Sarah uccisa dallo zio. Il mostro in casa. Chi paga per i peccati dell’uomo? (Parte Seconda)

par Grazia Gaspari
sabato 9 ottobre 2010

La prima parte è qui

Raffaella Mauceri fondatrice del centro siciliano Le Nereidi, oggi Rete antiviolenza (150 volontarie, 15 presidi, più di mille donne accolte con i loro figli minori, 28 avvocate, 14 psicologhe e 13 pedagogiste) ci racconta altre storie di ordinaria violenza contro le donne. 


E’ spesso una corsa contro il tempo per arrivare come lei dice "prima dello stalker, prima del potenziale assassino, prima dell’irreparabile. E tutti ormai sappiamo che cosa significa irreparabile. Ne sente il fiato sul collo la vittima che ha già subito un tentativo di strangolamento o un cuscino premuto sulla faccia o un coltello puntato alla gola. Lo descrive la cronaca nera indugiando sui particolari più truculenti perché chi legge possa sentire il famoso brivido che va su per la schiena." 

Natascia arrivò al nostro Centro mandata dai carabinieri perché l’avevano trovata sugli scalini della chiesa dove dormiva da due notti come una barbona.

Ci mostrò la catenina e gli orecchini d’oro che le aveva regalato il marito e tutta rossa in viso cercò di spiegarci che lui le aveva promesso mari e monti per poi cacciarla fuori di casa perché non gli voleva fare da puttana.

Sissignori, disse proprio così, ‘non gli voleva fare da puttana’ e chi è maggiorenne capisce benissimo che cosa voleva dire. Ma come, a quell’età? E perché no? Una donna a 74 anni è una vecchietta, ma un uomo a 74 anni può essere ancora ‘gagliardo’ e avere le sue ‘esigenze’.

Doveva forse andarsene a cercare una sui marciapiedi, col rischio di beccarsi una malattia? Con tutte le rumene e polacche e africane e insomma con tutte le morte di fame che ci stanno in giro, poteva benissimo prendersene una in casa tramite agenzia, una sicura, igienicamente parlando, magari con il cartellino di garanzia come la carne al supermercato. E difatti le urlava che l’aveva comprata e perciò doveva fare tutto quello che voleva lui, ma proprio tutto. I soldi per i ragazzini che aspettavano in Romania, doveva guadagnarseli, altroché.

La ricoverammo in una casa di accoglienza fuori città dove, con sua grandissima gioia, trovò un’altra rumena, e lì la lasciammo con mille raccomandazioni, dopodiché ci stavamo adoperando per trovarle un lavoro, ma neppure tre giorni dopo, ci telefonarono per dirci che Natascia era scappata. Le ricerche ci portarono dove mai avremmo voluto trovarla: dal vecchio marito violento e sporcaccione. Per amore dei figli, era tornata all’obbrobrio e alla schiavitù, per amore dei figli, aveva ‘scelto’ di fare la prostituta per un solo uomo, ma pur sempre la prostituta.

O come Giacoma perseguitata dall’ex- marito che una notte sì e una no, prende a pugni la porta di casa gridando che vuole ritornare a casa “sua”. E lei non può accettare il rifugio che le offriamo perché non può lasciare sola la madre novantenne e il figlio disturbato mentale perché non ha nessuno cui affidarli. E aspetta pazientemente di essere assassinata.

E già: non sempre si riesce a sottrarre le donne alla violenza soprattutto quando occorre salvarle da se stesse, ma bisogna sempre provarci. Provarci con dolcezza e sorellanza, con la testa e con il cuore, con la rabbia e la determinazione.

La rabbia mi accompagna e mi dà la forza di continuare a combattere anche là dove la battaglia è persa in partenza. Quella rabbia che era il segno particolare sulla nostra carta di identità (“Siete le solite femministe arrabbiate”) la rivendico, la pratico e la trasmetto alle ragazze che fanno i miei corsi di formazione: “Dovete essere arrabbiate perché è un vostro diritto, perché vi dà la grinta e perché una donna incazzata nera mette gli uomini in soggezione!”

