Sicilia: concorso scuola, la Lega non vuole asini al Nord e il PD ubbidisce

par Giuseppe D’Urso
martedì 28 dicembre 2010

I Vizi di incostituzionalità della legge Siragusa (n. 202/2010).

Quello che questi illustri personaggi firmatari di tale legge di sanatoria non hanno capito è che è in gioco la credibilità dello Stato, la credibilità delle sentenze, la certezza per il cittadini che rivolgendosi al giudice potranno ottenere giustizia. La posizione della Siragusa e del suo partito nega di fatto questi principi, dice apertamente che le sentenze non servono a nulla quello che conta è la volontà politica. Trovare il politico giusto che ti fa la legge ad hoc e poi le sentenze possono tranquillamente essere usate nel modo meno opportuno.

Si strombazza a destra e a manca la rinascita del diritto, qualcuno ha affermato che la legge salva presidi ha eliminato questa “autentica mostruosità prodotta da un sistema giudiziario che rivela imperfezioni di grande rilevanza” e evidenzia “l’inaudita violenza che ha negato il sacrosanto diritto alla difesa a cittadini che vedevano messo in pericolo il proprio bene della vita”. Continua plaudendo e affermando che la “recente svolta legislativa ci dà fiducia che forse in questo confuso e disordinato Paese che è diventato l’Italia sia ancora possibile ristabilire un giusto equilibrio tra la pretesa del diritto personale e la civile tutela dell’interesse collettivo.” E’ bene precisare che chi ha pronunziato queste parole - che vengono ovviamente strombazzate ai quattro venti nella letterina diretta “mirabilmente” da un certo Luca e il cui patron è Tripodi (coniuge di una dei 426) e strombazzate anche da un “novello sindacato” che usa la tecnica dei venditori di pentole per vendere tessere e guadagnare iscrizioni – è uno dei 426 che in un recente passato ha dichiarato nel corso di una intervista al Giornale di Sicilia, che i “congelati” si sarebbero astenuti dal servizio impedendo anche l’esercizio della delega ai collaboratori. Al di là della castroneria giuridica di tale affermazione, (che per vero ho denunziato al Direttore generale dott. Di Stefano, ma che non mi risulta abbia adottato alcun atto nei confronti di tale soggetto di cui ho fatto nome e cognome), appare evidente in essa il rifiuto del concetto di regola e il rispetto delle procedure e della statuizioni vigenti proprio da chi è chiamato a formare i nuovi cittadini. Gli sproloqui di cui ho riportato solo un piccolissimo campione, ci spingono a puntualizzare e a mettere in evidenza lo stupro perpretato dai parlamentari della sinistra nei confronti della Costituzione e dei principi cardine dello Stato. A questo punto ritengo doveroso richiamare alla memoria i motivi di illegittimità costituzionale contenuti nella legge Siragusa che di seguito trascrivo.

 

1. Sulla erroneità ed infondatezza delle premesse

Gli Onorevoli proponenti contrappongono nella narrativa la decisione del CGA a quella di altri Tribunali amministrativi, evidenziando quasi una sorta di atipicità del CGA che in effetti invece è una sezione del Consiglio di Stato operante nella Regione siciliana.

Cito per tutti l’affermazione dell’On Nicolo Cristaldi, firmatario della precedente legge dichiarata incostituzionale dalla Commissione affari costituzionali della camera:

“Sembra che persino avere il Consiglio di giustizia amministrativa, prerogativa dell'autonomia speciale della regione, rappresenti un danno. Infatti, se la sentenza fosse stata emessa dal Consiglio di Stato si sarebbe applicata in tutto il territorio italiano, ma essendo stata emessa dal Consiglio di giustizia amministrativa si applica soltanto in Sicilia, cosicché l'episodio a Bolzano non comporta alcun danno, mentre in Sicilia sì.”

