"Se non lui chi?" Dopo il voto salva-Milanese è l’ultimo fortino della dirigenza leghista
par Daniel di Schuler
sabato 24 settembre 2011
Una cosa è ormai certa: Silvio Berlusconi resterà in carica fino a quando la Lega vorrà.
Costi quel che costi (e secondo gli esperti la sua permanenza in carica costa al Paese tra i 50 e i 200 punti di spread; tradotto sono tra i 10 ed i 40 miliardi l'anno o, se preferite, tra i 150 ed i 600 euro per ognuno di noi) il nostro ineffabile Presidente del Consiglio non si dimetterà, né c'è da sperare in uno scatto d'orgoglio dei suoi nominati che, nelle file del PdL, siedono in Parlamento.
La Lega ha le chiavi di tutto e il suo elettorato, la sua chiassosa base, comprende sempre di meno perchè non si decida ad usarle; perché non stacchi una spina ad un governo che appare clamorosamente inadeguato ad affrontare la crisi.
Il voto con cui i parlamentari leghisti hanno contribuito ieri a salvare Marco Milanese ha allargato ulteriormente questa frattura tra i vertici e la base del leghismo; i militanti di quel che fu il primo vero partito anti-sistema capiscono sempre meno il comportamento di una dirigenza che del sistema sembra ormai fare parte integrante.
L’alleanza con Silvio Berlusconi, lo stesso “Berlusconi mafioso” dei loro canti di pochi anni fa, non è mai stata del tutto digerita dall’elettorato leghista. L’hanno accettata quando gli è stata dipinta come tappa fondamentale nel lungo viaggio verso la terra promessa del federalismo fiscale; non ne comprendono le ragioni ora che il federalismo fiscale, con i suoi costi, è finito nel dimenticatoio.
Fosse per loro, per moltissimi di loro, l’”Unto del Signore” sarebbe, già da tempo, tornato ad occuparsi a tempo pieno delle sua principale occupazione, lasciando la Presidenza del Consiglio a qualcuno meno impegnato nel giramento della patonza ed in altre simili attività.
“Se non lui chi?”.
E’ la domanda retorica con cui i dirigenti della Lega cercano di placare i malumori della base. Silvio Berlusconi, dicono Bossi ed i suoi colonnelli, è imprescindibile; nessuno può prendere il suo posto, specie nell’attuale, difficilissima, situazione economica.
A quella domanda dovrebbe rispondere per prima l’opposizione.
Bersani, Di Pietro e Vendola, come pure Casini e Fini, si guardino in faccia e guardino in faccia la realta: non è il momento di fare tatticismi, di pensare a chi guadagnerà o perderà mezzo punto nelle lontanissime elezioni del 2013; per allora potrebbe non esserci più il Paese.
Devono, assolutamente devono, trovare un accordo e fare il nome di un candidato alla guida del Governo; un uomo che goda della fiducia della grande maggioranza degli italiani, moralmente irreprensibile, e capace, ripetendo le parole del Presidente della Repubblica, di delineare “un pacchetto, un insieme di misure (...) un piano pluriennale, una piattaforma meditata che nasca da consultazioni ampie per rilanciare la crescita anche perché se il pil decresce l'impresa diventa ardua se non impossibile”.
Facciano quel nome. Dicano chi, secondo loro, dovrebbe prendere il posto di Berlusconi e presentino una mozione di sfiducia.
Tolgano ai dirigenti leghisti, così abili nell’essere “di lotta e di governo” , qualunque scusa. Li mettano davanti alle loro responsabilità verso il proprio elettorato, verso il Paese e, non è un’esagerazione perché storico, purtroppo per noi, è questo momento, verso la Storia.
Credits Foto: Piovono Rane