Sentenza Pussy Riot, un duro colpo alla libertà d’espressione in Russia

par Riccardo Noury - Amnesty International
sabato 18 agosto 2012

 

Condannate a due anni di carcere – di cui cinque mesi già scontati dall’arresto – per “teppismo”, per aver intonato un brano di protesta all’interno della principale chiesa ortodossa di Mosca (nella foto).

Il verdetto emesso oggi contro le tre Pussy Riot Maria Alekhina, Ekaterina Samutsevich e Nadezhda Tolokonnikova, non rappresenta solo il tentativo, purtroppo riuscito, di mettere a tacere tre giovani voci del dissenso. È anche un monito a tutti gli altri: ecco cosa potrà capitarvi se oserete sfidare il potere.

La sentenza, al termine di un processo che non avrebbe dovuto neanche iniziare, porta una tripla firma: di chi l’ha pronunciata (la giudice), di chi l’ha pretesa (gli alti esponenti della Chiesa ortodossa) e di chi l’ha suggerita (il presidente Putin).

Del clima persecutorio di questo processo ne è fedele testimonianza la lunghissima lettura della sentenza in cui la giudice Syrova non ha risparmiato niente alle tre Pussy Riot, mescolando “peccati” e “reati”: promozione dell’omosessualità (che a Mosca non è ancora reato), imitazione di azioni demoniache, messa in pericolo dell’ordine sociale con modi volgari, atti vandalici che hanno costituito una reale minaccia alla pace sociale.

Tre giovani punk hanno sfidato la stretta alleanza chiesa-stato, rivelando la sempre maggiore intolleranza del potere russo e i sempre più ristretti limiti consentiti alla libertà d’espressione.

C’è da augurarsi che il movimento di opinione che ha sostenuto le Pussy Riot non solo continui ad attivarsi per chiedere che la condanna venga annullata, ma si occupi anche degli altri casi in cui la libertà d’espressione è a rischio. Uno per tutti, quello di Artyom Savyolov e di altri undici giovani attivisti, Leggete qui la loro storia.


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