Invero il CGA si inserisce nell’assetto organizzativo del sistema di giustizia amministrativa. Esso in virtù dello Statuto della Regione siciliana, legge costituzionale, è stato istituita in Sicilia quale giudice di secondo grado e, come sezione del Consiglio di Stato, decide in seconda istanza sui ricorsi avverso le decisioni del TAR per la Sicilia. Dalle osservazioni contenute nella narrativa della proposta di legge sembrerebbe, invece quasi emergere che il CGA si contrapponga alla giustizia amministrata dal Consiglio di Stato nel resto d’Italia.

Chiarita la natura del CGA quale organo del Consiglio di Stato e della perfetta legittimità ed operatività delle sentenze emesse da esso, occorre entrare nel merito della relazione della proposta di legge. I deputati proponenti criticano aspramente la decisione del giudice che avrebbe, a loro parere, commesso un grave errore nell’interpretazione delle disposizioni di cui al decreto del Presidente del Presidente del Consiglio dei ministri 30 maggio 2001, n. 341.

Essi citano le sentenze dei TAR, giudici di primo grado, di altre regioni d’Italia, dimenticando che, invece, il CGA è giudice du secondo grado e che le sue decisioni sono assimilabili a quelle del Consiglio di Stato.

I deputati proponenti tacciono su un altro elemento fondamentale per la corretta comprensione della decisione del magistrato, tacciono cioè sul punto che il motivo che ha determinato l’annullamento della procedura concorsuale a partire dalla correzione degli elaborati è il motivo principale ed assorbente, circostanza questa che ha evitato il pronunciamento sugli altri motivi. Su tali motivi, guarda caso, si è pronunciato proprio il Consiglio di Stato che in ben nove pareri ha manifestato il suo univoco pensiero che qui si riporta :

“Nel caso di specie, alla genericità dei criteri stabiliti dalla commissione – la quale li ha mutuati dall’art. 11 del bando, con la sola precisazione di ritenere prevalente il criterio relativo alla forma espressiva – non hanno fatto seguito né la predisposizione di una più stringente griglia di sotto-punteggi afferenti ai singoli criteri né l’indicazione, anche con formula sintetica o meri indicatori grafici, di non conformità dell’elaborato a tutti o a taluno dei parametri di valutazione identificati, così da rendere edotto il concorrente delle ragioni impeditive dell’ammissione alle ulteriori fasi del concorso, anche ai fini di ogni successiva tutela nei limiti del sindacato esterno sulla logicità, coerenza, congruità e non contraddittorietà del giudizio espresso. 

 Ne consegue che, nella circostanza, il punteggio numerico di insufficienza attribuito all’istante (che le ha precluso l’ammissione agli orali), in quanto svincolato da ogni possibilità di correlazione con i criteri imposti dal bando, non soddisfa il principio di trasparenza, che deve presiedere all’operato della commissione esaminatrice e al quale è, in definitiva, preordinato l’obbligo di motivazione che, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, concerne espressamente anche lo svolgimento dei pubblici concorsi.

Ed aggiunge:

A rafforzare le conclusioni di cui sopra, concorre, nel caso concreto anche la fondatezza della seconda doglianza articolata nel motivo in esame, con la quale si denuncia l’assoluta inadeguatezza del tempo dedicato dalla Commissione alla correzione degli elaborati.

Al riguardo, la Sezione, pur concordando con l’Amministrazione che non esiste in astratto un tempo da considerarsi ragionevole per la correzione di un elaborato e che l’indicazione del tempo medio non è di per sé significativa in assoluto, potendo il giudizio negativo o positivo di una prova scritta emergere con più o meno prontezza dalla lettura del compito, che viene fatta da soggetti (i commissari d’esame), che, in virtù della loro competenza specifica, sono chiamati a selezionare i candidati in un esame di concorso, resta il fatto che l’operazione di correzione delle prove che la Commissione era chiamata, nello specifico, a valutare, richiedeva la spendita di un minimo incomprimibile di tempo (tenuto conto del livello degli argomenti, della lunghezza dei compiti e della non sempre scorrevolezza della lettura in ragione della redazione manuale e delle conseguenti caratteristiche di grafia di ciascuno) da parte dei commissari.

