Siria: Hollande (e Obama?) alla guerra
par Fabio Della Pergola
lunedì 2 settembre 2013
Giustamente qualcuno dice che bisogna aspettare le prove, nel caso siriano, e che gli obiettivi di questa improvvisata “coalizione dei volonterosi” non sono per niente chiari.
Sono le parole del nostro ministro degli esteri, Emma Bonino, intervistata dalla CNN: parole dure che pare abbiamo irritato un bel po' l'amministrazione americana (ma la Bonino non era, nell'immaginario di qualcuno, quella più yankee degli yankee?).
E sono parole che mettono in luce, casomai ce ne fosse stato bisogno, le contrastanti tendenze interne all'Occidente ed anche un'America balbettante. Il problema sta tutto nella famosa “linea rossa” che ingenuamente (possiamo dirlo?) il Presidente americano Barack Obama, ha tracciato a parole, ritenendo così di poter impedire, solo mostrando i muscoli, l’uso di armi non convenzionali; forse confidava che il buon senso, più del suo minaccioso avvertimento, in ogni caso prevalesse anche in casa siriana. Ma così non è stato.
Qualcuno - non si sa con certezza chi - ha usato i gas. E se l’uso del gas sembra assodato, non così gli utilizzatori. I servizi segreti israeliani che in Siria hanno orecchie ovunque da decenni per ovvi motivi, hanno sostenuto di avere le registrazioni di un comando di brigata dell’esercito regolare siriano che ordinava il bombardamento in questione, ma i dubbi su chi abbia effettivamente stappato il vaso di Pandora ancora restano, quanto meno perché le notizie provenienti da Tel Aviv potrebbero essere facilmente sia un'informazione preziosa che una catastrofica disinformazione. Lecito quindi andare con i piedi di piombo, ma non lecito far finta di niente. Non davanti a 100mila morti.
Adesso il baldanzoso Obama non sa più che pesci prendere. Perché delle due l’una: o fa finta di niente o decide per l'azione
Nel primo caso perde la faccia in modo planetario sia all’interno del suo paese, condannando i democratici all’inferno del sarcasmo più feroce e duraturo della loro storia, sia nell’intero mondo mettendo gli USA in una posizione di debolezza mai vista prima, se non ai tempi di Carter e degli ostaggi di Teheran.
La mossa di rimandare tutto al Congresso - dove si vedranno quali saranno le opzioni della lobby filoisraeliana - sembra evitare almeno il problema interno chiamando i repubblicani a prendersi le loro responsabilità (e forse sperando che sia il Congresso a fermare tutto come ha fatto il Parlamento inglese con Cameron).
Oppure fa qualcosa. Quel qualcosa che la Bonino non riesce a capire: vuol far cadere Assad o no? Vuol dare una semplice lezione ai "disobbedienti"? E quanto estesa? Quanto robusta?
Perché se non vuol imporre un cambio di regime o se la punizione alla fine consisterà solo in un paio di missili sparacchiati a casaccio sul qualche povero cristo in divisa, qui o là nel deserto siriano, Assad sghignazzerà per mesi e mesi - come già a cominciato a fare - ripensando alla altisonante ‘linea rossa’ obamiana.
Se invece la punizione sarà significativa, cioè colpirà duramente o si avvicinerà pericolosamente al Presidente magari mirando a qualche esponente della famiglia al potere, allora la questione potrà avvitarsi nel modo pericolosissimo che il nostro Ministro degli Esteri ha esplicitato: “Si rischia una deflagrazione addirittura mondiale”.
Banalmente la ritorsione siriana ad un colpo duro potrà essere una salva di missili, magari sparati dagli attrezzatissimi Hezbollah libanesi, sulle città israeliane; anche qui con un ventaglio di variabili. O i missili saranno sparacchiati mirando alle campagne, quindi con poche o nessuna vittima (in stile Hamas per intendersi), cioè in modo semplicemente intimidatorio; oppure saranno concentrati sulle piccole città di frontiera, come Kiryat Shmona, con un certo numero di vittime civili pressoché certe perché il sistema antimissile può intercettare qualche razzo, ma non sempre e tutti gli obiettivi. Prevedibile la reazione di Israele sul Libano, più o meno in stile 2006. E fin qui la cosa sarebbe circoscritta: è già accaduto, può accadere di nuovo senza che per forza la situazione si avviti in una spirale senza vie d'uscita.
Oppure la milizia sciita potrà colpire da subito molto duro. Hezbollah ha nelle sue cantine qualcosa come 50-60mila ordigni, tra razzi costruiti in casa e missili iraniani e siriani, alcuni obsoleti e un bel po' di ultima generazione. Se ne concentra contemporaneamente qualche decina sulle città maggiori, in particolare Haifa, i danni che può fare sono molto, molto pesanti. Ed estremamente pesante potrebbe essere allora la controffensiva israeliana.
Chi può dire, a quel punto, dove e quando ci si fermerà?
