulla osta è arrivato proprio dalla Francia, già in prima linea nelle rivoluzioni arabe, pronta a cogliere i succosi frutti del conflitto civile in atto. Le parole del ministro degli esteri francese Laurent Fabius sono inequivocabili: di fronte all'uso di armi di distruzione di massa serve la forza. Poi però fa un passo indietro (sempre cerimonie diplomatiche). Fabius sa bene che le forze Nato sono ben lontane dall'essere in piena efficienza per essere efficacemente buttate nel conflitto siriano. E infatti aggiunge: "Non è neanche il caso di inviare contingenti militari. Non è possibile". Dello stesso parere è oltretutto Martin Dempsey, capo degli stati maggori riuniti americani: l'intervento da parte di forze armate statunitensi non sarebbe in alcun modo decisivo.

Al di là del cerimoniale diplomatico però sembra delinearsi un intervento, pur dietro lo schermo dell'Onu. Concorde con il proprio presidente, Dempsey dichiara: "Potremmo, se invitati a farlo, aumentare in modo significativo i nostri sforzi per sviluppare un'opposizione moderata". Un'ipotesi che rovescerebbe la pratica adottata per l'Iraq (attacco e giustificazione ex post da parte dell'Onu), ma non i rapporti di forza tra le Nazioni Unite e gli Usa. La Merkel si è dissociata, lasciando passare un segnale poco chiaro. Ma in Germania è tempo d'elezioni quindi tutto verrà rimandato a dopo.

Sul sostegno di Cameron non c'era invece nulla da temere: in poco tempo Obama ha incassato la conferma sull'uso di armi chimiche e le congratulazioni per la propria presa di posizione. Il quadro dunque inizia a chiarirsi, rivelando solo un'inedita spinta interventista francese, nonostante da tempo l'area siriana non sia più zona d'interesse di Parigi. Magari all'Eliseo - come a Berlino - si pensa con timore a quelle tecnologie vendute tempo fa ad Assad padre, indispensabili per ottenere armi chimiche di qualità ed efficacia.

C'è però probabilmente di più che il senso di colpa o la volontà di accaparrarsi commesse militari come in Iraq e Mali. Parafrasando Clausewitz la dottrina Obama non è che la continazione della dottrina Bush con altri mezzi. Se si guarda ai nemici giurati indicati da G.W. Bush durante il suo periodo al potere, una inquietante linea rossa lega come in un domino Afghanistan (2001), Iraq (2003), Siria (2011), Corea del Nord (?), Iran (?). È in sostanza indicativo che nel giro di dieci anni due degli stati canaglia indicati da Bush siano caduti e uno sia in piena guerra civile. Come mi faceva notare Persio Flacco commentando l'articolo di ieri, l'Iran è molto vicino alla Siria, e la caduta di Assad significherebbe la sconfitta del sostenitore dello sciismo iraniano ed Hezbollah in Medioriente. Aggiungiamoci anche Hamas e probabilmente il quadro può essere più chiaro.

In conclusione dunque Obama ha l'ok di Gran Bretagna, Francia e forse Germania, ma resta dubbia la posizione della Russia, amica di Assad seppur recentemente - dopo lo scontro con i musulmani ceceni - nemica giurata del terrorismo islamico. Degno di nota rimane però il fatto che un possibile veto di Mosca in Consiglio di Sicurezza sarebbe facilmente aggirabile tramite l'uso della Nato (come già fatto in Somalia e in Iraq). Tutto passa per l'Europa, ed un suo pezzo ha già accettato tale onere.

 

Foto: US Department of State/Flickr


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