Ora, è chiaro che, anche data per presupposta l’esperienza professionale dei commissari, il tempo risultante dal verbale n. 37 del 4 maggio 2006 di 270 minuti per la correzione di 96 elaborati ( e cioè, in media, meno di tre minuti ad elaborato) pare eccessivamente ridotto, e tale da ingenerare dubbi sul fatto che la lettura delle prova scritte sia stata fatta in modo esaustivo, tale da non suscitare perplessità sul giudizio di non sufficienza espresso (cfr., nello stesso senso, Cons. St., VI Sez. n. 2421 del 13.5.2005; n. 3368 del 20.6.2006; n. 3666 del 20.6.2006).

Conclude:
Pertanto. Il ricorso va in conclusione accolto.

(Adunanza della Sezione Prima 11 Marzo 2009) (N. Sezione 989/0)

Orbene, gli Onorevoli proponenti nella loro lunga ed articolata disamina tacciono su tale aspetto. Il Consiglio di Stato ha censurato (condannato) l’operato dell’intera Commissione, affermando, in modo cristallino, che i compiti non possono essere stati corretti in tempi così stringati.Dimostrata la inconsistenza, la superficialità e l’inattendibilità delle premesse sulle quali si fonda la proposta di legge, esaminiamone gli aspetti più tecnicamente connessi con la conformità alle norme costituzionali.

 

2. Violazione dell’art. 3 della Costituzione

La disposizione proposta viola il disposto dell’art. 3 della Costituzione poiché differenzia le posizioni tra soggetti che si trovano sullo stesso piano per effetto delle sentenze di annullamento.

Viene riconosciuto, infatti, ai c.d. vincitori non più tali, giova ripeterlo, per effetto dell’annullamento, una posizione giuridica immotivata ed illegittima che li abilita all’esercizio di funzioni pubbliche dirigenziali pur in assenza del supporto che ne legittimerebbe la loro permanenza. Dall’altro lato, invece, i non idonei, pur in presenza dello stesso effetto delle sentenze, e gli aspiranti all’incarico devono mantenere la loro attuale posizione nell’attesa di poter espletare un concorso, di cui non è stata indicata la data di inizio. Teoricamente, ed è proprio questa la manifesta intenzione, si cerca di garantire ai 426 il mantenimento nella loro posizione di privilegio. Appare evidente che i soggetti interessati vengono posti su piani diversi, l’uno di privilegio, l’altro di sudditanza.

La proposta di legge diversifica le posizioni riconoscendo a quanti hanno superato le prove e sono in atto mantenuti in servizio, una posizione di netto vantaggio prevedendo per tale categoria una prova consistente in un “colloquio sull’esperienza maturata”.

I proponenti, inoltre, fanno impropriamente riferimento al fatto che tale categoria di candidati “presta attualmente servizio con funzioni di dirigente scolastico con contratto a tempo indeterminato”. Invero nessun contratto a tempo indeterminato esiste, né potrebbe esistere poiché travolto dalla sentenza di annullamento. Tali candidati, invece, si trovano a mantenere la posizione di “dirigente” sulla base delle previsioni di una norma incostituzionale contenuta nel decreto-legge 25 settembre 2009, n. 134, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2009, n. 167. Pertanto l’ipotesi di diversificazione formulata dai relatori non esiste perché mancherebbe il presupposto stesso dell’esistenza del contratto a tempo indeterminato ed inoltre la loro posizione è già compromessa dall’essere fondata su una norma incostituzionale.

