Sarah uccisa dallo zio. Il mostro in casa. Chi paga per i peccati dell’uomo? (Parte Prima)

par Grazia Gaspari
venerdì 8 ottobre 2010

"Conoscendo mio cognato so che è una persona corretta, a me sembra sincero. E tra lui e Sarah c’è un rapporto tra zio e nipote". Per unâintera settimana la mamma di Sarah ha continuato a credere nellâinnocenza del cognato. Poi la scioccante verità è venuta a galla: il mostro era tra le pareti domestiche.


Ha dovuto violentarla da morta dal momento che da viva quella ragazzina ancora bambina, lo rifiutava costantemente. Sarah ha avuto il coraggio di respingerlo, ma non ha avuto il coraggio di denunciarlo, di raccontare tutto a sua madre. Il suo rifiuto le è costato la vita. Sarah aveva solo 15 anni. E sicuramente aveva vergogna, vergogna di una vergogna che avrebbe dovuto essere di suo zio.
Purtroppo quando queste storie vengono a galla, il loro epilogo è drammatico.

Ne sa qualcosa Raffaella Mauceri fondatrice del centro siciliano Le Nereidi, oggi Rete antiviolenza (150 volontarie, 15 presidi, più di mille donne accolte con i loro figli minori, 28 avvocate, 14 psicologhe e 13 pedagogiste) che ci racconta alcuni particolari raccapriccianti.

Ricordo perfettamente – esordisce Raffaela Mauceri - l’espressione di incredulità, diffidenza, scherno sulla faccia di coloro che mi ascoltavano tanti anni fa quando parlavo di violenza alle donne. Erano poliziotti, carabinieri, medici, assistenti sociali, politici, funzionari, docenti… . Ignoravano la violenza sulle donne e qualora mai ne venivano a conoscenza segretamente o esplicitamente pensavano che le donne picchiate come quelle stuprate, se le andassero a cercare loro

Parlo degli operatori istituzionali che oggi, non tutti ma in buona parte, si informano, si attivano, e si schierano per contrastare la violenza di genere, lo stalking, il femminicidio e tutti questi fenomeni antichi che, oggi, etichettati con nomi nuovissimi, sembrano altre cose. Cose appena nate.

Invece sono fenomeni millenari che emergono grazie al coraggio, alla resistenza, alla caparbietà di noi femministe dei mitici anni ’70. Lo dico senza tema di smentita e lo dico con legittimo orgoglio, anzi, con quella vituperata autoreferenzialità che le donne, clamorosamente sbagliando, continuano ad usare troppo poco. Proprio per questo, infatti, l’enorme, straordinario, inestimabile lavoro delle femministe (di ieri e di oggi), è conosciuto così poco e così male.

Mai più potrò dimenticare la prima accoglienza. Si trattava di una donna giovane, bella, raffinata che ci raccontò come aveva a che fare con una bestia di marito che abitualmente la violentava e la sodomizzava completamente indifferente alle sue lacrime e sordo alle sue implorazioni. Fu il primo impatto, un impatto traumatico. Quella notte dormii poco e male, e sin da subito cominciai a chiedermi perché avevo abbracciato un impegno così drammatico.

Più volte me lo sono chiesto in questi ultimi 16 anni di volontariato contro la violenza e sempre torno sul fronte perché non riesco a rinunciare al sudatissimo ineffabile momento della “vittoria”, quando riusciamo a vincere la sfida: quella di arrivare prima dello stalker, prima del potenziale assassino, prima dell'irreparabile. E tutti ormai sappiamo che cosa significa “irreparabile”. Ne sente il fiato sul collo la vittima che ha già subìto un tentativo di strangolamento o un cuscino premuto sulla faccia o un coltello puntato alla gola. Lo descrive la cronaca nera indugiando sui particolari più truculenti perchè chi legge possa sentire il famoso brivido che va su per la schiena.

Mostra itinerante contro gli omicidi di donne

 

Sono tante le socie-colleghe-sorelle-amiche con le quali ho vissuto momenti da thriller, tanti i nomi e i volti delle vittime che affollano la mia mente… come Teresa la giovane siracusana che aveva sposato un etiope e costui si era portato via il figlioletto al suo paese e l’aveva fatto circoncidere. Dopodiché si sarebbe portato via anche la piccola Sharon per farla infibulare… Gli occhi dilatati dal terrore, Teresa ci chiede di aiutarla a salvare l’innocente da una simile devastazione. Mentre lei parla, ci accorgiamo che il viso della piccola e bellissima Sharon che dorme ignara fra le sue braccia, prende una strana piega di dolore: chissà, forse attraverso quel filo potente e misterioso che lega le madri alle proprie creature, percepiva il panico della mamma e aveva voglia di piangere.Una corsa contro il tempo, una separazione e un affido fanno il miracolo di salvare madre e figlia. Appena in tempo.