E come dimenticare i bambini?

“Signora, per favore, non ci porti di nuovo a casa da papà. Lui è cattivo, dà sempre botte alla mamma e noi abbiamo paura. Per favore, per favore!” La preghiera veniva dal sedile posteriore della mia auto mentre a mio rischio e pericolo, portavo Nunzia e i suoi due bambini di sette e otto anni verso una casa rifugio a indirizzo segreto dove nasconderli e metterli al sicuro. Il cosiddetto papà, infatti, è un uomo che più volte, davanti ai loro occhi atterriti, ha tentato di uccidere la giovane moglie. La stessa moglie che lo sfama e lo accudisce perchè lui è un parassita incapace di tenersi un lavoro quale che sia, nonché un piccolo delinquente già noto alle forze dell’ordine.

In paese non c’è nessuno che non conosca il grottesco personaggio, guappo nano figlio di guappo nano padre, entrambi specialisti nel massacrare le donne di casa dall’alto- si fa per dire- del loro metro e mezzo o poco più. La guapperia di quest’ uomo, infatti, è ad esclusivo uso e consumo della moglie che rapì a soli 16 anni e sposò con quello che va sotto il nome ammuffito e repellente di ‘matrimonio riparatore’. Riparatore di che? semplice: di una violenza sessuale tramite rito di sacralizzazione della stessa. 

E sempre a proposito di bambini, che dire del marito di Francesca?

“Papà è come Dio” diceva ai suoi figli e tutti e quattro, quando la sera tornava a casa, dovevano inginocchiarglisi davanti. Tutto questo non succedeva nel Burundi ma qui nella nostra bella città dell’Occidente tecnologicamente avanzato dove ogni 8 marzo qualcuno, scocciatissimo, dice che le donne hanno ottenuto tutte le parità e anche di più.

Così come tutti i centri antiviolenza nati negli anni '80 e '90 altro non sono che il prodotto più genuino e più concreto del movimento femminista, il centro antiviolenza Le Nereidi, oggi Rete antiviolenza provinciale di Siracusa è frutto della mia storia di femminista.

Si dice che le donne sono nemiche delle donne. I centri antiviolenza sono nati per smentire questo assioma che tanto comodo fa agli uomini per continuare a smembrare e indebolire il nostro popolo.

E difatti, quanto più bassa è in una donna la percezione dell’appartenenza di genere tanto più alto è il rischio di subire violenza e la conseguente incapacità di liberarsene, giacché nessuna forza psicologica è possibile laddove non c’è o è stata distrutta l’identità di genere.

I centri antiviolenza sono il più grande processo di identificazione tra donne, il più grande atto d’amore di donne per le donne, la pratica più verace e più efficace della famosa sorellanza.

A chi mi dice che alcune donne sono “grandiose” nell’odio, rispondo che molte di più lo sono nell’amore.

Insieme, le donne nascondono i figli per salvarli dal massacro delle guerre. Fra donne si lasciano la cura dei figli mentre vanno incontro alla morte. Fra donne si partorisce, si saluta la vita e si affronta la morte.“Le donne con le donne possono”: così titolava un convegno internazionale che si svolse a Roma negli anni Ottanta.

Le donne devono porgersi la spalla e asciugarsi le lacrime a vicenda, ma devono soprattutto imparare a darsi scambievole credito, protezione e tutela, crescere insieme e rendersi forti l’un l’altra.


Le volontarie dei Centri Antiviolenza Le Nereidi

I nostri centri sono luoghi di reciprocità e di parità fra donne. Quando una vittima viene a chiederci aiuto, tutto ciò che la cultura patriarcale le ha tolto, la dignità, il valore, la stima di sé, noi gliela restituiamo. E insieme a lei, ci rialziamo tutte.

Le donne sono creditrici di 6000 anni di felicità mancata. Abbiamo il compito di riprendercela, di insegnarla alle nostre figlie, farne patrimonio culturale e simbolico per le donne che ci sono e per quelle che verranno perché il solo vero atto di giustizia che possiamo fare per noi tutte, è quello di darci reciproco valore e di volerci bene



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