Siria, a due anni dall’attacco chimico. Mai più?
par SiriaLibano
mercoledì 26 agosto 2015
Il 21 agosto 2013 è una data che rappresenta simbolicamente una pagina nera della cronaca siriana, ma ancor più la messa in silenzio della coscienza della comunità internazionale: il 21 agosto di due anni fa è avvenuto l’attacco chimico della Ghuta (Damasco).
(di Alberto Savioli, per SiriaLibano)
21 agosto 2013: i fatti della Ghuta
Tra il 20 e il 21 agosto 2013, alla periferia di Damasco, in quella che un tempo era considerata “l’oasi” della Ghuta, c’è stato un attacco chimico con colpi di artiglieria in più siti della Ghuta occidentale e orientale. Mentre la gente dormiva, tra le due e le cinque di mattina, sono stati colpiti i villaggi che si trovavano allora in una zona controllata dai ribelli, Zamalka, Ain Tarma, Muaddamiya, e perciò è stato immediatamente accusato il regime nonostante questo avesse smentito con decisione ogni accusa.
Secondo gli ospedali da campo che hanno accolto i cadaveri di uomini, donne e bambini, le persone gasate sono state 1.252. Almeno 3.000 persone sono state costrette a ricorrere a cure mediche.
Da quel momento e per i due anni successivi, il mondo si è diviso in colpevolisti e innocentisti del regime siriano (tra i secondi figura il premio Pulitzer Seymour Hersh). Come spesso accade, le perizie diventano più importanti delle dichiarazioni delle stesse vittime e dei medici che le hanno curate. La mole di testimonianze raccolte non lascia spazio all’immaginazione e solo la volontà di distorcere i fatti può scagionare il regime.
In quei due giorni era in corso un attacco dell’artiglieria e dell’aviazione governativa contro numerosi centri della Ghuta, roccaforte dei ribelli. La città di Jobar veniva colpita con il lancio di otto missili terra aria, Muaddamiya e Daraya con razzi.
Secondo un catalogo statunitense declassificato sulle munizioni e i materiali di riferimento internazionali, pubblicato nel Jane’s Ammunition Handbook 1997-1998, solo tre tipi di testate sono state prodotte per i razzi da 140 millimetri: M-14-OF esplosivi a frammentazione, M-14-D contenenti fosforo bianco e una testata di tipo chimico contenente 2,2 kg di Sarin.
Questo dato è molto interessante perché i primi due tipi (esplosivi a frammentazione e fosforo bianco) sono stati ampiamente usati dall’aviazione siriana, come documen
Chi parla di quest’attacco spesso lo fa come se si trattasse di un singolo evento, realizzabile da chiunque. Si tratta invece di un attacco multiplo: 12 siti sono stati colpiti quasi contemporaneamente con agenti chimici tra Zamalka (8 siti con razzi da 330mm) e Ain Tarma (4). Questi attacchi sono stati immediatamente seguiti da bombardamenti pesanti con armi convenzionali.
L’altro sito colpito, Muaddamiya, era stata una delle prime località a scendere in piazza contro il regime nel 2011 ed è stata oggetto di un assedio durato oltre un anno, circondata da avamposti militari del regime: l’aeroporto militare di Mezze, a sud della base centrale della 4a Divisione corazzata dell’esercito.
Il rapporto delle Nazioni Unite e le testimonianze
A 34 pazienti con sintomi di intossicazione sono stati prelevati campioni di sangue, urine e capelli, i risultati così come i sintomi dimostrano una compatibilità con esposizione ad agente nervino (vedasi il rapporto delle Nazioni Unite).
In questa relazione, come peraltro previsto, non sono stati individuati esplicitamente i responsabili dell’attacco del 21 agosto. L’inchiesta del team è stata principalmente di tipo tecnico, cioè si è limitata a stabilire se sono state usate armi chimiche in Siria, ma non da chi siano state usate.
Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu, ha definito “agghiaccianti” le conclusioni del gruppo indipendente, aggiungendo che in Siria si è compiuto senza dubbio un “crimine di guerra”.
Tuttavia, come detto dagli ambasciatori americano e francese all’Onu, Samantha Power e Mark Lyall-Grant, il rapporto Onu mostra per esclusione come il responsabile dell’attacco del 21 agosto possa essere solamente il regime siriano, l’unico che ha la possibilità di compiere un attacco di quel tipo e di quella portata.
