Schettino al Giornale: "Non sono capitan codardo, dovranno chiedermi tutti scusa"

par Harvey Vent
venerdì 16 novembre 2012

Parla Francesco Schettino, il comandante della Costa Concordia, la nave da crociera naufragata al largo dell'isola del Giglio lo scorso 13 gennaio. Ora, a distanza di 10 mesi, 30 vittime e 2 dispersi, il comandante accusato di omicidio colposo plurimo e abbandono della nave in pericolo dichiara di voler raccontare la "sua verità". In un'intervista rilasciata al Giornale, Schettino annuncia: "Dovranno chiedermi tutti scusa". E delinea misteriosi scenari che coinvolgono anche il Capitano De Falco (divenuto celebre per il suo "torni a bordo, cazzo!"), ritratto ora come una "vittima" del naufragio, ora come una persona sospetta, che "ha provato a “giocare“ in modo non corretto" ai suoi danni. "Ci sono prove, allegate all'inchiesta, che raccontano completamente un'altra storia e dimostrano come il sottoscritto non sia capitan codardo". Ecco uno stralcio dell'intervista:

Non faccia la vittima, comandante...

«Non ci penso proprio anche perché le vere vittime sono altre. Ma non accetto più di essere massacrato con menzogne infamanti. E siccome hanno parlato tutti e in tanti hanno distorto la realtà, adesso parlerò io. Sto scrivendo un libro, e senza fare sconti a nessuno tirerò fuori ciò che non vogliono venga alla luce».

Di cosa parla?

«Le prove snobbate, le carte nascoste, le registrazioni integrali divulgate in modo volutamente parziale o capzioso come quella del “Torni a bordo, cazzo!”. Nessuno ha fatto caso che quel celebre file audio venne fatto uscire proprio in coincidenza con la decisione del gip sul mio arresto. Una decisione che, in ambienti giornalistici e giudiziari, si diceva potesse non essere così scontata come invece invocava l'opinione pubblica. Nonostante la gogna mediatica rischiavo di non essere arrestato poiché non potevo certo reiterare il reato con la nave incagliata al Giglio, oppure scappare all'estero senza documenti e inseguito dalle televisioni di tutto il mondo, o ancora inquinare prove che non potevo avere a disposizione. E qui, se mi permettete, andiamo a un'altra vittima di quella tragedia: il capitano Gregorio De Falco, l'eroe, quello della telefonata».

Comandante, ma che cosa sta dicendo? De Falco una vittima?


«È una vittima perché è finito in terribile gioco più grande di lui e ha provato a “giocare“ in modo non corretto. Infatti non essendo presente sul posto e, quindi, non avendo il polso della situazione, non è stato in grado di sfruttare a dovere gli unici “strumenti” che, in quel momento, aveva a disposizione: i miei occhi e la mia competenza. Ri-ascoltate quella telefonata: io cerco di rassicurarlo, e non si è mai visto un naufrago che prova a calmare il suo soccorritore tentando di fargli capire che cosa fare. Quella telefonata peraltro non ha cambiato di una virgola il corso degli eventi. Anzi, se devo dirla tutta, mi sembra assai sospetta».

Perché sospetta?

«Chi va per mare sa che le comunicazioni di emergenza sono registrate, non c'era alcun bisogno di rimarcarlo e scandirlo con quel tono minaccioso, quasi a imperitura memoria. Il tempo correva veloce, la gente rischiava la vita, io cercavo di fare il massimo. E quello che fa? Anziché coordinarsi con il comando generale della capitaneria di porto di Roma, col quale avevo in precedenza e senza alcuna difficoltà e animosità concordato le modalità di soccorso, minaccia di mandarmi in galera. Difatti De Falco esordisce dicendo che chiamerà il “procuratore cazzo” anteponendo così l'attività investigativa/giudiziaria a quella dei soccorsi. Chissà forse ha fatto questo perché De Falco è anche avvocato...».

 

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