Come in precedenza affermato e fatto rilevare in sede di precedente petizione non annunciata al Senato, infatti, la disposizione che ha congelato la posizione dei c.d. vincitori nelle sedi e nelle funzioni (L. 24.11.09, n. 167), viola l’articolo 97 della Costituzione per i seguenti motivi di incostituzionalità :

Violazione del 1° comma dell’art. 97 della Costituzione.

Tale disposizione stabilisce le regole per il corretto operato della pubblica amministrazione in “modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità”.

L’emendamento proposto tende a procrastinare nel tempo una condotta della Pubblica Amministrazione in palese scandaloso contrasto con il giudicato.

E’ appena il caso di osservare che per effetto delle sentenze la Pubblica amministrazione avrebbe dovuto:

1.disporre l’immediata risoluzione dei contratti già sottoscritti che peraltro in gran parte erano in scadenza;

2. non attingere più alla graduatoria per il conferimento di sedi resesi nelle more vacanti per mobilità o per trattamento di quiescenza del titolare;

3. utilizzare i dirigenti vincitori del concorso riservato assegnando loro le sedi rese vacanti dall’annullamento;

4. mettere a reggenza le restanti sedi. (DIRETTIVA n. 33 Prot. n. AOODGPER.3510 Roma, 17 marzo 2009 Articolo 4 - I posti disponibili non assegnati per conferma ai sensi delle disposizioni contenute nei precedenti articoli sono successivamente conferiti con incarico di reggenza.)

Pur in presenza di sentenze definitive che hanno annullato il concorso, l’amministrazione ha continuato ad ignorarle, vanificandone gli effetti con atti dilatori, alla ricerca di un’improponibile ed inammissibile soluzione legislativa della questione.

Non è degna di nota l’ipotesi da più parti prospettata di un ipotetico caos nel quale verrebbero precipitate le 426 scuole siciliane se private del dirigente. Il dirigente ci sarebbe comunque e sarebbe un preside idoneo al concorso riservato, o un preside incaricato o in preside in reggenza.

Violazione del 3° comma dell'art. 97 della Costituzione.

L’emendamento viola, altresì, il 3° comma dell’art. 97 della Costituzione nella parte in cui dispone che “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.”

Nel caso in esame viene prevista un’ipotesi di accesso al posto di Dirigente scolastico al di fuori dello schema tipico del concorso.

Non può avere alcuna rilevanza al riguardo la circostanza che si tratterebbe di un posto assunto in “via transitoria”, poiché ricoperto tale posto, che deve necessariamente essere assunto dopo l’espletamento di un concorso valido, si svolgerebbero pubbliche funzioni che sarebbero radicate su un atto di investitura annullato da due sentenze.

Si creerebbe un precedente non ammesso dalla Costituzione, in quanto con legge ordinaria, determinate pubbliche funzioni verrebbero attribuite dal Parlamento ad alcuni soggetti sprovvisti di qualsiasi titolo e legittimazione.”

La proposta prosegue dando un’ulteriore specificazione ed individuando altre due categorie di candidati diversificando ulteriormente la tipologia di intervento e di “rinnovo” delle procedure concorsuali. Stabilisce, infatti che gli idonei utilmente collocati in graduatoria dovranno sostenere un colloquio su un progetto elaborato su un argomento scelto tra quelli svolti nel corso di formazione svolto con esito positivo, allo scopo di confermare la posizione occupata nella graduatoria. Anche in questo caso appare evidente la illogicità della norma e la palese discriminazione poiché pur trovandosi nella medesima posizione di quanti sono stati utilmente inseriti e chiamati a svolgere le funzioni dirigenziali, tali soggetto non rientrati nell’incarico per mancanza di posti dovranno sostenere una nuova prova al solo fine di mantenere la posizione in graduatoria.

La terza ed ultima categoria individuata dagli onorevoli proponenti è quella di coloro che parteciparono a suo tempo, completandole, alle due prove scritte. Per tali soggetti si effettuerebbe la rinnovazione del procedimento concorsuale attraverso una nuova valutazione degli elaborati, e coloro le cui prove saranno ritenute idonee, saranno avviati ad un corso-concorso di durata semestrale e un colloquio selettivo.