Il rapporto di Human Rights Watch dice testualmente: “Uno dei tipi di razzi utilizzati nell’attacco, il razzo da 330 millimetri, probabilmente di produzione siriana, sembra essere stato utilizzato in un certo numero di presunti attacchi con armi chimiche, è stato documentato in filmati in almeno due casi nelle mani delle forze governative. Il secondo tipo di razzo, da 140 millimetri e di produzione sovietica, che può contenere Sarin, è elencato come un’arma che si trova nelle scorte di armi del governo siriano. Entrambi i razzi non sono mai stati documentati in possesso dei gruppi ribelli… Il 21 agosto gli attacchi sono stati un sofisticato attacco militare, che richiede grandi quantità di gas nervino (ogni testata da 330 millimetri si stima contenga da 50 a 60 litri di agente), sono necessarie procedure specializzate per armare le testate con il gas nervino…”.
L’attivista per i diritti umani Razan Zeitune, sequestrata poi da un gruppo ribelle il 9 ottobre 2013, aveva denunciato quanto visto nella Ghuta quel 21 agosto: “Un groviglio di corpi, uno accanto all’altro nel lungo corridoio buio, corpi avvolti in sudari bianchi o vecchie coperte… nulla di loro si vede oltre le loro facce bluastre con la schiuma congelata agli angoli della bocca… talvolta mescolata con una striscia sangue. Sulla fronte, o scritto nei loro sudari, c’è un numero o un nome, o semplicemente la parola sconosciuto!”.
Eppure quello che il mondo ha fatto per la Siria da quel 21 agosto è storia, ossia nulla.
Si è passati dall’imminente attacco americano paventato da Obama contro il regime di Damasco, a solo discusse “no-fly zone”, fino all’accordo (proposto dalla Russia) relativo all’eliminazione dell’arsenale chimico siriano.
Tuttavia tra dicembre 2014 e gennaio 2015, gli ispettori dell’Opac (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche) avrebbero rinvenuto tracce di gas sarin e gas nervino VX non dichiarati da Damasco, in un sito di ricerca militare in Siria dove si svilupperebbero armi chimiche.
L’uso del gas da parte del regime continua
L’utilizzo del cloro da parte delle forze governative è attestato da prove video e testimonianze dirette, inoltre la stessa Opac ha concluso che con “un alto grado di certezza” nel corso del 2014 il cloro è stato usato come arma su tre diverse zone della Siria (Talmenes, Tamanaa, Kafr Zeita). Ancora una volta il rapporto non indica la responsabilità degli attacchi, ma i testimoni dichiarano di aver visto o sentito il rumore di elicotteri prima degli attacchi compiuti con barili esplosivi, verso zone sfuggite al controllo governativo.
Il gergo diplomatico utilizza la frase “alto grado di certezza”, ma come dice Samantha Power, l’ambasciatore americano rivolgendosi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: “Proviamo a chiederci chi ha gli elicotteri in Siria”, perché è da elicotteri che questi ordigni vengono lanciati. Le testimonianze sono inequivocabili.
Nemmeno le dichiarazioni dei medici siriani presenti a Sarmin il 16 marzo e documentate con video che mostrano gli ultimi istanti di alcuni bambini, uccisi da un attacco con ordigni al cloro, hanno ottenuto alcun effetto, se non le lacrime di alcuni membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che il 16 aprile 2015 hanno visto il filmato.
I medici siriani, confermando la versione degli attivisti dopo l’attacco, hanno raccontato al Consiglio di sicurezza l’arrivo a Sarmin degli elicotteri, il rumore sordo, l’odore di candeggina, infine la corsa in ospedale di decine di persone con difficoltà respiratorie.
Il video che mostra un bimbo di pochi mesi con difficoltà respiratorie prima di spirare è entrato negli annali dell’orrore.
Naturalmente il governo siriano ha negato la responsabilità per l’attacco condotto su quattro villaggi nella provincia di Idlib (compreso Sarmin), come aveva già fatto per gli attacchi alla Ghuta nel 2013.
