Scalfari, il Papa e l’abolizione del peccato

par Fabio Della Pergola
martedì 7 gennaio 2014

C’è stato un passato di lunghe, a volte estenuanti, “dispute” medievali tra i sapienti dell’ebraismo, i rabbini, e i “cani del signore”, gli inquisitori domenicani. Dispute, cioè puntigliosi dibattiti finalizzati a definire quale religione, se quella giudaica o quella cristiana, fosse nel Vero. E nel Giusto. E nel Buono. E quale invece fosse quella sbagliata, ingiusta e cattiva.

 

Solo che gli uni avevano il Potere e la Forza, gli altri no. E sappiamo come andava a finire: con i roghi del Talmud e (a volte) dei lettori del Talmud.

Oggi - confidando che non si arrivi più a quegli estremi - assistiamo di nuovo ad una sorta di "disputa" medievale che ha per protagonista un curioso "cane-del-signore" ateo: l’ex direttore di Repubblica Eugenio Scalfari, ex laico illuminista e oggi apparentemente fulminato sulla via di Damasco, convinto estimatore del Papa argentino detto Francesco che costituisce il destinatario delle sue amorose missive.

In altri termini si tratta di un monologo cristiano, finalizzato ad incensire la "rivoluzionarietà" del nuovo Papa davanti al quale l’Illuminismo, laico, razionalista e perfino non credente si inginocchia tramite il suo apostolo Eugenio. Ho già avuto modo di parlare a lungo dell'antropologia “innovativa” insita in questo atto di fede, non ci tornerò sopra.

Ma mi incuriosisce notare che il Razionalista si inginocchia non senza lesinare alle masse la sua Buona Novella attraverso dei pamphlet socio-teologici davvero curiosi.

Nel più recente, pubblicato sul quotidiano l’ultima domenica dell’anno passato, il buon Eugenio si avventura nel campo un po’ scivoloso del confronto fra il Dio dell’Antico Testamento - giusto, ma “spietato e vendicativo” - e quello, assai più amorevole e misericordioso, dei Vangeli, cioè del Nuovo Testamento. Rispolvera, in sintesi, una disputa medievale tra il Dio degli ebrei e quello dei cristiani che ingenuamente qualcuno pensava quantomeno un po’ datata.

Se non altro perché si sperava di essere andati oltre, in casa Illuminista sia chiaro, a cercare un’antropologia che desse per scontato che Dio è un'invenzione umana. Ma tant’è; questo passa (è il caso di dirlo) il convento.

Il problema è che il confronto verbale tra i due Dèi, o tra le due forme del Dio, continua a provocare una buona dose di irritazione tra i costernati ebrei italiani costretti, come tutti, a sorbirsi i tre Papi romani (Benedetto, Francesco, Eugenio).

Irritazione lapidaria quella del rabbino Riccardo Di Segni, che liquida la faccenda con un secco “vecchio e banale antigiudaismo marcionista in salsa pseudolaica”.

Più articolata dello storico Gadi Luzzatto Voghera che su Pagine ebraiche rimprovera a Scalfari di aver sostenuto “che la Chiesa si sarebbe colpevolmente conformata al Dio ebraico per secoli; solo distaccandosene (con la Evangelii Gaudium di papa Bergoglio che secondo Scalfari “abolisce il peccato”) essa può aspirare a un confronto efficace con il mondo secolare”. Intravedendo in queste argomentazioni scalfariane “una visione che è nella sostanza e nella forma inequivocabilmente antiebraica”. Accusa non da poco.

E incalza un altro rabbino, Benedetto Carucci Viterbi: "La misericordia di Dio, associata alla Sua giustizia, è nella prospettiva ebraica uno dei motori della realtà. E’ da questa integrazione che nasce la possibilità e la necessità della teshuvà, il pentimento, per ottenere il perdono; ferma restando naturalmente la libertà di Dio - che più volte Egli ribadisce - di perdonare anche chi non si pente".

Insomma una piuttosto marcata ignoranza della tradizione religiosa ebraica, in poche parole. Che si fonda, oltretutto, su un pensiero che “non coinvolge la complessità del pensiero ebraico, né discute le fonti scritte e orali che ne stanno alla base. Quel che fa è offrire al lettore delle definizioni (false e semplicistiche) della dottrina biblica per poi contestarle contrapponendole a una visione (altrettanto falsificata) del discorso evangelico”.

Di sicuro - fin qui ci arrivo anch'io - la più plateale delle cantonate di Scalfari è stata palesemente quella di attribuire al Nuovo Testamento, cioè al cristianesimo, l'esortazione "ama il tuo prossimo come te stesso”, con cui si dovrebbe definire in automatico il cristianesimo stesso come “religione dell’amore", contrapposta all'implacabile giustizia divina del giudaismo. Cioè quello che, in sintesi, fece Marcione ai suoi tempi.

La frase è invece, come sa chiunque la Bibbia l’abbia almeno letta, originariamente propria dell’Antico Testamento, per la precisione nel libro del Levitico, al capitolo 19 (dove ricorre due volte, una per definire che il “prossimo” è l’altro da sé, appartenente allo stesso popolo ebraico, e poi per aggiungere che anche il forestiero è un “prossimo” da amare come se stessi).

Quindi il Dio che propone e invita all'amore per il prossimo è giudaico, prima che cristiano. Uno scivolone grossolano per uno che si atteggia a fine teologo.

Insomma Scalfari non farebbe altro che proporre i contenuti portanti della vecchia eresia del monaco Marcione, che nel II secolo, ai tempi di Papa Aniceto, si prese la briga di contestare in toto la tradizione del Dio ebraico - sostenendo appunto che fosse vendicativo e implacabile - per far risaltare la misericordia del Dio della cristianità (la quale ha avuto modo di dimostrare ampiamente nei secoli successivi in cosa consistesse davvero il tanto sbandierato amore per il prossimo, soprattutti per gli infìdi giudei): non è mica un caso se gli ebrei sono un po' irritabili su certe affermazioni.

