SeCo: secondo generazione dei motori di ricerca

par Chiara Lalli
mercoledì 1 ottobre 2008

Intervista a Stefano Ceri
(Professore di Information Technology al Dipartimento di Elettronica e Informazione, Politecnico di Milano)



Qual è la differenza principale tra questo progetto e gli attuali motori di ricerca?


SeCo vuole costruire una seconda generazione di motori di ricerca che utilizzi, per le ricerche sul web, altre risorse: altri motori di ricerca o altri sistemi disponibili su web.
Un esempio tipico è il seguente: “in quale ospedale si cura l’insonnia con un bravo medico?”. L’ospedale deve essere vicino all’utente, la patologia deve essere inserita tra quelle dell’ospedale e il medico deve essere valutato secondo alcuni criteri di qualità. Sono tutte informazioni presenti in rete, ma non correlate. L’utente deve mettersi con santa pazienza ed estrarle, ma per ora non esiste la possibilità di descrivere questo tipo di interrogazione e soprattutto di farla eseguire ad un utente automatico. La nostra ricerca cerca di integrare un numero elevato di dati che provengono da varie fonti.

Si potrebbe dire che SeCo fa le veci di un utente esperto?


Esperto e che svolge una ricerca complessa al tuo posto. Facciamo un altro esempio. Esistono siti e motori di ricerca esperti di un certo dominio applicativo: viaggi, voli, previsioni meteorologiche, congressi. Si vuole costruire un’unica interrogazione che tenga conto del volo, del tempo, dello svolgimento di un congresso interessante e della presenza di una bella località. L’interrogazione poi sarà scomposta, ciascuna componente verrà indirizzata ad un motore di ricerca specifico, capace di conoscere quel dominio, e poi il tutto sarà ricostruito con una operazione di integrazione dei risultati. Stiamo pensando ad una architettura in grado di esprimere una interrogazione tanto complessa, decomporla, poi ricomporla per offrire agli utenti il risultato.

Che differenza c’è rispetto al web semantico?



C’è una forte differenza: il web semantico si propone di fare qualcosa in più, dando a programmi piena responsabilità sulla scoperta, il matching, e la negoziazione tra altri programmi. Rispetto alla generalità del web semantico, SeCo è più finalizzato. Noi non prevediamo tutte queste funzioni. Io so già a priori che per rispondere ad una interrogazione sui viaggi mi rivolgerò ad un insieme di motori di ricerca. Quello che è piaciuto nella proposta è che si tratta di un progetto che va nella direzione del web semantico, ma con un taglio piuttosto concreto tipico del mondo da cui provengo, che è quello dei database. Proprio perché si è ridotta e contestualizzata meglio l’ambizione di quanto vogliamo compiere, le cose sembrano più fattibili. Abbiamo già realizzato dei prototipi che ci fanno essere ottimisti.

Gli utenti quando potranno godere di questo strumento?

A monte di questo finanziamento ne avevo ricevuto uno di molto inferiore dal Prin. Ci aveva però consentito di cominciare a studiare il progetto e a produrre già qualche risultato. Inoltre è stato positivo che sia stato un finanziamento italiano ad avviare questa ricerca.
Il finanziamento ottenuto, di 2,5 milioni di euro, potrà essere usato nei prossimi 5 anni: l’ente finanziatore, l’European Research Council (ERC, istituito all’interno del Programma Quadro della Comunità Europea per finanziare progetti di frontiera), vuole promuovere progetti di innovazione abbastanza significativa. Quindi, il progetto è a lungo termine, con diverse fasi: una prima di ricerca teorica, che prevede di coinvolgere diverse discipline, e poi una più applicativa. Ma l’ informatica ha una natura impaziente ed è probabile che prima dello scadere dei 5 anni saranno pronti dei prototipi. Ho posto una prima scadenza interna tra due anni e mezzo, entro allora si potrà dimostrare la fattibilità del progetto.

Più in generale che ne pensa della ricerca in Italia, e soprattutto del suo finanziamento?


Qui, presso il Dipartimento di Elettronica e Informazione (DEI) del Politecnico di Milano, abbiamo preso due Advanced Grants da parte dell’ERC su un totale di 7 in Informatica in tutta Europa, e ne siamo particolarmente fieri. Il DEI è un luogo dove si fa ricerca ad un livello internazionale e di altissima qualità – il finanziamento è un riconoscimento importante. Inoltre abbiamo fatto da poco una peer review del dipartimento, con un board internazionale: il giudizio è stato excellent.
Lo dico per contrastare la mancanza di fiducia alla ricerca italiana, che produce ogni tanto ottimi risultati. Pur essendoci una carenza di finanziamenti. Basti riferirsi alle ultime leggi che sottraggono ulteriormente i fondi alle università e alla ricerca; o ai ministri che pensano che l’università non serva a niente e sono ben felici di dissanguarla ulteriormente. I nostri finanziamenti, con rare eccezioni, vengono dall’Europa. Da quando esistono i Programmi Quadro e ancor prima, quando si chiamavano Esprit, ho sempre avuto un progetto europeo: è l’unico modo per finanziare il mio gruppo di ricerca. Da vent’anni, durante l’estate, vado a Stanford: ho tenuto corsi e ho avuto molti allievi. Quella, per intenderci, è la patria di Sergey Brin (l’inventore di Google) e tanti altri. Il livello dei nostri studenti è del tutto confrontabile al loro, così come le nostre ricerche e talvolta anche i finanziamenti ottenuti. Quello che manca in Italia è la disponibilità di veri capitali di rischio, capaci di investire su un’idea, e un po’ di vento positivo che sostenga la ricerca. E mancano quasi del tutto le infrastrutture: una volta che i risultati ci sono, è molto difficile trasferirli sul mercato. Per citare un’altra vicenda, otto anni or sono abbiamo aperto, con il Politecnico, una spin-off che ha un brevetto americano, un prodotto, una ventina di dipendenti e che va molto bene, ma con una dinamica diversa dalle aziende nate negli Stati Uniti. Ci sono anche tante realtà positive italiane, spesso ignorate dalla stampa, e di invece cui è bene parlare. Perché, nonostante le difficoltà, esistono molte iniziative importanti e di qualità.


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