In tale ultima previsione emerge un ulteriore elemento di criticità che consiste nella previsione che la rinnovazione delle procedure concorsuali verrebbe effettuata attraverso la ricorrezione e rivalutazione degli elaborati. Proprio tale circostanza è stata ripetutamente esclusa dal giudice amministrativo per la evidente illogicità della medesima azione che nasce dalla impossibilità di garantire l’anonimato dei candidati.

Appare evidente che la disposizione di cui si chiede l’approvazione daparte del Parlamento, viola il principio di parità tra tutti i candidati riconoscendo illegittimamente delle posizioni di privilegio che peraltro per la prima categoria, giova ripeterlo, sono fondate su atti incostituzionali ancorché non dichiarati tali dalla Corte costituzionale, ma che appaiono tali nella loro solare limpidezza.

Si evidenzia, altresì, che il concorso per dirigenti scolastici indetto con decreto direttoriale 22 novembre 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 94 del 26 novembre 2004, anche se articolato su base regionale, ha valenza nazionale. Ciò significa che le procedure per il reclutamento effettuato nelle altre regioni in attuazione del decreto sopra richiamato non verrebbero applicate nella nuova previsione normativa

per i candidati

siciliani, venendosi così a creare un ulteriore elemento di discriminazione e di disuguaglianza con le posizioni giuridiche dei candidati siciliani rispetto agli altri candidati del resto della nazione.

 

3. Violazione del principio di non ingerenza da parte del Parlamento sugli atti giurisdizionali

Da quanto precede appare evidente che la proposta di legge come sopra avanzata viola il disposto della sentenza passata in giudicato. Ci troviamo dinanzi a delle sentenze definitive che hanno riconosciuto la invalidità degli atti della Commissione in sede di valutazione degli elaborati. La proposta richiamata svuota di contenuto le sentenze perché di fatto tende a mantiene in servizio gli attuali c.d. “vincitori”, riconoscendo delle posizioni giuridiche ed uno stato di servizio inesistente fondato su un atto rimosso dalla sentenza. Che senso ha parlare di annullamento del concorso quando coloro che risultano “vincitori” continuano a beneficiare dei vantaggi e degli effetti di un concorso dichiarato nullo?

“A tale proposito è sufficiente ricordare che il principio di intangibilità del giudicato costituisce uno dei cardini del nostro ordinamento costituzionale, in quanto rivolto, da un lato, ad assicurare il valore sostanziale della certezza del diritto nei rapporti tra i consociati e nei confronti dei pubblici poteri e, dall’altro, a garantire l’attuazione del principio di separazione dei poteri, il quale - seppur accolto in modo temperato nel nostro ordinamento costituzionale per ciò che attiene ai rapporti tra legislativo ed esecutivo - costituisce un presidio intangibile in relazione a quelli tra circuito democratico-rappresentativo e potere giudiziario.

Sia sufficiente ricordare, a tal proposito, la previsione costituzionale che riconosce il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24 Cost.), al soddisfacimento dei quali l’accertamento giudiziario definitivo è preordinato; o, ancora, la previsione secondo la quale “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa” (art. 113 Cost.), previsione che sarebbe sostanzialmente aggirata qualora, come nell’ipotesi di travolgimento del giudicato, si vanificassero gli effetti satisfattivi della tutela stessa. Si pensi ancora alla disciplina costituzionale volta ad assicurare l’indipendenza del potere giudiziario (art. 101 ss.) ovvero la previsione della ragionevole durata dei processi, quale che sia il rito o l’autorità giudiziaria presso la quale il processo si svolge (art. 111 Cost.); previsione, quest’ultima, che assume particolare significato essendo espressamente volta ad assicurare certezza, in tempi congrui, in ordine ai rapporti giuridici dedotti in giudizio.