Insomma, la crisi siriana iniziata a Dera’a nel febbraio del 2011 con una manifestazione di protesta di poche migliaia di persone, brutalmente repressa da un dittatore angosciato dall’idea di una possibile “primavera araba” in casa sua, rischia davvero di diventare il casus belli di un conflitto potenzialmente devastante.
E si era capito quando, proprio nell’estate di due anni fa, presunti “profughi palestinesi” tentarono di forzare i confini israeliani sul Golan per manifestare contro l’occupazione dello stato ebraico.
Chiunque avesse un minimo di conoscenza del regime siriano sapeva che nessuno poteva avvicinarsi al confine se non era il regime stesso a volerlo e i suoi servizi a permetterlo. Si poteva capire benissimo, già allora, il messaggio: chiunque avesse messo in discussione la stabilità del potere degli Assad, sia un movimento interno che eventuali trame esterne, avrebbe causato l’esportazione del conflitto al di là dei confini. Cosa saltuariamente ripetuta con qualche colpo sporadico o l’abbattimento incomprensibile ai più - ma non agli addetti ai lavori - di un jet militare turco.
Come a dire: fatemi fare il lavoro sporco in casa senza mettervi a fare gli intrusi - “umanitari” o no - se non volete scatenare un conflitto ingestibile anche per voi.
E così è stato finora anche se molti, a partire dalle monarchie sunnite del Golfo fino alla Turchia neo-ottomana di Erdogan, preoccupata dell’improvvisa semi-indipendenza dei curdi siriani, hanno orchestrato per favorire un cambio di regime a Damasco (cioè a contrastare il potere iraniano verso il Mediterraneo).
Oggi l’azione “umanitaria”, che provoca molta più orticaria fra i pacifisti occidentali di quanto non facciano le macellerie mediorientali autoprodotte in loco, sembra decisamente (o quasi) prossima; d’altra parte “la prepotenza americana è l'indicatore inverso dell'impotenza altrui”, come scrive Vittorio Zucconi su Repubblica.
Impotenza, in primis dell'ONU, che costringe tutti a stare alla finestra mentre la conta dei morti, gas o non gas, tocca quota 100mila. Il che non appassiona tanto quanto la questione delle armi di distruzione di massa, anche se la distruzione di massa si può praticare benissimo pure senza i gas. Cosa che è successa, succede e succederà ancora fino a che uno dei due contendenti non deciderà di uscire dallo scontro in campo aperto per passare alla strategia degli attentati in stile iracheno o libanese. Con buona pace di una normalizzazione ormai impossibile.
Insomma, a meno che Obama, come hanno fatto gli inglesi prima di lui, non decida di sopportare una mega figuraccia mondiale, personale e politica, disinnescando la crisi, la questione si fa seria per tutti, non solo per il popolo siriano e per i ribelli di ogni colore.
Se Obama facesse un passo indietro (o anche un passo avanti, ma molto moderato) resterebbe solo il prode Hollande (socialista e belligerante) a volere incomprensibilmente e a tutti i costi la punizione del regime di Bashar al-Assad. Sono note le pretese postcoloniali francesi di avere il diritto di dire la loro sulla Siria, ma se si muove Parigi da sola la questione non avrebbe più il significato planetario che avrebbe se ad agire fosse l’asse angloamericano.
Anche perché Parigi ha ospitato a lungo il Grande Ayatollah Rhuollah Khomeyni durante il suo esilio. E questo non è privo di significato. Come non è privo di significato il vecchio, ostico rifiuto francese alla guerra di Bush all'Iraq.
Domanda: e se l'improvvisa bellicosità francese fosse propedeutica alla lezione da impartire al califfo di Damasco, imprescindibile per Obama, ma per interposta (e meno insopportabile) persona?
Alla fine la lezione sarebbe data e Obama salverebbe (più o meno) la faccia, le democrazie occidentali avrebbero rispettato la volontà dei loro parlamenti e dei loro popoli, Assad potrebbe assorbire il colpo brindando alla vittoriosa umiliazione inflitta all’imperialismo americano ed essere indulgente con quegli scavezzacollo francesi, l’Iran potrebbe guardare con soddisfazione all’impotenza occidentale - ottimo segnale per i suoi programmi nucleari - e Israele potrebbe masticare amaro, ma non troppo, pensando a quella banda di tagliagole islamisti che potrebbe salire al potere se Assad cadesse. Tutti contenti quindi (popolo siriano a parte) e guerra mondiale scongiurata (almeno per ora).
In ogni caso, tranquilli, la nostra classe politica ha ben altre questioni di cui occuparsi, altro che guerre mondiali. Deve discutere, pressoché ogni giorno, se un pregiudicato condannato per una colossale frode fiscale ai danni della Repubblica possa o non possa continuare ad essere un senatore di quella stessa Repubblica.
A occhio e croce dovrebbe essere in galera, ma tant'è. Viva l'Italia!