Sei avvocato? Allora non puoi insegnare diritto

par Marco Barone
sabato 24 dicembre 2011

Quella che ora scriverò è una riflessione che non vuole essere a sostegno dei più o dei meno, ma semplicemente evidenziare un dato di fatto.

In Italia esistono tantissimi avvocati. La maggior parte, mi riferisco ai giovani, è precaria, anzi, di più. Esiste una concorrenza difficile da reggere specialmente se non sei "figlio di papà", se non hai ereditato uno studio professionale, se non hai un capitale di fondo a disposizione.

Perché quella del settore dell'avvocatura è un mercato. Un mercato in crisi, dove i giovani sono praticamente tagliati fuori. E le ipotesi di riforma della professione non aiutano certamente chi non ha reddito o chi si rifiuta di difendere i soliti noti.

Per esempio si discute del fatto che una delle condizioni per rimanere iscritti all'Albo e si paga ogni anno una tassa, sarebbe la produzione di numero x di cause, ma anche avere un determinato reddito fatturato.
 
In sostanza, se queste disposizioni troveranno applicazione, molti giovani avvocati verranno buttati fuori dall'Albo. Diventare avvocati è difficile. Effettui un periodo di formazione/lavoro di due anni, non retribuito, poi devi superare l'esame, che dura in sostanza un anno. Uno degli esami più difficili, probabilmente il più difficile dopo quello per Magistratura.
 
Certo, si potrebbe obiettare, è una libera professione, quindi, si maturano i rischi del caso. Giusto. Ma devono, a parer mio, cadere molti miti. Il più rilevante è che l'avvocato ha soldi, o che l'avvocato è benestante. Nulla di più falso per i giovani avvocati che non hanno le spalle coperte.
 
E sono tanti. Molti penseranno che l'avvocato potrebbe per esempio insegnare diritto. Ti laurei in giurisprudenza, svolgi un tirocinio, superi l'esame ed eserciti la professione. Quindi, in teoria, l'avvocato sarebbe conoscitore del diritto.
 
Si avrebbero, così, tutti i titoli per insegnare diritto nella scuola pubblica statale italiana. Invece non è così. La classe di riferimento per insegnare diritto nelle scuole superiori di secondo grado è la 19/A.
 
Ma la normativa attuale, sia per i vecchi laureati che per i nuovi, richiede esami aggiuntivi rispetto a quelli previsti nel programma originario di studio, quali economia politica, statistica politica economica ed economia aziendale. Anche il nuovo regolamento del TFA, sulla linea delle vecchie SISS, non muta tale orientamento.
 
Quindi, anche se si è avvocati, non si può insegnare diritto a scuola e neanche partecipare ai TFA. L'interessato/a dovrebbe iscriversi nuovamente all'università, spendere altri soldi e sperare in qualche chiamata dalle graduatorie. Ma anche qui il problema è dato dal fatto che ora si dovranno aspettare le graduatorie del 2014.
 
Ed allora una proposta, visto che si parla di concorso, finalmente, per entrare a pieno titolo nella scuola, perché non prevedere la possibilità per coloro che sono giovani avvocati, e senza lavoro o con lavoro ultra-precario, di partecipare al concorso pubblico per conseguire l'abilitazione per insegnare diritto?
 
Ovviamente con la condizione che l'insegnamento deve comportare la preclusione o una limitazione dell'esercizio della libera professione. Ma l'acquisizione dell'abilitazione all'esercizio della professione forense, se non la stessa laurea in giurisprudenza, a parer mio, deve conferire la possibilità di partecipare al concorso, senza sostenere nuovi esami universitari o corsi similari.
 
E nello stesso tempo perché non fermare i TFA che seguono la triste e speculativa vicenda delle SISS, che oltre che comportare grande business, “produrranno” una nuova cerchia di precari, visto che saranno a numero chiuso ma anche enormi illusioni?
 
TFA di cui ancora mancano molti decreti attuativi per esempio per definire le modalità di reclutamento dei docenti con compiti tutoriali previsti dall’art. 11 del dm 249/10, la distribuzione regionale dei posti da bandire, le date delle prove selettive di accesso ai percorsi ecc?
 
Discutiamone.

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