I giudici della Consulta hanno, affermato, a proposito delle leggi di interpretazione autentica, che “al legislatore è precluso intervenire, con norme aventi portata retroattiva, per annullare gli effetti del giudicato” aggiungendo che “se vi fosse un’incidenza sul giudicato, la legge di interpretazione autentica non si limiterebbe a muovere, come ad essa è consentito, sul piano delle fonti normative, attraverso la precisazione della regola e del modello di decisione cui l’esercizio della potestà di giudicare deve attenersi, ma lederebbe i principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e le disposizioni relative alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi”. (cfr. C. Cost. 282/1985). E ancora nella sent. 364/2007 la Consulta ha statuito che “anche se le disposizioni in scrutinio non possono essere definite retroattive in senso tecnico, tuttavia esse, travolgendo provvedimenti giurisdizionali definitivi e incidendo sui regolamenti dei rapporti in essi consacrati, finiscono per avere la stessa efficacia di norme retroattive e per incontrare i medesimi limiti costituzionali per queste enunciati” (nello stesso senso C. cost. 234/2007). Infine, con riferimento alle leggi provvedimento, tra le quali va senz’altro inquadrata la disposizione in oggetto (cfr. infra punto 5) si deve menzionare la sent. 267/2007 nella quale viene dichiarata la fondatezza di una questione di legittimità costituzionale riguardante una norma che “non ha avuto ad oggetto una generalità di casi ed è stata giustificata dall’intento di eludere quello definito da pronunce giurisdizionali” (cfr. anche 94/2009).

E, d’altra parte, la circostanza che la decisione giurisdizionale passata in giudicato non possa in alcun modo venir travolta da interventi successivi è dimostrato dalla fatto che un tale sbarramento è previsto dall’ordinamento persino con riferimento agli effetti nel tempo delle sentenze della Corte costituzionale. L’esigenza di certezza dei rapporti giuridici, conseguente al formarsi del giudicato, insomma, è, dall’ordinamento costituzionale, ritenuta prevalente persino nel caso in cui il giudicato si sia formato in forza dell’applicazione di norme costituzionalmente illegittime.

Né vale in senso contrario invocare la previsione di cui all'art. 30, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la quale statuisce che "quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale sia stata pronunziata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali". Si tratta, infatti, di una evidente eccezione, motivata da esigenze di civiltà giuridica, la quale, peraltro, in tanto appare ammissibile, in quanto prevista da una disciplina immediatamente attuativa della Costituzione e dotata di uno speciale regime giuridico, come unanimemente riconosciuto in dottrina.

Nella fattispecie che ci occupa, il travolgimento del giudicato non risponderebbe a nessuna finalità attuativa della Costituzione, ma anzi, concorre a determinarne una palese violazione della Carta.” (Cfr. parere prof. Gazzetta)


4. Illogicità della pretesa ipotesi di una giustizia sostanziale contrapposta al dettato della sentenza. Irragionevolezza dell’emendamento.

Da alcuni esponenti decisamente interessati perché coinvolti con parenti ed amici presenti tra i 426, si è palesata l’idea di una giustizia sostanziale ossia di quella forma di giustizia che si ispira ai valori etico-sociali espressi dalla società civile in un determinato momento storico, prescindendo dall’osservanza della norma giuridica. La giustizia sostanziale, pur comprimendo la garanzia rappresentata dalla certezza del diritto, ha tuttavia il vantaggio di assicurare, in maniera costante, l’adeguamento del sistema giuridico all’evolversi dell’organizzazione e del costume sociale.

Essa si uniforma tendenzialmente alla giustizia formale, ma discrasie tra le due giustizie possono essere determinate dall’applicazione di norme culturalmente e socialmente superate. Il compito di porre fine ai disagi che una tale situazione di “crisi” inevitabilmente comporta è affidata alla sapienza ed alla lungimiranza del giurista.

