Siamo tutti corporativi?
par Maria Rosa Panté
lunedì 29 marzo 2010
Cominciamo da Guicciardini. Per chi non lo sapesse o non lo ricordasse bene, Guicciardini era l’altro, il rivale, come Bartali e Coppi, quello meno simpatico. Più simpatico di solito a studenti e insegnanti era infatti Machiavelli.
Guicciardini fu fiorentino come Machiavelli e visse nello stesso periodo (1500), ebbe miglior fortuna, allora, sia in campo politico che nella vita privata, ma la sua fortuna postuma in effetti è molto più limitata. Sulla distanza ha vinto Machiavelli.
Insomma Guicciardini è noto soprattutto per un’idea: il "particulare". Egli capì bene che l’uomo (in particolare lui parlava dell’Italia, anche se ancora l’Italia era da venire) prima di tutto si preoccupa del suo orticello, del suo, appunto, "particulare".
Il bene dell’umanità gli sta a cuore così così. Con le dovute eccezioni.
Sembra proprio che l’uomo, se guarda fuori dall’orticello, debba accodarsi a qualche gruppo, l’uomo deve appartenere.
Non è cosa di tutti: Ionesco nel “Rinoceronte” mostra il caso d’un uomo che, anche volendo, non riesce ad assomigliare agli altri. Ci sono poi i casi sporadici di chi sceglie di non accodarsi, attenzione il che non vuol dire non prendere posizione, anzi.
Tutta questa premessa per dire che in questi giorni almeno due vicende vanno collocate in quest’ottica dell’appartenenza, della necessità dei più di appartenere (forse di tutti, anche non appartenere a nulla diviene un’appartenenza).
I due casi sono emblematici: l’uno è la chiesa e il suo rapporto coi preti pedofili, l’altro, meno alla ribalta, è quello delle forze dell’ordine e di violenze commesse su detenuti fino a portarli alla morte.
Entrambi sembrano seguire l’antico detto popolare che i panni sporchi vanno lavati in famiglia.
Però, agire così, vuol dire essere dominati dalla paura.
I preti pedofili, i carabinieri e i poliziotti che pestano, abusano del loro potere, per questo ai più i loro gesti sembrano più gravi. Se un pedofilo a dir poco ripugna, un prete pedofilo ripugna il doppio perché insospettabile, perché porta una “divisa”. Se un carabiniere (o un poliziotto) pesta, spaventa e indigna di più perché lui porta una divisa che dovrebbe garantirmi e difendermi e non pestarmi fino, a volte, addirittura ad uccidermi (possiamo citare anche i medici!).
E dunque costoro hanno responsabilità enormi, quanto maggiori, però, sono quelle dei loro superiori!
Lo scandalo non è solo negli abusi dei singoli, ma nella difesa dell’istituzione a scapito della persona, della vittima, dell’individuo.
Chiesa e forze dell’ordine hanno certo paura di guardarsi dentro, di perdere prestigio, potere, ma, secondo me, obbediscono anche a un istinto presente in tutti: questa benedetta appartenenza.
L’Italia è sommamente corporativa, si può dire che il corporativismo ufficiale sia nato qui nel Medio Evo, anche se nella sostanza il bisogno di appartenere c’è da sempre ed è tanto più grande quanto più gli individui si sentono fragili.
Corporativismo deriva da corpus, da corpo, che è per eccellenza qualcosa da difendere: è il “nostro” corpo, ma è anche un insieme ben delimitato, in fondo una corporazione di vari organi.
Il fatto che gli esempi che ho scelto, chiesa e forze dell’ordine, obbediscano anche a questo istinto non sminuisce i loro errori, anzi le loro colpe, ma mi fa pensare. Credo sia giusto scoprire i meccanismi che ci governano per cercare in qualche modo di vincerne i lati negativi e sottolineare quelli positivi. Appartenere non è un male, unirsi in corporazioni o gruppi non è un male, lo diventa nel caso del fanatismo, del guardare solo il proprio orticello e considerare nemico ciò che è fuori, nel caso ci si lasci sopraffare dalla paura e non conquistare dalla verità (sia pur umana e con la v minuscola!)
Alla fine gioverebbe chiedersi: quanto io difendo solo il mio orticello? (Un po’ è lecito). Quanto sono cieco nel difendere la categoria, corporazione, gruppo ecc, cui appartengo?
In sostanza quanto sono passabilmente libero e autonomo e quanto invece vinto dalla paura e dalla pressione di conformità cioè la beata sicurezza di essere uguale agli altri?
Saperlo giova alla comunità, ma soprattutto a noi stessi. Alla fine l’orticello può diventare claustrofobico e la corporazione una trappola in cui tutti si diventa cattivi, tutti pedofili, tutti pronti a pestare, tutti fannulloni (così alleggerisco il discorso, mi metto in gioco in quanto insegnante e faccio contento Brunetta)