Sinistra, centrosinistra e fallimenti vari

par Fabio Della Pergola
giovedì 14 novembre 2013

Sembrano essere due i patatrac cui Romano Prodi deve assistere - ed ammettere - dopo esserne stato protagonista e fondatore.

Protagonista dell’entrata dell’Italia nella moneta unica europea, decisa in mondi a lui precedenti, ma messa in pratica dal suo governo nel 2001 con uno "strappo" tanto inusuale quanto pregno di orgoglio nazionale.

Ce la possiamo fare, disse (più o meno), e in effetti ce l’abbiamo fatta. Oggi più d’uno si chiede perché mai sia stato fatto quel passo che ha consegnato il paese alla rigidità di una moneta per noi troppo forte, passo che è facilmente spiegabile: se non avessimo adottato l’euro i mutui e i prestiti bancari avrebbero viaggiato a tassi ipergalattici facendo collassare l’intero paese nel giro di poco tempo.

Ma molti si chiedono come uscire, oggi, da una situazione che sembra avvitarsi sempre più in un gioco pericoloso in cui gli interessi dell’area forte (paesi di lingua tedesca, olandesi, nordici) e quelli dell’area debole (paesi mediterranei, Francia compresa) sembrano in rotta di collisione.

Le opinioni variano dall’apocalittico “usciamo dall’euro” di un Beppe Grillo in fase monomaniacale (con il suo ebefrenico e terrorizzante "ottimismo della catastrofe" che non promette niente di buono per chi non abbia sotto al mattone almeno qualche milione di euro per sopravvivere alla transizione) a quella, ben più articolata, di un "costringiamo" (politicamente) Germania & Co., cioè i paesi ad economia forte, ad uscire loro dall’euro lasciando la moneta unica alle economie più deboli che non sarebbero comunque abbandonate a se stesse, ma che nel mal comune troverebbero comunque un mezzo gaudio (anche svalutando un bel po’ quell’euro strangolatore a imprinting tedesco).

Ipotesi elaborata da economisti un po’ più ferrati di Grillo, come ad esempio George Soros (quello che pragmaticamente appoggia la campagna per la liberalizzazione della marijuana perché la sua criminalizzazione costa un botto e regala un grande business alla criminalità organizzata): “se la signora Merkel ha il diritto di non accettare i bond europei, non ha il diritto di vietarli. Dunque: o dice sì o esce dall’euro, consentendo agli altri membri di coalizzarsi per farli". A quel punto o i bond europei - forti della garanzia tedesca - garantirebbero anche le economie deboli (ma la vittoria elettorale della CDU sembra aver affossato questa prospettiva) o ci sarebbero due valute, un euro di lingua tedesca e uno di sapore latino. Ma l’Unione potrebbe resistere senza andare in pezzi.

In altri termini sembra logico doversi chiedere perché mai un condivisibilissimo progetto nato per dare più sicurezza, stabilità e ricchezza ai cittadini europei - pianificando di superare tutti gli steccati nazionalistici che hanno regalato al continente una miriade di conflitti devastanti - debba portare agli stessi più insicurezza, instabilità e povertà, ma essere tuttavia intoccabile.

Il secondo patatrac ha un nome - Partito Democratico - la cui fine sembra avvicinarsi dopo che lo stesso padre fondatore, silurato dai 101 parlamentari oscuri in occasione delle recenti presidenziali, ha dichiarato di non voler più rinnovare la sua mitica tessera n. 1 del partito.

L’agglomerato, un improbabile guazzabuglio fatto di comunisti, socialdemocratici, liberisti e cattolici accomunati culturalmente forse solo dall’improbabile idea che Gesù sia stato il “primo socialista della storia”, si sta rivelando ormai da tempo come un indigeribile minestrone in cui su ogni argomento, di qualsiasi cosa si tratti - che siano le tasse o i diritti civili dei gay o la definizione di “vita umana” - il partito non esprime una sua (qualsiasi) idea, ma ne sforna almeno tre o quattro in aperta e irrisolvibile contrapposizione. Il risultato è che su qualsiasi questione politica, economica, sociale, culturale o perfino giuridica nessuno può mai dire con certezza quale sia la “posizione politica” del Partito Democratico. Vige il “ma anche” di veltroniana memoria, ottimo per far lavorare i comici, ma deleterio per chi spera in una pratica politica credibile e affidabile.

L’idea delle primarie sembrava nata proprio per dare unitarietà e solidità alla via intrapresa con l’imprimatur della volontà popolare, ma la vicenda Bersani e l’inaspettata apertura del governo dalle larghe intese a seguito del niet firmato M5S ha fatto collassare il partito nel baratro di un “tutti contro tutti” il cui vincitore proclamato (un po’ troppo presto), Matteo Renzi, oggi comincia a dubitare di un troppo facile successo.

La dichiarazione improvvisa di Prodi di non voler più votare alle primarie e di non rinnovare l'iscrizione al PD, che ha tanto il sapore acido di una vendetta pianificata e servita a "freddo" per restituire ai 101 pan per focaccia, suona come il campanello di fine turno per tutto il parterre. Non meno della strana apertura di Epifani al Partito Socialista Europeo subito rimbeccata da Fioroni con un diktat senza sconti: se si va avanti così noi torniamo alla Margherita.

I danni apportati allo schieramento “non di destra” (sembra l’unica definizione sufficientemente neutra perché tutti la possano accettare) dalla confusione politica perenne e demoralizzante del carrozzone democratico sono probabilmente incalcolabili. C’è da chiedersi che cosa ancora si aspetti per regalare finalmente un po’ di chiarezza agli elettori di centrosinistra arrivando a quella scissione che la dichiarazione di Prodi, parlando apertamente di fallimento del progetto PD, ha ormai reso inevitabile.

Se di identità politica si tratta, che ognuno si riprenda (o cerchi di ritrovare) la sua, chi di qua e chi di là, salvo riprogettare poi, a richiesta e senza vincoli matrimoniali, tratti di vita politica da percorrere in accordo. Insomma: lasciamoci, ma rimaniamo amici, come si dice di solito fra adulti ragionevoli.

La supponente sinistra europea, lacerata da sempre nei mille rivoli del distinguo più estenuante, oggi ha un esempio quasi imbarazzante in quel De Blasio che ha stravinto le elezioni a sindaco di New York “Mi chiedono come penso di finanziare un progetto così dispendioso di scuola materna e doposcuola per tutti. La risposta è semplice: togliere ai ricchi per dare ai poveri".

Sicuramente qualcuno salterà sulla sedia mugugnando di populismo, di demagogia et similia, ma vale la pena ricordare che su questo, non su altro, si fonda la sinistra: redistribuire il reddito dando una sterzata alla prassi politica che negli anni del berlusconismo rampante ha arricchito i ricchi e impoverito i poveri.

Partiamo da qui (pensando alle pensioni, ai precari, agli esodati eccetera) e vediamo chi ci sta. Per il resto vedremo (magari smettendola intanto di accodarsi nelle giaculatorie in lode del nuovo Papa che, urge ricordarlo, chiacchiera tanto, ma di fatti concretamente rivoluzionari manco l’ombra: tanto per mettere in chiaro che anche in ambito antropologico il pasticciaccio piddì ha causato danni manifesti).

 

Foto: Simone Ramella/Flickr


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