Se quello sopra riportato rappresenta appieno il concetto di giustizia sostanziale che viene invocato da più parti, da senatori,deputati, rappresentanti sindacali, rappresentanti di associazioni, da alcuni esponenti dell’amministrazione penosamente coinvolti nella vicenda, allora dobbiamo chiederci se il costume sociale ritiene che siano concetti culturalmente e socialmente superati i seguenti:

1. che le sentenze vengono emanate dai giudici e quando esecutive devono essere applicate;

2. che le sentenze esecutive contro la pubblica amministrazione obbligano la medesima a darvi corso ;

3. che sia indegno che dirigenti scolastici si rivolgano ai politici (vile ossequio) per perorare e sostenere l’ introduzione di un emendamento palesemente incostituzionale.

4. che sia indegno (inammissibile) che un uomo di scuola caldeggi posizioni antigiuridiche ed incostituzionali;

5. che sia indegno trattare le sentenze siccome carta straccia;

6. che sia indegno considerare che la Costituzione viga solo per gli imbecilli;

7. che sia indegno affermare che le leggi vadano bene solo se tutelano interessi particolari.

Se quelli sopra riportati, invece, non sono da considerarsi principi o concetti superati dall’attuale società, allora dobbiamo ritenere che la giustizia formale ha correttamente operato e che essa coincide, almeno in tale ipotesi, con quella sostanziale. Invero, i sostenitori dei 426 fondano il loro assunto solo sul fatto, come se il possesso di uno stato potesse assurgere a situazione di diritto in contrasto con le sentenze.

La pretesa di voler ad ogni costo salvaguardare la posizione dei candidati che attualmente sono stati illegittimamente mantenuti in servizio, mina i principi cardine dell’attuale ordinamento, delegittima la magistratura e svuota di contenuto i precetti normativi.

Ulteriore elemento di incostituzionalità – violazione dell’art. 3 – illogicità manifesta. Dalla lettura del disposto della legge al’art. 10 quanto segue:

1. Le assunzioni ai sensi dell'articolo 7 sono effettuate per tutti i posti che si renderanno disponibili negli anni scolastici 2010/2011 e 2011/2012 nella regione in cui si svolgono le prove concorsuali, ai sensi della presente legge, nei limiti della validità delle graduatorie, dopo l'assunzione in servizio di tutti i candidati inseriti nelle graduatorie ad esaurimento di cui all'articolo 24-quinquies del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.

Bene, e dove è andata a finire l’interregionalità del concorso?

E’ chiaro che la Lega per dare il nulla osta a questa proposta che fa inorridire, stante le palesi illogicità in essa presenti che sconfinano senza alcun dubbio nella incostituzionalità, ha preteso il confinamento all’interno della Sicilia di questi dirigenti rivalutati, nonché ovviamente di quanti erano già stati dichiarati idonei.

La Siragusa, ovviamente, produce norme, non solo in contrasto con la Costituzione, ma da brava persona di “sinistra” (sic!), ligia ed attenta ai principi ispiratori del nostro stato (sic!), consente il processo di ghettizzazione proposto dalla Lega, pur di salvaguardare l’interesse dei 426.

Per quale ragione in seguito al riesame un concorrente, dichiarato “vincitore” del concorso, deve aspettare che si liberino dei posti in Sicilia, mentre per il principio della interregionalità potrebbe benissimo accedere da subito ad una della 300 scuole libere in Lombardia? Come, guarda caso, hanno già fatto 20 “vincitori” che lo scorso anno sono stati immessi nei ruoli nonostante la sentenza ritualmente notificata fosse divenuta inappellabile.

Considerato che il tempo di mantenimento della graduatoria è di soli 24 mesi sarebbe logico ritenere che in tale periodo si libereranno centinaia di posti in tutta Italia. Confinare la graduatoria alla sola Sicilia costituisce, quindi, un’ulteriore lesione dei diritti dei ricorrenti.

