Sì all’euro, no alla Germania

par Paolo Borrello
martedì 18 febbraio 2014

Sempre più spesso, nel nostro Paese, si diffonde un’avversione totale nei confronti dell’euro, come se l’unione monetaria europea,con l’introduzione della valuta unica, appunto l’euro, fosse la causa di tutta una serie di problemi economici che hanno contraddistinto e contraddistinguono l’Italia.

C’è chi sostiene, addirittura, che la causa principale dell’attuale crisi economica sia individuabile nell’adozione dell’euro. E pertanto molti ritengono che, con l’abbandono dell’euro, e il conseguente ritorno al passato, potrebbe migliorare sensibilmente la situazione economica italiana. Io ritengo invece che tali valutazioni siano completamente sbagliate.

E’ vero che l’introduzione dell’euro comportò, “una tantum”, un certo aumento dei prezzi, causato dagli insufficienti controlli volti ad evitare che si realizzassero manovre speculative. Ma, con l’introduzione dell’euro, l’Italia ha goduto di una stabilità valutaria che in precedenza non aveva mai avuto.

In passato, frequentemente, la lira fu soggetta a forti riduzioni del proprio valore che, sì, favorirono le esportazioni, e quindi le imprese esportatrici, ma che determinarono altresì il verificarsi di tassi di inflazione anche molto elevati, con conseguente forte diminuzione del valore reale del reddito, del potere d’acquisto del reddito, di ampie componenti della società italiana, soprattutto di coloro che non erano in grado di accrescere rapidamente le proprie remunerazioni all’aumentare dei prezzi.

Con l’uscita dall’euro pertanto si ritornerebbe ad un’inflazione a doppia cifra, ma non solo: si verificherebbe l’immediato disallineamento degli spread, il default almeno parziale del nostro debito pubblico, il congelamento dei crediti alle aziende più indebitate ed internazionalizzate, l’esplosione dei costi energetici.

Quindi l’eventuale abbandono dell’euro non solo non provocherebbe un miglioramento della situazione economica italiana, ma determinerebbe, invece, un suo considerevole peggioramento. E allora? L’Unione europea, così come è stata concepita fino ad ora, è stata neutrale quanto agli effetti esercitati sulla nostra economia? Non ha provocato effetti negativi? Non è nemmeno così.

La politica economica attuata dai governi dei paesi europei, determinata in gran parte dalle decisioni dell’Unione europea, tendenti ad affrontare la crisi, ha contribuito ad aggravare la crisi stessa, le cui cause principali peraltro hanno un’origine internazionale, connesse alle caratteristiche del sistema finanziario. E queste decisioni dell’Unione europea, che hanno considerevolmente influenzato le politiche economiche dei vari paesi, sono state, a loro volta, influenzate pesantemente dalle autorità di governo della Germania, di gran lunga la nazione più forte economicamente e politicamente nell’ambito dell’Unione.

Più precisamente sono state imposte dalla Germania politiche economiche caratterizzate da un eccessivo rigore. Un’eccessiva enfasi è stata attribuita alla necessità di ridurre i deficit e i debiti pubblici. Gli Stati Uniti d’America invece hanno attuato politiche economiche diverse e gli effetti, positivi, sulla crisi, si sono visti. Certo era ed è necessario ridurre i deficit e i debiti delle pubbliche amministrazioni ma non nella misura richiesta dall’Unione europea.

I diversi paesi avrebbero dovuto attuare politiche economiche, fiscali soprattutto, più espansive o comunque meno restrittive, nel caso in queste ultime fossero indispensabili. La politica monetaria portata avanti dalla Banca centrale europea è stata sufficientemente espansiva, ma in certi periodi lo doveva essere ancora di più. Comunque il problema principale è stato rappresentato dalle politiche fiscali eccessivamente restrittive imposte, soprattutto, dagli orientamenti prevalenti in Germania.

Tali politiche economiche dovevano essere sì accompagnate dalle cosiddette riforme strutturali, le quali erano e sono necessarie in diversi paesi europei. Quindi dovevano essere promosse anche le cosiddette politiche dell’offerta, ma dovevano essere realizzate anche politiche della domanda, espansive o comunque non fortemente restrittive, come invece si è verificato. In conclusione era necessario, e lo è ancora, non essere così influenzati, negativamente, dalla Germania.

L’euro non c’entrava e non c’entra nulla.


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