Sinai, la sfida egiziana della sicurezza
par Enrico Campofreda
venerdì 10 agosto 2012
L’attacco di domenica notte alle guardie di confine egiziane nel Sinai con uccisioni, successiva repressione e vendetta promessa e mantenuta dagli apparati della sicurezza nei confronti di gruppi jihadisti interni e palestinesi della Striscia di Gaza mette il dito in una piaga più che purulenta. Che entra nel merito di una questione internazionale infinita su cui l’Egitto del passato aveva giocato un ruolo inizialmente soggettivo e poi subordinato agli interessi dell’ex nemico israeliano. Gaza col suo milione e mezzo di palestinesi prigionieri di fatto, sottoposti a durissime restrizioni economiche, supportati da finanziamenti più ricattatori che umanitari affinché nulla cambi alimenta tensione e rabbia fra giovani che possono trovare nell’azione dimostrativa, come quella messa in atto ultimamente, una ragione di vita contro la stessa ragion di governo del fronte della resistenza compattato da Hamas. La rinnovata collaborazione egiziana a limitare i traffici “illegali” tramite i famosi tunnel che ha visto giungere attorno al confine di Rafah scavatrici con cui squassare il terreno può essere stata un’ennesima scintilla. Oppure no, perché comunque il vasto territorio del Sinai, smilitarizzato per gli ultra trentennali accordi con Israele, rappresenta una sorta di terra di nessuno dove tribù beduine, contrabbandieri, gruppi intransigenti possono perseguire i propri scopi.
Con una simile real politik il Capo dello Stato incarna un Egitto che piace ai militari e alla copiosa popolazione che li sostiene. La stessa sua assenza nel giorno dei funerali delle 16 guardie di frontiera è risultata un escamotage per evitare contestazioni dei filo militaristi più scalmanati, non uno sgarbo all’Esercito. Lo conferma il via libera dato all’immediata “vendetta” contro i gruppi jihadisti. Quelli di nazionalità palestinese colpiti non mettono in discussione i rapporti del Cairo coi vertici di Hamas perché taluni iper resistenti sono diventati per lo staff di Hanyeh una “coscienza critica” in molti casi ingombrante anche per la gestione del quotidiano.