Questa è un’ulteriore macchia infamante sia per tutti i siciliani, sia per lo Stato Italiano, poiché alimenta e permette processi di ghettizzazione, illegittimi e incostituzionali. La cosa che appare in tutto il suo squallore è che tali processi di ghettizzazione vengono permessi proprio da quella “sinistra” che si fa paladina, sulla carta, della tutela dei “diritti”. (sic!)

Ma evidentemente per la Siragusa , da brava parlamentare della “Sinistra” (sic!), brava esponente della corrente del segretario Bersani - quello che rappresenta il nuovo del Partito Democratico(sic!) -, quale rilevanza possono avere i principi della Costituzione ?

L’importante per la Siragusa e per il PD è che i 426 vengano mantenuti in servizio nelle loro sedi opportunamente congelate con un’altra legge (la 190) anch’essa incostituzionale (poco importa che la Corte costituzionale non si sia pronunziata su di essa, l’incostituzionalità appare in tutta la sua solare limpidezza e può essere espressa liberamente).

Ricordiamo per chi non ne fosse ancora a conoscenza che tra i 426 ci sono la sorella del on. Cristaldi, relatore della proposta incostituzionale, la moglie dell’on.Di Giacomo, deputato regionale del PD, colleghi della Siragusa, la moglie del preside Tripodi, (consulente della commissione cultura presso la Regione Siciliana). L’importante è che rimangano tutti dirigenti, tutti i 426, il resto, poi, è spazzatura ed irrilevante.

Poco importa se i pur bravi dirigenti, dichiarati vincitori, devono essere ghettizzati nel loro territorio. D’altronde la Lega ha detto che non vuole “asini al nord” ed il PD ubbidisce. (sic!)

Quello che questi illustri personaggi firmatari di tale legge di sanatoria non hanno capito è che in gioco non sono gli interessi dei 426 c.d. vincitori o degli altri 1000 non vincitori. Quello che è in gioco è la credibilità dello Stato, la credibilità delle sentenze, la certezza per il cittadini che rivolgendosi al giudice potranno ottenere giustizia. La posizione della Siragusa e del suo partito nega di fatto questi principi, dice apertamente che le sentenze non servono a nulla quello che conta è la volontà politica. Trovare il politico giusto che ti fa la legge ad hoc e poi le sentenze possono tranquillamente essere usate nel modo meno opportuno.

Questo è quello che forse è sfuggito all’on. Siragusa e che, forse, non capisce neanche il PD. Alimentare questi processi di ghettizzazione significa consentire il processo di frantumazione dell’unità nazionale, ma evidentemente questo non rientra negli interessi della sinistra e dei suoi deputati.

Bravo Bersan. Continua così.

Visto che l’On. Bersani ha strombazzato ai quattro venti che il suo libretto era costellato di 30 e 30 e lode e che ha conseguito la laurea a pieni voti, gli consiglierei di ripassare i principi di diritto Costituzionale e amministrativo perché appare ampiamente dimostrato che il segretario del PD sembra averne smarrito la conoscenza ed il ricordo. Allora e solo allora, forse, si potrà permettere di criticare la Gelmini che alla luce di fatti non ha nulla da invidiare né a Bersani, né alla Siragusa.

Tralascio i riferimenti a Di Pietro perché, visto i risultati, e la condivisione della legge da parte degli esponenti del suo partito, cofirmatari e plaudenti, ritengo di concordare pienamente con l’opinione dell’avv. Ghedini.

A quel sindacalista improvvisato come lo ha definito un sindacato serio come l’Anp, avvezzo a mettere in ferie d’ufficio i docenti a mezzo E_mail nel periodo natalizio, che contestava il diritto di riunione del personale ed era amante delle telecamere, dico che farebbe bene a tacere se non altro per rispetto dei 426 nei confronti dei quali molte azioni sono state intraprese proprio in reazione agli sproloqui di questo “sindacalista improvvisato”.


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