Raffaella Mauceri

 

O come Giusi. Un giorno sì e uno no, i medici del pronto soccorso se la vedevano arrivare piena di tagli e lividi. Le dicevano: ‘Signora perché ci racconta che è caduta dalle scale? Perché non dice la verità?’

Ma la verità Giusi non la poteva dire perché lui era sempre lì davanti a lei e con gli occhi gelidi e velenosi le prometteva altre botte meglio assestate. E se poi l’ammazzava, chi avrebbe pensato ai suoi bambini? Chi li avrebbe protetti, curati, abbracciati? Ché se non fosse stato per quel poco che guadagnava lavando scale, avrebbero fatto pure la fame. Ogni tanto le dicevano: ‘Mamma perché non ce ne andiamo in un posto lontano lontano dove papà non ci trova più?’.

Beata innocenza, che ne sanno i bambini di quanto è difficile cambiare città senza lasciare tracce? Che ne sanno di quanto è duro riuscire a sbarcare il lunario con un lavoro a nero, malpagato, se si trova e quando si trova?

Al Centro, Giusi c’era venuta due mesi prima, trascinata da un’amica che non ne poteva più di sentire le sue grida e di sapere che quel mascalzone non portava un soldo in casa ma soltanto minacce, ingiurie e botte da orbi. Giusi mai al mondo si sarebbe immaginata che esistevano donne organizzate per difendere altre donne come lei senza nemmeno conoscerle.

Da quel giorno, dunque, il nostro numero di telefono se l’era tenuto sempre addosso come un santino. E così finalmente il suo grido di aiuto arrivò fino a noi che le avevamo promesso sostegno, aiuto e protezione.

Denunciato, arrestato, condannato: ancora oggi non riesce a credere che il suo aguzzino non può più tenerla in pugno, pestarla, insultarla, terrorizzarla. Dobbiamo ripeterglielo noi: 'l’incubo è finito, Giusi, è finito! Puoi riprenderti la tua vita, i tuoi figli e il tuo futuro'.

O come Lucia. Lei non ha bisogno di essere incoraggiata per parlare, al contrario, è una un fiume in piena di parole tanto che un quarto d’ora dopo sappiamo vita, morte e miracoli del suo matrimonio fallito, dei pestaggi subiti, della disperazione, del lavoro massacrante e di come, da sola, si è tirata fuori da quel mare di guai.

‘Eh sì, me la sono vista brutta - racconta - Lui ha tentato pure di levarmi i figli. Ma deve ancora nascere quello che mi porta via la carne della mia carne!’ E nel dirlo, gli occhi le diventano due pugnali sfavillanti, proprio come una tigre quando le toccano i cuccioli.

‘E per farne cosa? - continua - per farli finire in un istituto, maledetto ubriacone e puttaniere! Ma io ho guardato il giudice dritto in faccia e gli ho detto: dovete ammazzarmi, prima di dare i miei figli a questo debosciato! Mai una volta in dieci anni che si sia disturbato a chiedersi se avevano da mangiare, o panni per vestirsi, o se andavano a scuola e come ci andavano. A "camparli" ci ho pensato io e solo io. Ho fatto mille lavori, ho lavato tante scale che messe una sopra l’altra potrei arrivare in paradiso! Ho fatto il pagliaccio per i bambini malati della gente ricca, ho stirato montagne di biancheria, ho raccolto olive, ho incartato arance... Di tutto so fare, di tutto. Ma la casa popolare non me la danno. Non è che io la voglio con il barocco ‘sta casa, basta che usciamo tutti e quattro da quella specie di tugurio di mia madre ché stiamo uno sopra l’altro come le sarde salate. Lo sapete dove dormo io da tre anni? Su una sedia a sdraio e nemmeno lo so come faccio a stare in piedi e lavorare come una bestia dalla mattina alla sera!’

Il racconto è drammatico, ma Lucia ha una mimica così teatrale, un dialetto così colorito, un’espressione così ironica e mattacchiona che non riusciamo a trattenere le risate. E lei lo sa e ne va fiera: ‘Vi faccio ridere, eh? Lo so, io l’attrice dovevo fare. Lo vedete che personale che ho? - scatta in piedi e fa una piroetta da indossatrice - E che vi devo dire, quanti bastardi ci hanno provato? Appena una chiede una cosa, subito vogliono essere pagati ‘in natura’, i signorini. E te lo dicono chiaro e tondo. In faccia! Capito?’.  E poi ci tocca sentire gente che pontifica sulla prostituzione ‘per scelta’. Quando una donna non ha né lavoro né soldi, è facile chiederle l’unica cosa che le resta da vendere in una società che giustifica chi la compra. Specialmente se ha tre figli da sfamare'.

Trovarle una piccola casa con un affitto modesto e farle avere un contributo abitativo: soltanto questo ci ha chiesto e questo abbiamo fatto. Al resto ci pensa lei con la sua forza e il suo indomabile coraggio. Noi di pagamenti ‘in natura’ a Lucia non gliene chiediamo né sapremmo che farcene visto che siamo tutte donne e mamme come lei. 

(continua)


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