Shoah: rottura di civiltà?

par Fabio Della Pergola
venerdì 27 gennaio 2012

I nomi della Shoah è un sito che raccoglie l’elenco delle vittime italiane, i morti, ma anche i pochi sopravvissuti, della persecuzione antiebraica nel nostro paese.

Un sito che serve, così come è servito il Libro della Memoria di Liliana Picciotto che nacque con le stesse caratteristiche e finalità. Serve per togliere lo sterminio da quell’aura di astrazione che ne fa un evento ormai ai confini della mitologia, su cui tutti hanno da dire la loro, con un ammassarsi di parole – alcune intelligenti e profonde, ma anche molte così vuote e ripetitive da suonare come campane fesse – che rischiano sempre più di soffocare e offuscare la drammatica realtà dei fatti.

Un sito così – e un libro così – ci riportano tutti con i piedi per terra a confrontarci con nomi e cognomi, con facce e famiglie e legami, date di arresto e di morte, cioè a confrontarci con “persone”; con le persone che hanno subìto la persecuzione da parte di altre persone, con la collaborazione di persone (non solo tedeschi quindi) e nell’indifferenza di interi popoli e di autorità internazionali (basta ricordare il silenzio di Pio XII ed il rifiuto di tutti i paesi ad accogliere profughi europei se non in minima misura contingentata).

Concretezza contro astrazione, insomma. E quindi sofferenza che si sente tanto più realmente, che diventa tanto più vera, quanto più si scende dall’alto delle commemorazioni di maniera e dal loro vago sapore di melensa affettuosità verso gli ebrei (a cui poi, passate le giornate del ricordo, non si risparmiano i soliti velenosi luoghi comuni di antica memoria).

Ma anche necessità di comprensione di un avvenimento che ha segnato un’epoca e ha forse davvero costituito una “rottura di civiltà”, come recita il titolo di uno degli incontri organizzati nell’ambito del convegno internazionale fiorentino - Shoah, modernità e male politico - che si è svolto proprio nei giorni scorsi alla presenza di molti nomi prestigiosi fra cui Christopher Browning, Tom Segev e Zygmunt Bauman.

Fra le molte parole, una frase particolarmente significativa ha evidenziato, parlando del popolo tedesco dell’epoca, come tutti i professori di liceo di allora fossero kantiani e, immediatamente dopo, come tutti fossero diventati nazisti.

Un legame, quasi una consequenzialità, fra l’essere culturalmente segnati dalla filosofia del pensatore di Königsberg ed il trovare una passione politica nell’adesione al nazionalsocialismo. Dal “male radicale” di Kant alla radicalità del male delle SS. E se non ci vogliamo fermare alla superficie delle idee sarebbe forse il caso di connettere, con tutte le dovute cautele, l’idea kantiana di ‘male radicale’ a quella cristiana di ‘peccato originale’. Concetto di base di una peccaminosità/diabolicità/malvagità connaturata alla realtà umana stessa.

Alla fine di ogni convegno sulla Shoah ricorrono sempre le stesse tre domande a cui nessuno ha ancora saputo dare risposte esaustive: perché i tedeschi ? perché gli ebrei ? perché nel ventesimo secolo ?

Non è certo nello spazio breve di un articolo che si può rispondere a quello che storici e intellettuali di ogni tendenza cercano inutilmente da decenni, scrivendo libri su libri.

Ma buttiamo lì, quasi distrattamente, quasi per sbaglio, delle ipotesi.

Perché solo nel ventesimo secolo si è arrivati alla tripla fusione tra pensiero cristiano, pensiero filosofico e pensiero politico.

Perché i tedeschi agivano politicamente il peccato originale essendo a loro volta agiti dal pensiero kantiano e hegeliano e heideggeriano, radicalmente cristiano.

Perché gli ebrei hanno sempre rifiutato l’idea cristiana di peccato originale (cioè l’interpretazione cristiana della biblica caduta di Adamo, secondo la quale ogni singolo essere umano nasce macchiato dalla colpa del primo uomo) e costituivano, con l’insopportabile presenza della loro articolata cultura sulla natura umana - con la loro diversa antropologia - la minaccia più grave al successo della costruzione concettuale, cristiana prima (da cui duemila anni di persecuzioni) e nazista poi. In questo gli ebrei erano “de-generatirispetto alla cultura europea, secondo la logica hitleriana. Erano cioè fuori dal genere umano, animali quindi, non condividendo la stessa natura umana così come era stata definita dalla tradizione cristiana e filosofica dell'occidente.

Ipotesi azzardata ? Può darsi, può darsi.

Ma, se pensiamo che tuttora la filosofia tedesca è considerata la vetta del pensiero umano, l’espressione più elevata della più elevata civilizzazione occidentale, che la religione cristiana nelle sue varie sfaccettature, è preponderante in questo stesso mondo occidentale e che l’attuale Papa non manca di sottolineare ad ogni occasione l’assoluta complementarietà (non la contraddittorietà, come si potrebbe pensare) del pensiero religioso con quello filosofico, della Religione con la Ragione, forse dovremmo porci anche un’altra domanda: lo sterminio nazista è stato davvero una “rottura di civiltà” come viene detto, oppure quella "civiltà" che ha generato senza scomporsi l’orrore dei campi di sterminio è ancora lì, viva, vegeta ed ebefrenicamente esultante ?


Leggi l'articolo completo e i commenti