Sei dischi per l’anno che è finito, ovvero la terra ha musica per coloro che ascoltano
par Martino Ferrari
sabato 31 dicembre 2016
“La terra ha musica per coloro che ascoltano” diceva Shakespeare. Allo stesso modo, anche l’anno appena passato ha una colonna sonora, una musica che scorre in sottofondo e fa da cornice a tutto quello che è avvenuto nei 365 giorni passati. Perché non provare allora a legare alcuni dei migliori album del 2016 a quello che abbiamo visto in questo ultimo anno?
Moderat – III
In questo senso, il nuovo disco dei Moderat rappresenta perfettamente questa evoluzione (o involuzione, decidete voi) della condizione umana. Suoni sintetici, voce utilizzata come ulteriore strumento, quasi disumanizzata, e strumentazione rigorosamente elettronica. Le atmosfere, come è tipico del gruppo tedesco, sono spesso crepuscolari ed eteree, colonna sonora ideale per un mondo che sembra avviato sempre più ad un futuro da Blade runner. Anche i brani più ritmati (Running, Animal Trails) sono passi verso lo straniamento. Il disco è un mezzo punto sotto ai precedenti, complice forse anche la fine dell’effetto novità che ha accompagnato i primi due album del terzetto, ma rimane senza dubbio uno dei migliori di questo 2016.
Canzone cult: Reminder.
Radiohead – A moon shaped pool
E’ un disco impegnativo, questo, riflessivo. Ma d’altronde la solitudine, madre di tutte le ispirazioni creative, è una condizione irrinunciabile dell’uomo. I momenti soli con se stessi sono necessari, altrimenti, come canta Yorke nella splendida True love waits, “I’m not living, I’m just killing time”. Alla fine del disco avrete voglia di interagire con qualcuno, di scambiare qualche parola per ricordarvi che la solitudine può essere dolce e non è necessariamente da demomizzare, ma la sua presenza ci fa venire voglia, alla fine, di stare con gli altri.
Canzone cult: Present tense
David Bowie – Blackstar
Quale disco più adatto, dunque, dell’ultimo di David Bowie, morto a gennaio, per simboleggiare questo aspetto del 2016? Lo confesso, prima di ascoltare Blackstar non avevo mai sentito un disco intero di Bowie. Non lo conoscevo affatto dal punto di vista musicale, ma solo come icona della pop culture. Ok, l’ho ammesso, crocifiggetemi. Dopo la sua morte ho fatto come tantissime persone: mi sono preso il tempo per dedicarmi all’ascolto di questo album. E ho subito capito perché tutti lo ricorderanno per sempre. Non vorrei aggiungere altro, per non mancare di rispetto a un mostro sacro della musica moderna. Quindi mi limiterò a concludere con le parole dello stesso Bowie, tratte da Lazarus: “Look up here, I’m in heaven, I’ve got scars that can’t be seen. I’ve got drama, can’t be stolen, everybody knows me now”.
Canzone cult: Lazarus
Nick Cave – Skeleton Tree
Il lato oscuro dell’anno passato è rappresentato alla perfezione da Skeleton Tree, ventiduesimo album di Nick Cave, maestro della musica contemporanea ormai dalla fine degli anni ’70 (Door door, il suo primo lavoro, risale al 1979). La canzone di apertura, Jesus alone, è l’emblema di tutto il disco: atmosfere cupe, nerissime e senza via d’uscita, che intrappolano l’ascoltatore in melodie dense come la pece. La sua voce profonda e inconfondibile, quasi un elegante e composto lamento, conferisce solennità ad ogni minuto dell’album. Tutte le canzoni sono una colonna sonora perfetta per le immagini di televisioni e siti che mostrano il dolore di chi è stato colpito da uno dei tragici eventi accaduti durante l’anno, perché a loro volta nascono da una sofferenza profondissima, molto privata dell’autore: parte dell’album, infatti, è stato composto e inciso dopo la morte del figlio quindicenne, precipitato da una scogliera. Ogni parola cantata dal padre è impregnata di uno strazio lancinante, che fa quasi male ascoltare e scava dentro (particolarmente in Rings of saturn e Magneto). Forse è proprio la sofferenza che fa di questo disco un gioiello, che però non avremmo mai voluto ascoltare.
Canzone cult: I need you
Justice – Woman
Il disco rappresenta perfettamente la voglia di divertimento e di evasione. Ascoltandolo, cresce il desiderio di passare qualche giorno con gli amici a qualche festival in giro per l’Europa, non pensando a nulla se non a stare in compagnia e a bere un bel po’ di birre.
Canzone cult: Chorus
Thegiornalisti – Completamente sold out
A chi dice che la musica italiana, al giorno d’oggi, è morta, rispondo che, al contrario, non è mai stata più viva. Saltate a piè pari i vari Mengoni, Emma, Fragola, Antonacci e compagnia e arriverete al cuore pulsante e vivissimo di una nuova generazione di artisti che, non passando dai talent, fanno fatica a guadagnarsi la propria fetta di mercato e di visibilità. Parlo dei vari Calcutta, Le luci della centrale elettrica, Dente, Motta. E infine, last but non least, il gruppo italiano più rappresentativo del 2016 e, a mio parere, di qualità migliore, ovvero Thegiornalisti, con questo loro quarto album.
Tutto il disco è innervato da una malinconia latente ma ben percepibile, a volte nascosta anche sotto la coperta di testi apparentemente leggeri (Il mio maglione tuo), interpretata splendidamente dalla voce di Tommaso Paradiso. Cosa potrebbe essere più rappresentativo dell’Italia del 2016 se non un album in bilico tra tristezza, spensieratezza, semplicità apparente e complessità intrinseca, accompagnata da testi profondi e ai quali ciascuno, a proprio piacimento, può dare il significato che preferisce, che più sente suo? E’ la fotografia delle generazioni che si incontrano in ogni paesino dell’Italia di provincia e delle contraddizioni di ogni grande città, della condizione precaria dei giovani e dei sogni sfumati dei cinquanta-sessantenni, della freschezza degli amori degli adolescenti e dell’incertezza sul futuro che ormai accomuna tutti.
Chiariamoci: Paradiso non canta in modo perfetto, ma riesce a dare pienezza ad una parte musicale intrigante e piuttosto basilare, che accompagna il testo senza però limitarsi ad esserne semplicemente il contorno. Ecco cosa stupisce di questo album, l’omogeneità di musica e testi, il loro completarsi perfettamente, aggiungendo qualcosa l’uno all’altro. Come insegna Battiato, “il tutto è più della somma delle sue parti”. E, in questo caso, è assolutamente vero.
Canzone cult: Tra la strada e le stelle