Shalabayeva: chi sapeva e chi non sapeva. Ma cosa?

par Fabio Della Pergola
mercoledì 17 luglio 2013

Così adesso lo sappiamo. E non lo sappiamo grazie a quello che è stato detto in aula da un Ministro della Repubblica, ma dalle confidenze rilasciate dal capro espiatorio prescelto per la vicenda Shalabayeva, il capo di gabinetto del Ministro degli Interni, Giuseppe Procaccini.

Scrive il Corriere: “Ho ricevuto l'ambasciatore kazako al Viminale perché me lo disse il ministro, spiegandomi che era una cosa delicata. L'incontro finì tardi e quindi quella sera non ne parlai con nessuno. Ma lo feci il giorno dopo, spiegando al ministro che il diplomatico era venuto a parlare della ricerca di un latitante. Lo informai che avevo passato la pratica al prefetto Valeri”.

Gli fa eco Repubblica: “Procaccini racconta di aver saputo dall'ambasciatore kazako della presenza di un "pericoloso latitante" del suo paese e di aver ricevuto l'ambasciatore su richiesta del ministro Alfano. Il capo di gabinetto racconta anche di aver poi informato di nuovo il ministro il giorno successivo, il 29 maggio”.

Ne parla l’Unità: “L'incontro (con l’ambasciatore kazako, ndr) era stato sollecitato dallo stesso Alfano: «Ero stato informato che l'ambasciatore doveva riferirmi una questione molto delicata». Poi al ministro dell'Interno riferì «verbalmente» il giorno successivo, il 29 maggio”.

Il Messaggero, invece, preferisce toni più sfumati: “Prefetto Procaccini, ha informato il ministro Alfano? «Nei giorni successivi gli ho accennato brevemente che era stato dato seguito ad un’operazione di cattura di un pericoloso latitante kazako, ma senza entrare nei dettagli»”.

E, sorprendentemente il Fatto Quotidiano scrive invece “Contestualmente al suo passo indietro, l’ormai ex capo gabinetto del Viminale, però, ha 'protetto' il vicepremier, assicurando che «il ministro non sapeva» dell’accaduto”.

Le notizie di stampa quindi sono un po’ contraddittorie anche se a monte di tutto ci si chiede a quale titolo un ambasciatore straniero viene accolto e ascoltato da un alto funzionario degli Interni anziché essere gentilmente dirottato sul Ministero degli Esteri? Forse perché "lì" avrebbe trovato un terreno già dissodato che "là" non avrebbe trovato ?

Insomma, forse Alfano sapeva, e ha passato la grana kazaka a Procaccini, forse Alfano sapeva che il blitz contro un pericoloso latitante aveva dato esito negativo, forse Alfano non sapeva. Forse Alfano non sapeva, in particolare, dell’improvvisa deportazione di moglie e figlia di “quel” pericoloso latitante kazako di cui invece “sapeva”.

"L’accaduto” di cui era all’oscuro - secondo il Fatto - potrebbe essere solo la seconda parte, il misterioso risvolto che ha interessato, contro ogni logica, la donna e la bambina che, con i reati a carico del “pericoloso latitante kazako”, di sicuro non c’entravano niente. Peggio che mai, quindi.

Chi può aver deciso e perché del "rimpatrio" forzato di Alma e Alua dopo aver fatto un buco nell'acqua con l'uomo? Il Ministro quindi ne uscirebbe mezzo colpevole e mezzo innocente, anche dalle parole irritate del capro espiatorio Procaccini.

Di sicuro si direbbe che Alfano non seppe della vicenda il 2 giugno quando un’allarmata Emma Bonino lo avvisò di quello che aveva saputo dagli avvocati della donna kazaka, ma in quell’occasione recitò la parte del "sorpreso-scandalizzato" perché in realtà, secondo Procaccini, era già al corrente. E allora perché sgranò gli occhioni sorpreso con il nostro Ministro degli Esteri?

Della questione kazaka sapeva, avendo passato lui la pratica a Procaccini; forse non sapeva del coinvolgimento delle due donne, che però è la madre di tutte le questioni. Dare la caccia, individuare e fermare un latitante inseguito da mandato di cattura internazionale (anche se, contemporaneamente, principale oppositore coperto dall’asilo politico riconosciutogli da un Paese europeo) è un aspetto legittimo, se condotto con tutta la cautela del caso. Coinvolgere moglie e figlia è invece immotivato ed illegittimo. Cos’è quindi che Alfano non sapeva? Del blitz contro l’uomo o della deportazione delle donne? Ma perché cascare dal pero con la Bonino?

La sua relazione al Senato non chiarisce appieno cos’è che esattamente non sapeva: sembra negare tutto e in questo sarebbe già un bugiardo benché, forse, parziale.

Nel frattempo il direttore del servizio segreto interno (AISI), generale Arturo Esposito, ha riferito oggi al Copasir, ed "è stata confermata la completa estraneità del nostro servizio alla vicenda, che è stata soltanto un'operazione di polizia attuata su richiesta di Interpol e Criminalpol. I servizi non se ne sono mai occupati”.

In sintesi in Italia - paese ad alto rischio di terrorismo interno e internazionale, a forti tensioni sociali, con una criminalità di stampo mafioso-camorristico spietata e organizzata, con gang di malavitosi cinesi, rumeni, moldavi, montenegrini, albanesi e compagnia cantando in piena attività, con residuali brigatisti e anarco-insurrezionalisti, più una gamma indistinta di “fuori di testa” bombaroli - abbiamo dei servizi di sicurezza interni che, di una faccenda in cui sono implicati ambasciatori che salgono le scale del ministero "sbagliato", di pressioni dirette di un paese asiatico sulle nostre forze di polizia, di spioni israeliani e italiani coinvolti, di uomini armati che agiscono di notte alle porte di Roma e di un aereo privato prenotato in fretta e furia con destinazione Kazakhstan, loro - i servizi "interni" - semplicemente “non se ne occupano”. Nemmeno dopo che un loro ex agente, ormai pensionato, viene in qualche modo coinvolto a spiare la villetta di Casal Palocco.

Curiosamente il motto dell’AISI, ironia della sorte, è “scientia rerum reipublicae salus" ("La conoscenza delle cose è la salvezza della Repubblica"). Stiamo freschi.

Ma non sembra che la faccenda sia finita qui: altre teste sono destinate a cadere e prima di cadere probabilmente avranno da dire la loro. Stiamo in campana.

 

Foto logo: Wikimedia

 


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