Tutto questo, si badi bene, per poter tornare a sostenere per l'ennesima volta “che papa Francesco è un Pontefice «rivoluzionario»" e che la sua rivoluzione, in questa occasione consisterebbe "nella «abolizione del peccato»”, come ha riassunto il teologo Vito Mancuso nella sua replica dove, sensatamente, prende le distanze dall’anziano maître à penser: “È troppo presto per stabilire se Francesco sia davvero rivoluzionario o anche solo schiettamente riformista visto che la sua azione si deve ancora sostanziare in concreti atti di governo”.

Vale a dire, come è evidente da tempo a meno di non essere ciechi o tonti, che finora si sono sentite un sacco di chiacchiere e di altisonanti proclami alla buona - molto amplificati dai media - ma di sostanza “rivoluzionaria” non se n’è vista manco l’ombra; e forse nemmeno s'è visto un po' di riformismo reale, per dirsela tutta. Solo operazioni di marketing, come direbbe Crozza.

E anche in questo caso, pochi giorni dopo la sparata scalfariana sul Papa che "abolisce il peccato", puntuale arriva la smentita dalla sala stampa del Vaticano: il Papa non ha abolito un bel niente. Ergo Scalfari, nella sua fregola da novizio cantore degli altisonanti proclami d'oltretevere, ha preso una cantonata.

Scivoloni teologici prima e cantonate vaticaniste poi. Non c'è male.

In particolare la presunta “abolizione del peccato” cozzerebbe, sono sempre parole di Mancuso, con il “dogma del peccato originale” che è fondativo per la religione cristiana in quanto afferma la “verità” della capacità redentiva del Cristo (da cui l’amore universale dello stesso) solo dopo aver “scoperto” la naturale peccaminosità dell’essere umano.

Se non fosse stata affermata come prima cosa questa natura originariamente peccaminosa non ci sarebbe stata alcuna necessità della redenzione (i teologi lo chiamano amartiocentrismo, ci ricorda Mancuso, che significa appunto “centralità del peccato”); e tutto il castello di carte cristiano avrebbe faticato un bel po’ a stare in piedi. Chi prenderebbe per buono, o anche solo interessante, un Messia redentore se non ci fosse niente da redimere?

Naturalmente questo rimanda alla necessità di capire perché alcuni (i cristiani) si siano bevuti la panzana che la natura umana sia di originaria devastazione morale (un pensiero un po' brutale per autoincensarsi come "religione dell'amore") ed altri, ebrei e islamici, no. Ma questa è materia da storici.

Quel che conta è l’antica domanda - “unde malum?”, da dove viene il male? - che già Agostino poneva un tot di secoli fa nelle Confessioni e che pretende risposte teologiche dai credenti, ma che per i non credenti si concretizza nella domanda di Mancuso su “come la coscienza laica percepisca oggi il peccato”. Domanda a cui si risponde da solo: “Penso che lo scoprirsi inadempienti di fronte all’imperativo etico” sia inevitabile e che “la dimensione giuridica, la quale ritrascrive il peccato mediante il concetto di reato, non sia sufficiente a esprimere tutta la densità umana del fenomeno”.

Riscrivere il peccato facendolo diventare un reato mi ricorda i tempi bui della Binetti, ma lasciamo stare. Il problema è che si finisce sempre con il risolvere la questione nello stesso modo: gli esseri umani sono dei mascalzoni, né la legge risolve il problema. Un po' poco per riempirci paginate di uno dei maggiori quotidiani italiani (vabbé che in Italia siamo provinciali, ma così si esagera).

A nessuno pare che venga in mente che il Male non esiste e che l’umanità ha solo tre considerazioni banali da fare su ciò che la rende infelice e frustrata: o parliamo di fatti naturali più o meno ineluttabili (la morte, le catastrofi imprevedibili, il caso eccetera) per le quali non possiamo fare altro che rassegnarci, salvo prendere precauzioni o contromisure ove possibile.

O si tratta di violazioni di legge da parte di malfattori di vario grado, per i quali se non vale il codice etico vale pur sempre il codice penale; o parliamo infine di carenza o incapacità di cura delle malattie del corpo e, soprattutto, delle malattie della mente.

Se mettiamo fra parentesi i primi due casi in cui parlare di “Male” è semplicemente assurdo (come definireste il vicepresidente del CNR - mica storie - che definì lo tsunami in Giappone "un segno della bontà di Dio”?), non resta che il terzo ambito: le malattie.

Da qualche decennio - non molti in verità, se si pensa che ancora papa Leone XII negli anni venti dell'Ottocento demonizzava la vaccinazione contro il vaiolo - la Chiesa ha accettato l’idea che le malattie del corpo si possono affrontare e curare.

Ma sulla cura delle malattie mentali siamo ancora agli esorcismi. Che, ci dicono notizie di stampa, sono in aumento esponenziale (forse per via della crisi o per le difficoltà contemporanee nei rapporti fra gli uomini e le donne, chissà).

E il Papa, ci si getta a capofitto in questo bailamme di idiozie perché evidentemente deve continuare a terrorizzare l’umanità con l’idea del Male come ente astratto, assoluto, eterno ed esterno all’uomo, né più né meno il Diavolo in persona. Di cui ogni Papa - “rivoluzionario” o conservatore che sia - ciancia in continuazione.

Con Scalfari dietro, commosso e dimentico, il pover'uomo, che anche il Diavolo, come Dio, è solo un’antica invenzione umana. Ma di quelle brutte.

 


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