L’attacco a Sarmin è stato condotto solo pochi giorni dopo l’approvazione al Consiglio di sicurezza, di una risoluzione di condanna dell’uso di armi chimiche, come il gas cloro. Secondo questa risoluzione il Consiglio imporrà misure ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite in caso di utilizzo di armi chimiche contenenti cloro. Il Capitolo VII prevede che siano applicate sanzioni economiche o la forza militare. Ci sono voluti solo 11 giorni al regime siriano per violare la risoluzione con un attacco al cloro a Binnis (Idlib) che ha ucciso 6 civili.
Bashar al Asad nega l’utilizzo di ordigni chimici e del cloro
E all’incalzare del giornalista che chiede “Ma il segretario americano John Kerry l’accusa di aver violato l’accordo perché avete usato il cloro. È vero?”, Asad risponde: “È possibile trovare il cloro in qualsiasi casa in Siria. Chiunque ha il cloro, e ogni gruppo può usarlo. Ma non lo abbiamo usato perché abbiamo armi tradizionali che sono più efficaci del cloro”.
Di fronte a questa negazione perentoria il giornalista chiede esplicitamente “Avete usato armi chimiche?”, il presidente siriano risponde: “Non abbiamo usato questo tipo di armi. Se le avessimo usate ovunque, decine se non centinaia di migliaia di persone sarebbero morte. È impossibile che queste armi possano uccidere, come è stato affermato l’anno scorso, solo un centinaio di persone o duecento persone, in particolare nelle zone in cui centinaia di migliaia e forse milioni di siriani vivono”.
Le testimonianze sull’uso del cloro come reagente chimico sono continuate nei mesi seguenti l’intervista, quindi la stessa domanda viene nuovamente posta ad Asad a marzo 2015 nell’intervista della CBS. Alla domanda sull’utilizzo di cloro e barili bomba, il presidente risponde: “Permettetemi di rispondere chiaramente. È molto importante. Questo fa parte della propaganda dannosa contro la Siria. Prima di tutto il cloro non è un gas militare. Si può acquistare ovunque. E, se fosse stato veramente efficace, i terroristi lo avrebbero usato su larga scala”.
Testimonianze video tra il 2014 e il 2015
Nel 2015 gli attacchi con il cloro si sono ripetuti, oltre al noto evento di Sarmin (il 16 marzo) nel governatorato di Idlib (rapporto del VDC e di HRW), si sono registrati altri attacchi il 25 marzo a Binnis(Idlib), il 2 maggio a Nerab e Saraqib (Idlib), il 7 maggio a Kafr Batikh (il rapporto di HRW su questi attacchi).
Solo pochi giorni fa, a due anni dall’anniversario della Ghuta, il regime siriano ha utilizzato un tipo di arma chimica mai documentata prima in Siria. L’11 agosto l’aviazione siriana ha lanciato un attacco intensivo nei sobborghi della capitale, a Daraya, in quattro ore è stato documentato da parte delle squadre della Protezione Civile siriana (White Helmets) lo sgancio di 30 bombe cilindriche, quattro di queste contenevano un gel trasparente simile al napalm.
Un testimone ha dichiarato: “Non si può toccare la cenere perché si accende nuovamente. Siamo in una zona assediata… I civili erano in preda al panico, cercavano di capire perché improvvisamente veniva sganciata su di loro questa cosa” (per scaricare foto e video).
La Protezione Civile ha chiesto alle Nazioni Unite di fermare gli attacchi chimici e i barili bomba mediante l’attuazione di una “no-fly zone” in Siria.
Alla domanda sula possibilità di istituire una no-fly zone, l’ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, Samantha Power, ha respinto l’idea dicendo che il presidente Barack Obama ritiene che il rischio di un confronto diretto con l’esercito siriano sia troppo alto.
Ricordare l’attacco della Ghouta vuol dire ricordare che l’uso del gas, che secondo Obama avrebbe dovuto sancire la linea rossa da non oltrepassare, è stato utilizzato anche nel 2014 e nel 2015 dal regime.
Dimenticare la Ghuta, al contrario, significa stendere un velo sulle nostre coscienze, paladine di valori e diritti che valgono solo per noi ma non per gli altri.
“Chi potrebbe passare attraverso eventi del genere nel giro di qualche ora e credere ancora che il giorno del giudizio non sia vicino? Persino coloro che ancora si aggrappano a qualche residuo di forza scoppiano di rabbia”.(Razan Zeitune)